Capitolo 1-1

1682 Parole
CAPITOLO 1 Yachats, Oregon “Mike! Hai compagnia,” chiamò Patty dalla reception. Mike fece una smorfia e cercò di asciugare la chiazza sulla camicia nel punto in cui si era versato il caffè addosso. Era uno di quei giorni; se lo sentiva. Era cominciato con sua sorella Ruth che lo aveva chiamato a un’ora invereconda per informarlo che sarebbe venuta a trovarlo. Mike poteva ringraziare il suo compleanno per quella splendida occasione. “Un attimo solo,” rispose, lasciando cadere il fascicolo sulla sua scrivania. Posò il bicchiere di caffè che aveva preso al bar in fondo alla strada su un tovagliolo di carta piegato che mostrava i segni di tutto il caffè da lui versato negli ultimi giorni. Chi voleva prendere in giro? L’intera settimana era stata un disastro dopo l’altro. Scuotendo la testa, afferrò un tovagliolo spiegazzato dal sacchetto di bagel che aveva aggiunto all’ultimo momento al suo ordine. “Te ne ho preso uno con tutto,” grugnì Mike, senza sollevare lo sguardo quando udì il rumore dei passi fermarsi fuori dalla porta. “Grazie, ma ho già mangiato,” rispose una voce sconosciuta. “Oh, ehi Mike, ti sei ricordato il formaggio spalmabile questa volta?” chiese Patty, facendo capolino da dietro lo snello uomo asiatico che stava guardando Mike con un'espressione leggermente divertita. “Sì, ne ho fatto mettere di più,” rispose lui, tamponando distrattamente la macchia umida sulla camicia blu scuro. “Posso aiutarla?” Mike squadrò l’uomo, individuando e archiviando una serie di dettagli: sulla trentina, all’incirca un metro e settantasette, occhi marroni, una sottile cicatrice vicino all’occhio sinistro. La piega dei pantaloni, le scarpe nere lucide e il taglio preciso dai capelli indicavano che costui era o era stato un militare. Lo sguardo dell’uomo stava passando in rassegna tutto di Mike e del suo ufficio e lui giunse alla conclusione che doveva essere o essere stato nell’intelligence militare. “Sì,” fu la risposta netta. “Mi sono dimenticato il tuo cappuccino, Patty. Perché non vai a prenderlo? Penso io al telefono,” suggerì Mike, tendendo il sacchetto con i bagel. “Sei sicuro?” chiese Patty, lanciando una breve occhiata all’uomo che si era fatto da parte per farla entrare. Le labbra di Mike ebbero un guizzo quando Patty mosse rapidamente gli occhi come per cercare di trasmettergli un messaggio segreto. “Sono sicuro,” rispose sarcastico. “Oh, va bene. Beh, ci vorranno pochi minuti. Se hai bisogno di me, chiamami,” disse Patty, stringendosi il sacchetto al petto e voltandosi a guardare l’ospite. “Il bar è proprio qui accanto. Le pareti sono sottili – sottilissime, praticamente di carta, se capisce quello che voglio dire.” “Patty, vai,” ordinò esasperato Mike. “Va bene, vado,” mormorò la donna. Mike rimase in piedi fino a quando non udì il suono della campanella della porta prima di accennare alla sedia di fronte a lui. Attese che l’uomo si sedesse per poi farlo a sua volta. Dopo aver raccolto le foto che erano scivolate fuori dalla cartelletta che aveva lasciato cadere in precedenza, le rimise dentro e spostò il fascicolo prima di raddrizzarsi. “Ora, cosa posso fare per lei, signor…” esordì. “Tanaka. Agente Asahi Tanaka, della CIA,” rispose Asahi, infilando una mano nella tasca interna della giacca e tirando fuori i documenti. Mike si sporse in avanti e prese il sottile portafogli di cuoio. Dopo averlo aperto, scrutò le credenziali al suo interno prima di chiuderlo e restituirlo. Asahi si rimise il portafogli in tasca. “Cosa porta la CIA a Yachats, Oregon?” chiese Mike. “Il fascicolo sulla sua scrivania, detective Hallbrook,” rispose Asahi. Lo sguardo di Mike cadde immediatamente sulla cartelletta spiegazzata e macchiata di caffè. Avrebbe dovuto sostituirla. Se l’era portata in giro così tanto da averla quasi consumata. Serrò le labbra e guardò l’uomo seduto di fronte a lui. “Cosa c’entra la CIA con la scomparsa di due donne?” chiese Mike, giungendo le mani e unendo le punte degli indici. “Capirei l’FBI, ma la CIA? È un po’ troppo, a meno che voi non pensiate che Carly Tate e Jenny Ackerly fossero spie per conto di un governo straniero.” Lo sguardo di Asahi si spostò da Mike al fascicolo e di nuovo a Mike. Le sue labbra si contrassero per un istante prima che lui si rilassasse e la sua espressione si facesse indecifrabile. Mike non dubitava che quell’uomo avesse trascorso più tempo sul campo che a passare carte. “Non sono autorizzato a divulgare questa informazione, ma sì, la loro scomparsa ha suscitato interesse,” disse Asahi, chinando leggermente la testa. Mike si sporse in avanti, appoggiando le braccia sulla scrivania. Aggrottò la fronte mentre pensava a cosa potessero aver fatto le due donne per attirare l’attenzione della CIA. Tutto e tutti quelli con cui aveva parlato gli avevano dato l’impressione che Carly e Jenny fossero due comunissime cittadine statunitensi che, per puro caso, si conoscevano ed erano scomparse nello stesso