2-1

3112 Parole
2Raskòlnikov non era abituato alla folla, anzi, come si è già detto, negli ultimi tempi non amava la compagnia. Ma ora, improvvisamente, si sentiva attratto dalle persone. Era come se in lui ci fosse qualcosa di nuovo; provava un forte desiderio di compagnia. Era stanco di quel mese passato in quella tetra ed angosciosa solitudine e aveva voglia di un po’ di aria nuova, di ambienti nuovi, qualunque essi fossero; e si tratteneva con piacere in quella bettola, nonostante fosse così squallida. Il padrone del locale stava in un’altra stanza, ma veniva spesso in quella principale, scendendo da una scaletta; la prima cosa che si notava erano i suoi eleganti stivali ingrassati, con grandi risvolti rossi. Indossava una palandrana e un panciotto di raso nero, unto e bisunto; era senza cravatta e aveva il volto spalmato d’olio come una serratura. Dietro il banco stavano un ragazzetto sui quattordici anni e un altro più giovane, che serviva ai tavoli. C’erano cetrioli affettati, biscotti scuri e pesce tagliato a pezzettini; il tutto mandava un pessimo odore. Si soffocava, al punto che non si poteva stare a lungo seduti, e ci si poteva ubriacare soltanto a respirare quel tanfo di vino. Capita, a volte, di incontrare degli sconosciuti che ci interessano improvvisamente fin dal primo sguardo, anche prima di scambiare una sola parola. Raskòlnikov ebbe proprio un’impressione del genere nei confronti del cliente che sedeva un po’ in disparte e somigliava a un funzionario a riposo. Il giovane, in seguito, ricordò più volte quella prima impressione, alla quale diede quasi il significato di una premonizione. Continuava a guardare in direzione del funzionario, anche perché questi, a sua volta, lo guardava fisso e si intuiva che aveva una gran voglia di attaccar discorso. L’impiegato guardava invece gli altri ch’erano nella bettola, compreso il padrone, come se fosse abituato a vederli, con un’aria nello stesso tempo annoiata e altezzosa come se si trattasse di persone di condizione e di mentalità inferiore, con le quali, secondo lui, non valeva la pena di parlare. Era un uomo che aveva già passato la cinquantina, di media statura, robusto, brizzolato e con una vasta calvizie; il suo volto era gonfio a causa della costante ubriachezza, giallo, quasi verdastro, e sotto le palpebre gonfie luccicavano due occhietti arrossati, stretti come fessure ma pieni di vita. Aveva qualcosa di molto strano; nel suo sguardo brillava come una sorta di fervore misto a intelligenza, insieme però ad una luce di follia. Indossava una vecchia marsina nera, tutto rattoppata e ormai senza bottoni. Ne restava attaccato solo uno, e lui lo teneva allacciato, non rinunciando, evidentemente, alle buone abitudini. Dal panciotto di cotone sporgeva un davanti della camicia tutto sgualcito, unto e pieno di macchie. Aveva il volto rasato al modo degli impiegati, ma non era rasato di fresco, tanto che cominciava a spuntargli una peluria grigiastra. Anche nei suoi modi traspariva un’attitudine burocratica. Sembrava però un tipo molto inquieto, a volte si arruffava i capelli, e a volte, come preso dalla malinconia, appoggiava il capo alle mani, con i gomiti appoggiati sulla tavola sporca e appiccicosa. Finalmente, guardò dritto in faccia Raskòlnikov e disse con voce alta e ferma: «Sono forse indiscreto se oso entrare in conversazione con voi, illustrissimo signore? Malgrado il vostro modo semplice di vestire, la mia esperienza mi fa riconoscere in voi un uomo istruito. Io ho sempre apprezzato l’istruzione unita ai buoni sentimenti. Sappiate inoltre che io sono un consigliere titolare. Il mio cognome è Marmelàdov, consigliere titolare. Posso chiedervi se siete mai stato funzionario?» «No, sono uno studente...» rispose il