Chapter 4

2073 Parole
Capitolo tre: nel quale accade che grandi perturbamenti vengano annunciati da eventi minimiNessuno parlò, si sentì soltanto il ronzio e lo scatto dell’apriporta. Ci voleva un braccio forzuto per spingere quella parete di legno alta più di due metri e spessa un palmo. L’altra anta era fissata con un lungo perno che s’infilava nel pavimento. I loro passi rimbombavano sotto la luce fioca della lampadina che pendeva dal soffitto a volta, e si vedevano le nuvolette del fiato. In quell’androne si respirava antichità, unico tocco che riportava a epoche un poco più recenti erano le cassette della posta appese ad una parete, anziane ma non medioevali. Il pavimento era a scacchi bianchi e neri di marmo alternato all’ardesia, ed una scala polverosa conduceva ai piani superiori. A sinistra dello scalone c’era una balaustra anch’essa di marmo, preceduta da una colonna antica. Erano abbastanza tranquilli, perché non stavano per vedere qualcosa di violento, e comunque dei veri sbirri sono abituati a tutto, eppure si sentivano tristi, di una tristezza intensa, come umidità che trasudi da un muro. Salirono le scale. L’ispettrice si guardava intorno, anche se conosceva alcuni nomi accanto ai campanelli, li leggeva lo stesso, forse per vedere se c’erano stati cambi d’inquilini. Gli appartamenti erano tre per ogni piano. Tre per tre nove, il quarto piano doveva essere tutto occupato dall’abitazione della vecchia, però non ricordava d’essere più salita lassù da molto tempo. La signora Ildebranda non aveva venduto nessun alloggio, pertanto lo stabile era ancora tutto di sua proprietà e non era nemmeno l’unico che possedesse in Albenga. Sarà stata capace di godersi la vita? La vita ce la si gode soprattutto in gioventù e se l’ispettrice si sforzava di andare indietro con la memoria, a prima che morisse suo padre e ancora più indietro, a quand’era ragazzina, insomma ai primi tempi in cui la sua famiglia era andata ad abitare lì, non riusciva a ricordare la signora Peluffo diversamente che nel suo aspetto di vecchia. Poi pensò che certamente era stata giovane, o di certo meno vecchia; il punto è che ai giovani, i vecchi sembrano sempre più vecchi, anche quando non lo sono ancora. Al terzo piano, la Negri entrò nell’appartamento della madre, scomparve nel lungo corridoio senza chiudersi la porta alle spalle e riapparve pochi secondi dopo. Ripresero a salire per gli erti gradini e quando arrivarono al quarto piano, tutti più o meno con il fiatone, non dovettero suonare il campanello, perché la porta era aperta. Dietro a quella porta stava una donna, con la tempia appoggiata allo stipite che si fece da parte per farli entrare, il tutto senza dire una parola. L’ispettore della scientifica entrò per primo, la Negri diede una breve occhiata al suo capo, lui con un cenno la invitò a varcare la soglia ed infine entrò a sua volta, ma quando passò accanto alla figura femminile che aveva atteso il suo ingresso per chiudere la porta, non poté non sollevare lo sguardo e fissarlo negli occhi di lei. Fu sicuro che tutti i blu che aveva visto nella sua vita fossero stati macchie sbiadite di un colore del quale aveva ignorato la profonda essenza fino a quel momento. Gli occhi della sconosciuta erano blu, ‘il Blu’: non azzurri, grigi, verdazzurri, no erano blu; il blu delle vetrate colorate delle cattedrali gotiche. Ed in quel blu c’era un dolore infinito, un’inesprimibile stanchezza di vivere, una rassegnazione amara che però lasciava affiorare un palpito di vitalità. Non pensò di essere scemo ad aver immaginato tutte quelle sensazioni con un semplice sguardo: fu sicuro di non essersi sbagliato. Quello era il blu di una persona fuori del comune, in quale direzione però non aveva idea. Il collega della scientifica aveva già percorso il corridoio scuro fino alla camera della defunta, dietro a lui Simonetta, poi Rebaudengo ed infine la badante, giacché era presumibile si trattasse di lei, anche se non si era ancora presentata e non aveva aperto bocca. Quel suo silenzio non aveva dato un’impressione di ostilità, ma piuttosto di discrezione, come se la donna avesse ritenuto scortese attirare l’attenzione su di sé ed avesse preferito far scegliere a loro, i poliziotti, il momento di cominciare con le domande. Nella camera era tutto in ordine, quasi troppo; l’odore di morte sembrava più immaginario che reale. Il medico curante non c’era ancora. “Negri, il medico arriva?”. “Sì, mi ha detto che tempo una ventina di minuti sarebbe stato qui, ma da quando l’ho chiamato sarà passata anche mezz’ora”. “Si chiama?”