luogo. “Se non è autorizzato a dirmelo, come mai è qui?” chiese sarcastico Mike. “È da un po’ che lei studia questo caso,” disse Asahi. “Da quando sono arrivato qui,” rispose Mike con un cenno del capo. “Ha scoperto qualcosa di… inusuale riguardo alle sparizioni?” chiese Asahi. Mike non mancò di notare il modo in cui lo sguardo di Asahi si spostò sul fascicolo e poi di nuovo su di lui. L’uomo voleva darci un’occhiata. Mike se lo sentiva nelle ossa. Incuriosito, appoggiò una mano sul fascicolo e lo spinse verso l’agente. “Perché non me lo dice lei?” suggerì. Si guardarono negli occhi per un breve istante prima che Asahi si allungasse a prendere il fascicolo. Mike mantenne la presa quanto bastava perché l’altro uomo capisse che quelle informazioni non sarebbero state gratuite. Un breve lampo di fastidio comparve negli occhi di Asahi. “Le informazioni sono riservate ai diretti interessati,” spiegò a bassa voce Asahi. Mike inarcò un sopracciglio. “Io sono direttamente interessato,” rispose con un sorriso sardonico. “Da quanto tempo vive a Yachats, detective Hallbrook?” chiese Asahi, attirando a sé la cartelletta e aprendola quando Mike mollò la presa e tornò a sedere composto. “Un paio d’anni,” rispose lui. “Perché?” “Ha mai notato nulla di inusuale da quando vive qui?” chiese Asahi, sfogliando lentamente gli appunti e i documenti che Mike aveva raccolto. “Dipende dai punti di vista,” rispose seccamente lui. “Anche noi abbiamo i nostri individui bizzarri, da queste parti, ma nessuno che definirei pericoloso.” “Non sto cercando per forza qualcosa di pericoloso,” rispose Asahi, soffermandosi su un documento scritto a mano che paragonava la scomparsa di Carly con quella di Jenny. “Potrei avere una copia di questo fascicolo?” “Che diavolo sta succedendo, agente Tanaka?” domandò Mike. Asahi sollevò lo sguardo. Nei suoi occhi c’era un’espressione dannatamente seria. Lo stomaco di Mike si serrò quando l’uomo esitò e chiuse il fascicolo. “Alieni,” disse Asahi, nello stesso istante in cui suonò il campanello della porta d’ingresso. “Mike, sono tornata! Abbiamo ricevuto delle telefonate? C’è ancora quel tipo stra… Oh, c’è ancora,” disse Patty, fermandosi sulla soglia. Mike e Asahi si alzarono nello stesso momento. Si guardarono a vicenda per un istante. Mike si chiese se avesse sentito bene mentre Asahi attendeva che lui rispondesse alla sua richiesta di avere una copia del fascicolo. “Stavo uscendo,” dichiarò Asahi, tendendo il fascicolo. “Patty può farle una copia dei documenti e mandarglieli,” disse Mike, perso nei suoi pensieri mentre si allungava a prendere la cartelletta. “La ringrazio. Le lascerò il mio contatto,” rispose Asahi, girando attorno alla sedia. Mike abbassò lo sguardo sul fascicolo che aveva in mano. Si rese conto che stava scuotendo la testa con incredulità. Sollevò lo sguardo mentre Asahi faceva per uscire dalla porta. “Tanaka…” chiamò. Asahi si voltò a guardarlo. Mike osservò con attenzione l’espressione dell’altro uomo. “Sì.” “Dice sul serio?” chiese Mike. “Assolutamente. Buona giornata, detective Hallbrook. Sono certo che ci rivedremo,” disse Asahi prima di voltarsi e andarsene. Mike rimase in piedi accanto alla sua scrivania, lo sguardo fisso ciecamente sulla soglia vuota. Solo quando si accorse che Patty era tornata scosse la testa e si lasciò ricadere sulla sedia. Sollevò lo sguardo quando l’impiegata si fermò di fronte alla scrivania. “Mi prendi per il culo? La CIA? Che diavolo sta succedendo?” mormorò Patty. Mike scosse la testa. “Quando lo scopri, fammelo sapere,” rispose sarcastico. “Potresti…?” “Sì, mi ha lasciato il suo contatto,” disse Patty, anticipandolo. Prese il fascicolo e scosse la testa con aria sbalordita. “Chi avrebbe mai pensato che ci sarebbe stata tanta agitazione in questo paesino assonnato!” Mike la guardò voltarsi e uscire dalla porta. Sapeva che, entro l’ora di cena, metà del paese avrebbe saputo della visita dell’agente Tanaka. Il resto lo avrebbe saputo entro la mattina. Alzandosi, Mike prese il caffè e girò attorno alla scrivania. Per fortuna, quella mattina non si era tolto la giacca. “Patty, esco per un po’,” gridò, incamminandosi verso la porta posteriore della stazione di polizia. Dopo aver spalancato la porta, uscì. Il sottile strato di nebbia mattutina si era trasformato in una cortina fitta. Un sorriso cupo gli sollevò l’angolo della bocca. Niente pesca, quel giorno; sembrava un buon momento per far visita a una persona che aveva vissuto in paese per tutta la vita e conosceva entrambe le donne. Girando a sinistra, Mike decise che camminare sarebbe stato più sicuro che guidare. Inoltre, gli avrebbe dato il tempo per assimilare le parole di Tanaka. L’uomo gli aveva chiesto se lui avesse notato qualcosa di inusuale – oltre alla scomparsa delle due donne. “Solo un agente della CIA impazzito che crede che gli alieni e i mostri esistano davvero,” borbottò scuotendo la testa.
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