giovane, abbastanza stupito sia dal tono retorico del discorso, sia dal modo così diretto con cui era stato interpellato. Quel fugace desiderio di poco prima di avere contatti con la gente, sparì subito appena quell’estraneo si rivolse a lui, e provò subito quel sentimento di irritazione e repulsione verso qualsiasi estraneo che mostrasse l’intenzione di entrare in contatto con lui. Il funzionario esclamò: «Uno studente, quindi, o forse ex studente? Proprio come pensavo! Esperienza, egregio signore, una lunga esperienza!» e in segno di vanto si toccò con un dito la fronte. «Siete stato studente o avete già frequentato una facoltà! Ma permettete...» Si alzò barcollando, prese il vassoio, il bicchiere e si sedette un po’ di traverso, al tavolo del giovane. Era alquanto brillo, ma parlava scioltamente e con proprietà di linguaggio, confondendosi solo di tanto in tanto in certi punti e perdendo il filo del discorso. Si era gettato su Raskòlnikov quasi con irruenza, come se non avesse parlato con nessuno per un mese intero. E cominciò, quasi solennemente: «Egregio signore, la povertà non è vizio, e questo è vero. So che anche l’ubriachezza non è una virtù, ed è ancor più vero. Ma la miseria, egregio signore, la miseria è un vizio. In condizioni di povertà si può conservare intatta la nobiltà dei propri sentimenti, ma nella miseria nessuno ci può riuscire. Quando si è precipitati nella miseria non si viene nemmeno buttati fuori a bastonate, ma si viene semplicemente spazzati via da ogni consorzio umano con la scopa, per aggravare l’offesa; ed è giusto così, perché nella miseria nera io per primo sono pronto a offendere me stesso. Ecco perché tanta gente si dà al bere! Egregio signore, circa un mese fa il signor Lebezjàtnikov ha picchiato la mia consorte, e la mia consorte è molto diversa da me, capite? Permettetemi inoltre di domandarvi, così, per semplice curiosità: vi è mai capitato di passare la notte sulla Neva, sui barconi da fieno?» «No, non mi è mai capitato,» rispose Raskòlnikov. «Che volete dire?» «Ebbene, io vengo da là, ed è già la quinta notte...» Si riempì il bicchierino, bevve e si fece pensieroso. Effettivamente, qua e là si vedeva della paglia sul suo vestito e perfino tra i suoi capelli. Probabilmente non si cambiava e non si lavava da cinque giorni. Le mani, in particolare, erano sudice, unte, arrossate, con le unghie nere. Quel suo discorso sembrava aver risvegliato l’attenzione generale, anche se controvoglia. Dietro il banco i ragazzi si misero a ridacchiare. Il padrone sembrava che fosse sceso apposta dal piano di sopra per ascoltare quel tipo stravagante, e si sedette un po’ in disparte, sbadigliando pigramente, ma con una certa gravità. Si vedeva che Marmelàdov, da quelle parti, era piuttosto popolare. E probabilmente quel suo modo di parlare alquanto lambiccato derivava dalle frequenti chiacchierate in quella bettola con degli sconosciuti. In certi bevitori abituali questa abitudine diventa una necessità, in special modo per quelli che in famiglia vengono maltrattati. Proprio per questo, quando sono in compagnia di altri bevitori fanno di tutto per conquistarsi l’approvazione e la stima degli altri. Il padrone gli disse ad alta voce: «Di’ un po’, buontempone. E perché non lavori, perché non vai in ufficio, se sei un funzionario?» «Perché non vado in ufficio, egregio signore?» ribatté Marmelàdov, rivolgendosi a Raskòlnikov, quasi fosse stato lui a chiederglielo, «perché non vado in ufficio? Credete forse che il cuore non mi pianga per questo mio inutile vagabondare? Quando un mese fa il signor Lebezjàtnikov picchiò con le sue mani la mia consorte, e, io stavo buttato da qualche parte ubriaco fradicio, credete che non ne abbia sofferto? Perdonate, giovanotto, vi è mai