. “Dottor Ferrari, Ettore Ferrari, è a un passo dalla pensione ed è stato il medico della signora per anni, quindi la conosce molto bene”. “Che impressione ti ha fatto quando gli hai dato la notizia?”. “Lì per lì non ha detto niente, mi ha ascoltato. Mi è sembrato moderatamente dispiaciuto e appena un po’ sorpreso…”. In quel momento si sentì il ronzio del citofono e dopo pochi minuti il medico fece il suo ingresso nella stanza, ansando un po’. Era un uomo che doveva aver passato da poco la sessantina, grassoccio e dall’aria sussiegosa. Porse la mano ai funzionari di polizia, ignorando la badante che scomparve, probabilmente in cucina, abituata a non esistere. Bartolomeo fece un cenno del capo alla Negri che la seguì, mentre sfoderava biro e taccuino. Il dottore si avvicinò al letto, incurante dell’uomo della scientifica, che si limitava ad osservare la scena, facendo qualche fotografia, spostando pochi oggetti con i guanti di lattice, stando ben attento a non toccare il letto o il cadavere. Il medico cambiò gli occhiali, non si mise i guanti e osservò la sua paziente, chinandosi su di lei. Le toccò una mano che era già rigida, poi la posò e si mise ad osservare le medicine sul comodino ed un bicchiere con un liquido opaco, lattiginoso, bevuto a metà o forse riempito a metà. Si avvicinò al comò ed osservò altre due o tre confezioni di farmaci. Tornò presso il letto e ispezionò le dita e le unghie del cadavere con più attenzione, dopo aver tirato fuori una lente dalla sua valigetta. Ruotò leggermente il tronco della donna e verificò i segni d’ipostasi che apparivano sulle zone di pelle lasciate scoperte dalla camicia da notte. “Potrebbe trattarsi di un dosaggio errato di farmaci? Oppure questo evento era prevedibile nel quadro clinico della sua paziente?”, ruppe il silenzio Bartolomeo che si era via via sempre più irritato per i gesti del medico, condotti con aria d’importanza e di contegnoso riserbo, come se i presenti fossero stati degli esseri inferiori, incapaci di afferrare il senso profondo delle sue manovre. Ferrari si riscosse all’improvviso quando sentì la voce del commissario e lo guardò, quasi stupito di vederselo lì, ma continuò a tacere, come se avesse perso l’uso della lingua. “Forse la mia domanda non è stata chiara: date le condizioni della paziente, era se non prevedibile almeno possibile un evento come questo, cioè una morte improvvisa non preannunciata da alcun aggravamento, oppure si può ipotizzare un evento esterno, un farmaco dimenticato oppure preso in eccesso? In poche parole: la signora Peluffo soffriva di qualche patologia riconosciuta?”. Il dottor Ferrari, comprendendo che davanti a lui c’era un essere pensante, sebbene si trattasse solo di un poliziotto, giunse alla conclusione non rapidissima che costui si aspettasse delle risposte. Finalmente si sentì la sua voce. “Aveva piccoli guasti, dovuti soprattutto all’età, ma nulla di più drammatico o predominante sul resto”. “In spiccioli?”, domandò Rebaudengo sempre più irritato da quel modo di fare. “Un’ernia iatale che le comportava un reflusso gastrico…”. “Ho visto che la rete del letto dal lato della testa è appoggiata su due tacche che danno una leggera pendenza verso i piedi ed ho immaginato che lo scopo fosse impedire il reflusso. Poi sul comò c’è uno sciroppo che conosco. Vada avanti, oltre al reflusso gastrico?”. Il dottore lo guardò perplesso, faticando ad arrendersi all’intelligenza dell’interlocutore. “Poi c’era una leggera ipertensione, ben stabilizzata con l’uso di betabloccanti, ma in un dosaggio moderato, glicemia alta anche se non ancora diabete, niente aritmie, mai un TIA…”. “Per TIA credo intenda ischemia cerebrale temporanea, vero?”, adesso voleva fargli vedere che anche lui aveva studiato… Poi si sentì scemo ad entrare in competizione con quel vecchio barbagianni e piantò lì. “Sì…”. “Quindi in poche parole: una vecchia sana, giusto?”. “Giusto… Però…”. “Però anche una vecchia sana, per quanto sana, proprio perché è vecchia può morire all’improvviso, anzi, tutti noi possiamo morire all’improvviso, vero dottore?”. “Sì…”. “Ok. Ci pensa lei a stendere un certificato di morte o giudica sia consigliabile l’intervento di un medico legale?”