Capitolo 6

753 Parole
Capitolo Sei In un primo momento, tutto il sangue del corpo mi affluisce sul viso. Poi, con uno stridore di gomme, fa una brusca inversione a U e va ad abbattersi sul mio clitoride. Cazzo! Cazzo! Cazzo! Mi appoggio allo stipite della porta per non cadere, mentre il mio cuore comincia a battere all'impazzata. Le vibrazioni continuano ad aggredire il mio sesso. Non. Devo. Gemere. Né mostrare che sta succedendo qualcosa. Inoltre, sarebbe strano se scappassi via? Ma, soprattutto, perché la sensazione è così intensa? La vibrazione è al minimo, ma mi sembra di avere un frullatore nei pantaloni e un fuoco nelle parti intime. È per l'adrenalina che mi scorre nelle vene? O per il quasi-orgasmo di prima? Ignaro della mia condizione, il russo mi lancia il sospensorio. “Non vorrei che dimenticassi il tuo souvenir.” Con gesto automatico, afferro l'indumento intimo (e quasi me lo porto al naso per un'altra annusata lussuriosa). “Sei proprio sicura che questo dispositivo non sia tuo?” Agita il telecomando. Non fidandomi ad aprire la bocca, annuisco con la testa. “Davvero strano.” Guarda il telecomando con aria accigliata e preme il pulsante di accelerazione. Santissima stimolazione clitoridea! Se prima pensavo che fosse intenso, mi sbagliavo. Ora ho un martello pneumatico all'opera sulle mie parti intime e stare in silenzio sta diventando infinitamente più difficile. Qualcosa deve trasparire dal mio viso, perché vedo la preoccupazione nei suoi occhi color cioccolato. “Stai bene?” mi chiede. Invece di rispondere, attutisco un gemito con il sospensorio. Lui mi guarda più attentamente. “Che succede?” Non rispondo. Tra la mortificazione e l'ondata di piacere crescente, non oso spostarmi il sospensorio da davanti alla bocca. “C'è un ronzio?” Mi guarda l'inguine. “Hai il telefono in vibrazione?” Scuoto la testa con veemenza. Nei suoi occhi appare un luccichio subdolo. “Quindi… qualunque cosa sia quel ronzio, non ha niente a che vedere con questo telecomando, giusto?” Scuoto di nuovo la testa. Lui aumenta di proposito la vibrazione di un'altra tacca. “Sicura?” A questo punto, non riesco più a scuotere la testa. Gli occhi mi roteano all'indietro, le dita dei piedi mi si arricciano dentro le scarpe e un gemito sfugge al mio bavaglio improvvisato. Lui fa un passo verso di me e i suoi occhi si scuriscono mentre scrutano il mio viso. “E se premessi di nuovo questo pulsante?” Lo fisso con sguardo allucinato. Preme il pulsante. Ci siamo. Questa è la vibrazione alla massima potenza, che mi spinge all'apice. L'orgasmo che si abbatte su di me equivale a un sette sulla scala Richter (il terreno si spacca, gli edifici crollano e le tubature scoppiano). Lui spegne le mie mutandine. Abbasso il suo sospensorio e traggo dei respiri calmanti. Il cuore mi batte ancora forte e la camicia mi aderisce alla schiena per il sudore. Il russo incrocia le braccia muscolose sul petto. “Sei venuta.” Le sue parole sono un'affermazione, non una domanda. Traggo un altro respiro. Si parla sempre di fingere di avere un orgasmo, ma mai del contrario (impresa in cui ho chiaramente fallito). Quando mi azzardo a parlare, dico: “È stato un attacco di convulsioni.” Le sue sopracciglia si aggrottano. “Sei epilettica?” “Esatto.” Grandioso. Anziché fingere di non aver avuto un orgasmo, sto fingendo di avere una grave patologia. Lui preme il pulsante “On” sul telecomando e io devo trattenere un sussulto quando le vibrazioni mi provocano delle scosse post-orgasmiche. Con aria trionfante, indica il mio inguine. “Sta ronzando.” Preme il pulsante “Off”. “E adesso non più.” Il mio viso si infiamma mentre le sensazioni si attenuano. “D'accordo. Mi hai beccata. Indosso delle mutandine s*x toy. Sei contrario al fatto che le donne si diano piacere, se è ciò che vogliono?” Lui sogghigna diabolicamente. “No no! Anzi, sentiti libera di indossare il tuo marchingegno alla nostra cena. E io porterò questo.” Si intasca il telecomando. Non ho parole. Zero. Le mie gambe sono instabili mentre faccio un passo indietro, verso la porta. “Ti scriverò un messaggio” mi dice con disinvoltura, come se avessimo appena preso un caffè insieme. Le mie parole sono ancora introvabili. Faccio un altro passo barcollante verso la libertà, poi mi volto e mi metto a correre come se il malvagio stregone de Il lago dei cigni mi stesse inseguendo. E, per quanto ne so, potrebbe essere lui.
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