capitato... ehm... anche solo di chiedere soldi in prestito senza speranza?» «Sì, mi è capitato... ma come sarebbe a dire senza speranza?» «Cioè, completamente senza speranza, sapendo già da subito che non si otterrà nulla. Ecco, per esempio voi sapete già da prima e con assoluta certezza che un tipo, un rispettabilissimo cittadino non vi darà neanche un soldo; e perché poi, mi domando, dovrebbe darvene? Tanto, sa benissimo che non glieli restituirete. Forse per compassione? Ma il signor Lebezjàtnikov, sempre al passo con le idee nuove, spiegava proprio l’altro giorno che ai nostri tempi la compassione è perfino proibita dalla scienza, e che così si sta facendo in Inghilterra, dove c’è l’economia politica. E dunque io mi domando: perché mai dovrebbe darvene? Ebbene, pur sapendo in anticipo che non vi darà nulla, voi tuttavia vi mettete in cammino e...» «Ma perché andarci?» interruppe Raskòlnikov. «Ma perché non sapete a chi rivolgervi! Ognuno dovrà pur avere un posto dove andare. Poiché in certi momenti bisogna assolutamente avere un posto dove andare! Quando la mia unica figlia andò la prima volta a farsi iscrivere alla polizia, anch’io andai... Perché mia figlia vive col biglietto giallo...» egli aggiunse come tra parentesi, guardando il giovane con una certa inquietudine. «Non è nulla, egregio signore, non è nulla!» s’affrettò a dichiarare apparentemente con calma, quando i due ragazzi scoppiarono a ridere dietro il banco e perfino il padrone accennò un sorriso. «Non è nulla! Questo crollare di teste mi confonde le idee, tutti sanno tutto e i segreti vengono sempre a galla, prima o poi, e io considero tutto questo non con disprezzo, ma con rassegnazione. Ebbene: sia pure! ‹Ecce homo!› Permettete, giovanotto: potete voi... Ma no, per esprimermi in modo più efficace: non: potete voi, ma: oserete voi, guardandomi in questo momento, affermare che io non sono un porco?» Il giovane non rispose nulla. L’oratore riprese molto serenamente e perfino con una certa aria di dignità, aspettando che le risatine intorno si spegnessero. «Ebbene io sarò anche un porco, ma lei è una signora! Io ho l’aspetto di una bestia, mentre Katerìna Ivànovna, la mia consorte, è una persona istruita ed è figlia d’un ufficiale dello Stato Maggiore. Sì, sì, lo ammetto, io sono un perditempo, ma lei ha un cuore nobile, ed è stata educata ai più nobili sentimenti. Eppure... oh, se avesse avuto pietà di me! Egregio signore, egregio signore, ogni uomo dovrebbe avere un posto dove andare, ogni uomo dovrebbe avere un posto dove si prova pietà per lui! Katerìna Ivànovna, invece, benché magnanima, è ingiusta... E benché io stesso comprenda che quando mi tira per i capelli lo fa solo per compassione, poiché (non mi vergogno a ripeterlo) lei mi tira per i capelli, giovanotto,» confermò in tono ancora più dignitoso, udendo di nuovo delle risatine intorno a sé, «ma, Dio mio, se almeno una volta lei... Ma no! No! Tutto questo non serve a nulla, ed è inutile parlarne! Non serve a nulla!... Poiché già più d’una volta il mio desiderio è stato soddisfatto, già più volte sono stato compatito, e tuttavia... la mia natura è questa, non ci posso fare nulla: io sono un animale!» «Altro che!» osservò sbadigliando il padrone. Marmelàdov batté con forza il pugno sulla tavola. «Questa è la mia natura! Lo sapete, sapete voi, caro signore, che mi sono bevuto perfino le sue calze? Non le scarpe, giacché questo sarebbe ancora in certo qual modo nell’ordine delle cose, ma le calze, mi sono bevuto le sue calze! E mi sono bevuto anche la sua sciarpa di pelo di capra che le avevano regalato, ed era proprio sua, non mia; e abitiamo in un buco freddo e umido, e quest’inverno lei s’è raffreddata e ha cominciato a tossire: a tossire sangue, già. E abbiamo tre