. Sembrava che quel vecchio dottore non si fosse mai trovato ad avere a che fare con la polizia, che la sua carriera professionale fosse scorsa tranquilla, mai sfiorata da dubbi o brutture del mondo. Di sofferenze e morte doveva averne visto anche lui, eppure niente era riuscito a perturbare l’olimpo della sua superficialità. Era soltanto un uomo ottuso, che era riuscito a vivere l’intera sua vita, come tanti del resto, proteggendo se stesso e curando i suoi assistiti più per necessità che per vocazione. Bartolomeo aveva deciso che non gli piaceva, ma non poteva farci niente. Non vedeva l’ora che il tizio scrivesse quel che doveva scrivere e portasse fuori di lì il suo bel cappotto color cammello. La signora Ildebranda non s’era affannata a cercarsi un medico della mutua serio e capace, probabilmente perché nelle occasioni in cui aveva temuto per la propria salute si era affidata a specialisti, ed il meschino le era andato giusto bene per trascrivere ricette e richieste di esami. Di sicuro non era il solo a questo mondo ad esser campato facendo lo scribacchino, attività poco gloriosa, ma sicura per arrivare alla pensione. “Mah… io non direi che serva un medico legale. La guardi, è solo una vecchia morta di vecchiaia nel proprio letto, come tutti vorremmo accadesse anche a noi, non le pare?”. “A me non pare proprio niente, il medico è lei, se lei ritiene di poter stendere un certificato di morte naturale, lo faccia, è il suo dovere e noi non le chiederemo altro”. Più che rispondere, brontolava contro quella figura antipatica ed intanto si avvicinava al cadavere, attratto dalla curiosità di Martelli che fotografava da vicino, molto vicino la faccia della vecchia. “Cos’hai visto?”. “Dottor Rebaudengo, io non sono un medico, ma impiccati ne ho già visti parecchi, e anche qualche donna strangolata”. Tutte le antenne invisibili di Bartolomeo si tirarono su perché raramente Martelli si lanciava in esordi simili. Oltre all’allarme, provò anche un senso di compiacimento che il suo uomo avesse notato qualcosa che era sfuggito al dottore, il quale dal canto suo aveva interrotto il gesto di estrarre blocco e penna dalla valigetta e s’era voltato verso il letto e verso il poliziotto, ostentando un sopracciglio scettico. Poi aveva guardato Rebaudengo, in attesa di un rimprovero che non ci fu. “E…?”, domandò Bartolomeo. “E questi minuscoli puntini rossi presenti nell’occhio mi danno da pensare. Aspetti un attimo… Dottor Ferrari, lo fa lei o lo faccio io di scostare il labbro dalla gengiva e magari anche sollevare una palpebra? se non ne ha voglia non c’è problema, sa, poi bisognerebbe illuminare bene”, e ormai l’ironia era palese. Il dottore, incerto sul da farsi, si voltò di nuovo verso Rebaudengo. Adesso il dirigente avrebbe di sicuro rimproverato il suo sottoposto per tanta superbia, invece lo sentì dire: “Pensa di farcela?”. “Ma che modi, certo che penso di farcela, sono un medico!”. “Nessuno lo mette in dubbio… E poi è solo un controllo, non tema, d’altronde il certificato di morte non aveva neppure cominciato a scriverlo, giusto?”. Il medico fece quel che doveva fare e rimase, come suo solito, in silenzio. “Allora?”. “Certo che, mah, non saprei… Sì, sembrerebbero petecchie…”. “Sia nell’occhio che sulla mucosa della bocca?”. “Beh, sembrerebbe di sì…”. “Lasciamo perdere”, concluse secco Bartolomeo intanto che faceva il numero di cellulare di Ugo Bottini. Diede le spalle alla stanza e parlottò per nemmeno un minuto. Subito dopo chiamò Ardelia. Poi si rivolse al medico che stava chiudendo la sua cartella con una smorfia seccata, con la bocca all’ingiù, alla maniera dei bambini. “Lei è vicino alla pensione, dottor Ferrari e va bene così, la rispetto perché è anziano, non per il suo modo di lavorare. Pensi soltanto questo, boia faus: un dottorino giovane avrebbe anche potuto prenderci una cantonata, ma non sarebbe dovuto succedere ad una persona della sua esperienza, o no? E poi, lasciarsi sfuggire un dettaglio che, invece, viene raccolto da un poliziotto: che figura! Arrivederci!”. Dopo mezz’ora l’appartamento era pieno di gente, Simonetta Negri era scesa un momento a casa di sua madre e Bartolomeo stava interrogando la badante, perché il quadro era cambiato, e parecchio. Lui non usava mai quadernetto e biro perché sapeva che al momento opportuno tutto sarebbe stato verbalizzato. Quegli interrogatori gli servivano per annusare l’avversario, per saggiarne la forza, per sondarne lo sguardo, per osservare i gesti, la direzione degli occhi, per insinuarsi tra le pause, tra i respiri, per valutarne la logica. quasi quasi alla fine di tutto ciò, le risposte erano l’aspetto meno importante, anche perché quelle domande sarebbero state ripetute decine e decine di volte, da persone ed in luoghi diversi, nonché rigorosamente registrate e trascritte.
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