"Per favore... Per favore, dammelo... Ti prego," supplico tra respiri affannosi, mentre le lacrime scorrono sulle mie guance. Mi dimeno e mi contorco, ma come sempre è inutile. Non ho voce in capitolo. Tutto ciò che posso fare è sperare che mi diano l'unica cosa che può portare via tutto. E presto, lo fanno. Sento il freddo pungente dell'ago e il bruciore mentre viene spinto più in profondità nell'incavo del mio gomito. E presto... il nulla. Va meglio così.
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"Alzati, stronza. Sei in ritardo per la scuola," sento qualcuno dire mentre mi arriva uno schiaffo leggero sulla faccia.
"Mmmm," gemo, ma un colpo forte sul sedere mi fa sobbalzare, facendomi alzare di scatto mentre prendo un grande respiro ansimante.
"Ehi, guarda chi si è svegliata," ride uno degli amici di mio patrigno. Ugh, li odio. Li odio così tanto.
"Stai ferma, e ti lascerò andare," dice mio patrigno mentre si avvicina, cercando la chiave giusta nel mazzo che ha in mano. Improvvisamente mi rendo conto di cosa sta succedendo. Sono ammanettata al letto, indosso solo la biancheria intima. Ero stesa a pancia in giù con le ginocchia piegate sotto di me, il sedere in aria. Mi sento così umiliata, ma ormai ci sono abituata.
"È davvero lunedì?" chiedo mentre mio patrigno sblocca le manette.
"Sì."
"Ugh, dovevi proprio portarmi via tutto il weekend? Avevo dei compiti da consegnare oggi," mi lamento.
"Be’, ti andrà bene se riesci ad arrivare a scuola in tempo. Forse ce la fai se esci subito," dice uno degli amici di mio patrigno, guardando l'orologio appeso al muro. "E comunque eri tu che imploravi per l’eroina. Non essere arrabbiata se te l’abbiamo data."
"Stavo implorando qualcosa per fermare il dolore, non per farvi rubare il mio intero weekend, idioti," ribatto, strofinandomi i polsi per far riprendere la circolazione.
"Sei stata molto divertente," interviene un altro degli amici di mio patrigno mentre si versa del bourbon. Sono le sette del mattino, hai quarant’anni e stai già bevendo. Rilassati. Alzo gli occhi al cielo mentre salto giù dal letto e comincio a rovistare nei cassetti del comò per trovare qualcosa da mettermi per andare a scuola, mentre i disgustosi amici di mio patrigno escono finalmente dalla mia stanza.
Mi infilo sotto la doccia nel bagno collegato alla mia camera e mi lavo via lo sporco dal corpo. Non ho abbastanza tempo per lavarmi i capelli, quindi oggi lo shampoo secco sarà il mio migliore amico. Una volta uscita dalla doccia, mi asciugo in fretta e mi metto una maglietta e i leggings. Poi indosso i jeans sopra i leggings, una felpa con cappuccio e una giacca sopra tutto.
Lo so, sono tanti strati, ma non mi piace che la gente mi tocchi. Voglio mettere più distanza possibile tra me e loro. Inoltre, quando torno a casa, a volte non riesco nemmeno a posare lo zaino prima che mi infilino delle pillole in bocca o mi iniettino un sedativo per farmi perdere i sensi, così mio patrigno e i suoi amici possono divertirsi. Indossare molti vestiti significa guadagnare più tempo mentre cercano di togliermeli.
Esco di corsa dalla porta e mi dirigo per la strada. Per fortuna la scuola dista solo una decina di minuti a piedi, quindi non arriverò troppo tardi. Odio arrivare in ritardo. Voglio andare bene a scuola perché voglio andarmene da qui. Via da questa città e lontano da quella che chiamano famiglia. Il figlio d’oro, mio fratellastro Jeff, ha una macchina tutta sua per andare a scuola e divertirsi con i suoi amici. Ma io non posso nemmeno chiedergli un passaggio. Non fraintendermi, Jeff non è una persona terribile; è solo uno stronzo. Ma la maggior parte dei ragazzi lo sono durante l’adolescenza. Lui non sa cosa mi fanno mio patrigno e i suoi amici. Non ne ha idea, ma anche mio patrigno è molto attento. Permette ai suoi amici di toccarmi solo quando Jeff è fuori casa o mi stordisce, così non faccio troppo rumore o non mi ribello. Una volta mi ribellavo tanto, ora faccio solo rumore, supplicando per una dose. Basta che mi faccia stare meglio… anche solo per un po’.