figli piccoli, e Katerìna Ivànovna sfacchina da mattina a sera, strofina e fa il bucato e lava i bambini, perché lei è abituata fin da piccola alla pulizia, e lei è debole di polmoni ed è predisposta alla tubercolosi, e io tutte queste cose le sento. Credete che non le senta? E più bevo, più le sento. Proprio per questo bevo, perché nel bere io cerco compassione e sentimento... Bevo perché voglio soffrire il doppio!» E, come in preda alla disperazione, chinò la testa sul tavolo. Poi proseguì risollevandosi: «Giovanotto, sul vostro viso io leggo come una specie di tristezza. L’ho notata appena siete entrato e per questo vi ho rivolto la parola. Poiché, raccontandovi la storia della mia vita, non voglio mettermi in ridicolo di fronte a questi cialtroni che mi conoscono da tempo, ma mi rivolgo a un uomo sensibile e istruito. Dovete sapere che la mia consorte è stata educata in un istituto provinciale per fanciulle nobili, e che alla licenza ballò con lo scialle in presenza del governatore e di altri personaggi, cosa per la quale ricevette la medaglia d’oro e un attestato di lode. La medaglia... be’, la medaglia l’abbiamo venduta... già da un pezzo... ehm... mentre l’attestato di lode sta ancora nel suo baule, e anche recentemente lei lo ha mostrato alla padrona di casa. E benché abbia, con questa padrona, litigi a non finire, tuttavia ha voluto far bella figura almeno davanti a qualcuno parlando dei bei tempi andati. E io non la condanno, non la condanno assolutamente, perché questa è l’ultima cosa che le è rimasta dei suoi ricordi, mentre tutto il resto è andato in polvere! Sì, sì; è una signora impulsiva, superba e inflessibile. Lava il pavimento con le sue mani e mangia pane nero, ma non ammette che le si manchi di rispetto. Proprio per questo non ha voluto chiudere un occhio sulla villania del signor Lebezjàtnikov, e quando questi l’ha picchiata, s’è messa a letto non tanto per le botte ricevute, quanto per il dispiacere. Quando la presi lei era già vedova, con tre bambini, uno più piccino dell’altro. Il primo marito era un ufficiale di fanteria e si era sposata per amore ed era fuggita insieme a lui dalla casa paterna. Lo amava alla follia, ma quello s’era dato al gioco, finì sotto processo e morì. Negli ultimi tempi la picchiava; e benché lei non glielo perdonasse, cosa di cui sono sicuro per via di certi documenti, ebbene, ancora oggi lui lo ricorda con le lacrime agli occhi e me lo rinfaccia, e io ne sono contento, ne sono contento, perché almeno nella sua immaginazione lei qualche volta è felice... Dopo la morte del marito lei era rimasta in un distretto lontano e selvaggio dove abitavo anche io, e lei era in un tale stato di miseria e di disperazione che non posso descrivere nemmeno io, nonostante ne abbia viste di tutti i colori. Nessuno dei parenti ne volle sapere nulla. E poi lei era troppo orgogliosa, troppo fiera... Allora, egregio signore, allora io, vedovo a mia volta, e con una figlia quattordicenne, mi offrii di prenderla in moglie, perché non potevo assistere a un simile strazio. Potete immaginare a quale punto di disperazione era arrivata se ha accettato di sposare me, una come lei, così bene educata e istruita! Ebbene, mi sposò! Piangendo e singhiozzando e torcendosi le mani, ma mi sposò! Perché non sapeva dove andare. Capite, capite, egregio signore, che cosa vuol dire non aver più dove andare? No! Questo voi ancora non lo capite... E per un anno intero io fatto il mio dovere coscienziosamente e santamente, senza nemmeno toccare questo (indicò con il dito il mezzo litro), poiché ho del sentimento, io. Ma non servì a nulla; e finì che persi il posto, e anche questo non per colpa mia, ma per modificazione di organici, e allora sì che lo toccai!... Sarà già un anno e