Arrivo a scuola e corro dentro appena suona la campanella. Mi avvio verso la mia prima lezione e mi infilo in un posto in fondo alla classe proprio quando entra l’insegnante. Tiro fuori velocemente i compiti che devo consegnare oggi e cerco di finirne il più possibile prima che l’insegnante li raccolga. Mentre scrivo freneticamente, sento la porta della classe aprirsi di nuovo.
"Deve essere il nuovo ragazzo," dice l’insegnante. "Classe, abbiamo un nuovo studente. Presentati. Sii veloce."
"Sono Tyler." Alzo lo sguardo dai miei compiti e vedo un ragazzo alto e biondo. È carino. "Sono nuovo qui. Mi sono appena trasferito dalla città, quindi non sono nuovo della zona, solo della scuola." Continua a parlare, e io torno ai miei compiti.
"Perfetto. Ora trova un posto," dice l’insegnante, scacciandolo con un gesto per poter iniziare la lezione. Notando un movimento alla mia destra, mi giro a guardare. Tyler si siede accanto a me con un sorriso. Ricambio il sorriso.
"Ehi... Sono Tyler," dice quando incrocio il suo sguardo.
"Blake." Annuisco, poi torno ai miei compiti.
"Questo posto è occupato?"
"Fai pure."
"Cosa stai facendo?"
"Compiti."
"Oh, sei di quelli che rispettano le scadenze fino all’ultimo minuto?" chiede con un cenno del capo.
"Sembra di sì," rispondo con un’alzata di spalle, senza guardarlo.
"Ok, classe. Consegnate i compiti di oggi," dice l’insegnante. No. Speravo di avere più tempo. L’insegnante passa tra i banchi a raccogliere i compiti; dato che sono in fondo, il mio foglio quasi vuoto finisce sopra tutti gli altri. Il signor Dawson si ferma e lo guarda.
"Mi aspetto di più dai miei studenti. Lo sai, Blake. Se avessi scelta, non permetterei a idioti come te di stare nella mia classe. Non ho intenzione di sprecare il mio tempo con te," dice, lanciandomi uno sguardo pieno di disgusto prima di tornare alla cattedra.
"Accidenti, è stato duro," dice Tyler, guardandomi con aria di compassione.
"Va bene. Ci sono abituata," sospiro. Ed è vero… la maggior parte dei miei insegnanti pensa che io sia un inutile spreco di spazio. Non voglio esserlo, ma lo sono.
"Non dovrebbe parlarti in quel modo, e se pensa che sei stupida, è solo perché sta fallendo nel suo lavoro." Tyler mi difende.
"Va bene. Lascia perdere," dico, tirandomi il cappuccio sulla testa. Vorrei solo nascondermi dal mondo. Te l’ho detto: sono abituata all’umiliazione.
La lezione passa lentamente. Alla fine dell’ora, sono congelata, la pelle mi brucia e desidero solo un colpo di qualcosa per calmare i nervi. Appena suona la campanella, butto tutto nello zaino ed esco dalla classe senza dire una parola. Corro fuori e accendo una sigaretta. Non è quello che voglio davvero, ma farà il suo lavoro per un po’. Odio desiderare le droghe. Non voglio drogarmi, ma mi aiutano a fermare il dolore. E tutto ciò che voglio è che il dolore finisca.
"Ehi, Blake, aspetta," dice Tyler dietro di me. Ugh.
"Cosa?" chiedo, fermandomi e girandomi verso di lui.
"Il professor Dawson è sempre così?" chiede.
"Così come?"
"Giudicante e sempre pronto a umiliare le persone davanti a tutti," dice, iniziando a camminare accanto a me. Faccio un tiro dalla mia sigaretta.
"Sì. Ma non è così con tutti. Solo con gli idioti," dico, soffiando il fumo.
"Tu non sei un’idiota," dice Tyler.
"Sì, beh, probabilmente sei l’unico in questa scuola a crederlo," rispondo, prendendo un altro tiro.
"Posso fare un tiro?"
"Certo. Tieni." Gli porgo la sigaretta.
"Qual è la tua prossima lezione?" mi chiede, soffiando il fumo.
"Storia. E la tua?"
"Inglese," risponde.
"Be’, buon divertimento," dico, riprendendomi la sigaretta e girandomi per andare via.
"Aspetta... posso sedermi con te a pranzo?" chiede.
"Non lo farei se fossi in te," rispondo con una scrollata di spalle.
"Perché no? Siamo amici, no?" domanda.
"È il tuo funerale," dico, andando verso la mia prossima lezione.
"Fatti da parte, perdente," dice qualcuno urtandomi mentre passa, spingendomi contro un armadietto e facendomi cadere la sigaretta. Maledizione.
La lezione successiva va ancora più lenta della prima. Per fortuna è finalmente ora di pranzo. Prendo delle patatine e una bibita dal distributore automatico e mi siedo al mio solito posto, nell’angolo in fondo alla mensa vicino al cestino. Nessuno si siede lì di solito, quindi è il posto perfetto per una come me, una nessuno. Apro la lattina della mia bibita, e vedo un’ombra passare davanti a me.
"Ehi, Blake," sento una voce familiare.
"Tyler," dico senza nemmeno alzare lo sguardo. Lui appoggia il suo vassoio davanti a me e si siede.
"Sai, quando ti ho chiesto di pranzare insieme, pensavo avessi degli amici che si sarebbero uniti a noi," dice con un sorriso.
"E cosa, nella nostra limitata interazione, ti ha fatto pensare che io abbia degli amici?" rispondo sorridendo. Improvvisamente, un rumore forte riempie la sala e le persone iniziano a parlare più forte quando Jeff entra.
"Vuoi farti degli amici? Parla con quello," dico, indicando Jeff con un cenno.
"No, sembra uno stronzo," dice Tyler.
"Be’, non hai tutti i torti," rispondo con un sospiro.
"Sembra che tu lo conosca bene," commenta Tyler.
"Purtroppo, sì."
"Ex ragazzo?"
"Ew, che schifo. È mio fratellastro. E si comporta come se camminasse sull’acqua anche a casa."
"Ma davvero? Tu e quel tipo siete parenti?" chiede Tyler, girandosi a guardare Jeff e poi tornando a fissarmi. "Sembri così..."
"Diversa?" dico, alzando un sopracciglio.
"Stavo per dire che sembri figa rispetto a quello, ma diversa funziona," scherza Tyler.
"Sì, beh, nessuno sa che siamo parenti. Nessuno qui sa nemmeno che esisto, e se mi notano, mi odiano," gli spiego. "Quindi, se vuoi avere una vita sociale, ti consiglio di cambiare tavolo prima che qualcuno ti veda," lo avverto.
"Chissenefrega, odio la maggior parte delle persone," dice con una risata e un’alzata di spalle.
"Anch’io," sospiro.
"Quanti anni hai?" mi chiede Tyler.
"18. Sono all’ultimo anno," gli rispondo.
"Perfetto. Ti ricordi quando in classe ho detto che non sono nuovo da queste parti? Vengo dalla città, ma ci siamo trasferiti appena fuori e sono finito in un altro distretto scolastico, quindi eccomi qua?" chiede.
"Sì..." gli lancio uno sguardo interrogativo.
"Be’, ho un amico in città che possiede un locale. Questo fine settimana ha organizzato un grande... evento, e mi ha detto che posso portare un amico," spiega Tyler.
"Allora ti conviene trovarti degli amici," rispondo.
"Stavo invitando te," dice Tyler con un’espressione seria.
"Non posso," dico, stringendomi nelle spalle.
"Perché no?" chiede Tyler, sollevando un sopracciglio.
"Mio patrigno mi tiene al guinzaglio," letteralmente. "Non penso che gli piacerebbe sapere che vado in un locale," gli spiego.
"Non pensi che ti lascerebbe uscire per una sera?" chiede Tyler.
"Magari... ma no," rispondo.
"Dai, è solo un venerdì sera. Non potresti dire che vai alla partita di calcio di tuo fratellastro? Oppure scappare per un paio d’ore?" Tyler insiste.
"Non so cosa succederebbe se semplicemente non tornassi a casa dopo scuola," mormoro a me stessa.
"Perfetto. Allora è deciso. Venerdì, tu ed io passiamo un paio d’ore insieme dopo scuola, poi andiamo al locale. E ti riporto a casa subito dopo. Qual è il peggio che può succedere? Ti mettono in punizione per il resto del weekend," dice Tyler con un sorriso.
Magari. Ho la sensazione che andrà molto peggio, però.