mezzo che noi, dopo tante vicissitudini e vagabondaggi, siamo in questa splendida capitale, piena di tanti monumenti. E qui avevo trovato un posto... L’avevo trovato, e di nuovo l’ho perso. Capite?... E questa volta l’ho perso per colpa mia, perché è riaffiorata la mia vera natura... E adesso abitiamo in un buco, nella casa di Amàlija Fedorovna Lippevèchzel, ma non so davvero come facciamo a vivere e a pagare l’affitto. Oltre a noi ci abitano molti altri... Una vera baraonda, un posto ignobile ... eh, sì ... proprio così... E nel frattempo mia figlia, quella avuta dal primo matrimonio, è cresciuta, e preferisco non parlare di quanto l’ha fatta soffrire la matrigna. Perché anche se Katerìna Ivànovna è piena di nobili sentimenti, è una signora impulsiva e irascibile, e ha certi scatti di nervi... Già. Ma lasciamo stare questo! Come potete immaginare Sònja non ha ricevuto una vera educazione. Avevo provato, quattro anni fa, a fare con lei un po’ di geografia e di storia universale, ma siccome io stesso non ero ferrato, e non avevo neanche dei buoni libri … ora non ci sono più neanche quelli … beh, insomma, tutto l’insegnamento finì ben presto. Ci fermammo a Ciro il Persiano. Poi, raggiunta un’età più adulta, ha letto qualche romanzo; anche di recente, un libretto avuto dal signor Lebezjàtnikov, la Fisiologia di Lewis - lo conoscete? -, l’ha letto con grande interesse e ce ne ha perfino parlato un poco. La sua istruzione è tutta qui. E adesso, mio egregio signore, voglio rivolgervi una domanda di carattere privato: secondo voi, una fanciulla povera ma onesta può guadagnare a sufficienza con un lavoro onesto? Una ragazza onesta e senza doti particolari non riesce ad arrivare nemmeno a quindici copeche al giorno, caro mio! E per di più il consigliere di Stato Ivàn Ivànovic Klòpštok - l’avete mai sentito nominare? - non solo non le ha ancora dato i soldi per avergli cucito mezza dozzina di camicie di tela d’Olanda, ma l’ha perfino scacciata insultandola, col pretesto che il collo delle camicie non aveva la misura giusta ed era cucito storto. E intanto i bambini soffrono la fame... E Katerìna Ivànovna si torce le mani e cammina su e giù per la stanza e le vengono le macchie rosse sulle guance, come accade sempre con questa malattia: ‹Brutta mangiapane a tradimento, te ne stai qui in casa con noi, mangi e bevi e ti godi il caldo›; che cosa volete che beva e che mangi poi, quando perfino i bimbi sono tre giorni che non hanno nulla da mangiare! Io, quella volta, ero a letto... beh, sì, lo ammetto, ero ubriaco fradicio, e sento la mia Sònja che dice (non è tipo da rispondere, e ha una vocina così flebile... è biondina, col visetto sempre pallido, magrolino), sento che dice: ‹Katerìna Ivànovna, dovrei proprio andar a fare una cosa simile?› Ma Dàrja Fràncovna, una donna malvagia e nota alla polizia, già per tre volte aveva chiesto informazioni per mezzo della padrona di casa. ‹Che c’è,› risponde Katerìna Ivànovna, rifacendole il verso, ‹che c’è da custodire? Bel tesoro davvero!› Voi però non fatele colpa, non fatele colpa, egregio signore, non fatele colpa! Queste parole non sono state dette con freddezza, ma con i sensi sconvolti, sotto l’effetto della malattia, e mentre i bimbi affamati piangevano, e poi furono dette più per offendere che nel loro preciso significato... Perché Katerìna Ivànovna ha un carattere così, e appena i bimbi piangono, anche se piangono per fame, subito comincia a picchiarli. E verso le sei vidi Sònecka alzarsi, mettersi in testa un fazzoletto, indossare la mantellina e uscire di casa, per tornare poi dopo le otto.
Lettura gratuita per i nuovi utenti
Scansiona per scaricare l'app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Scrittore
  • chap_listIndice
  • likeAGGIUNGI