Prologo
Milano, 9 agosto 2004, ore 15,00
L’acqua che ondeggia nel bicchiere per il fluttuare della mia mano è fresca, ma non ha le bollicine e sa di cloro: è quanto di meglio sono riusciti a darmi in questo locale. Anche il servizio al tavolo lascia un po’ a desiderare, d’altro canto le circostanze sono tali per cui...
Spero, però, che il fumo della mia sigaretta non dia molto fastidio a chi mi sta attorno, in fondo sono qui per me e credo che siano disposti a sopportare anche il fatto che oggi non ho i capelli a posto e tutto il resto è un po’ in disordine.
Li fisso a turno, uno dopo l’altro, per fortuna c’è anche una donna e questo mi fa sentire più a mio agio. Hanno tutti un immenso desiderio di starmi ad ascoltare e mi guardano a loro volta come a dire: “Forza dai, raccontaci tutto. Facci sognare!”.
E io li accontento…
“Quando l’ho visto per la prima volta, ho subito provato sentimenti non previsti, che credevo non avrebbero mai fatto parte del mio patrimonio interiore e che giungessero da mondi lontani e sconosciuti, fuori dalla mia portata e dal mio intorno immaginario. Sentimenti mai provati prima e, dunque, inesplorati, svelatisi all’improvviso, senza preavviso alcuno.
La sua bellezza mi lasciò senza parole per un istante, che mi sembrò durare l’eternità di una manciata di secondi.
Quando mi vide anche lui, notai subito nei suoi splendidi occhi azzurri tutte le carte in regola per un innamoramento a presa rapida, ma credo che anche per lui non sia stato facile accogliere dentro di sé un sentimento così, come dire... tendenzialmente scomodo.
Sentimenti inesplorati.
Ma non illogici, e siccome penso che nella vita tutto abbia un senso, credo anche che spetti a ciascuno di noi coglierlo e interpretarlo nel modo che riteniamo più opportuno. Conformandolo alla nostra condizione di appartenenza a determinati spazi vitali e ampiezze temporali.
Bastò poco, perché diventassimo quattro occhi mescolati insieme, al punto da non capire più quali fossero i miei e quali i suoi. Con un pensiero fisso in testa: godere insieme e poi affrontare l’accaduto seduti al tavolino di un bar situato il più lontano possibile dal pianeta Terra”.
Le persone che mi sono sedute davanti, chiedono gentilmente di non attardarmi ancora in dettagli, a parer loro, poco rilevanti e sembrano ora desiderare che io mi addentri nei particolari più significativi della storia. Noto in loro una certa impazienza e la cupidigia di chi controlla a stento la propria curiosità.
E io li accontento di nuovo…
“Non perdemmo tempo: fu un vero e proprio colpo di fulmine. Almeno per lui che, bello come un adone, si avvicinò a me con un fare indeciso... di chi invece sa bene quello che vuole. Io, per tutta risposta, mi chinai e feci finta di raccogliere 50.000 lire da terra. Mi rialzai facendo scorrere il mio sguardo spermatico, consentitemi qualche volgare reminiscenza da liceo, che definirei per l’appunto, famelico, a un passo da ogni piega e protuberanza dei suoi pantaloni. E sventolando davanti ai suoi occhi la banconota bordeaux, gli dissi: – Guarda guarda... È proprio il destino a far sì che io ti inviti a cena questa sera!
Il mio dito indice tra gli incisivi di una bocca dischiusa, la raccontava davvero lunga su quanto fosse caparbio, adesso, il mio richiamo della foresta.
Cinquant’anni in due fecero il resto.
Nonostante si fosse mostrato da subito molto disinibito nei costumi sessuali, era al contrario un ragazzo piuttosto insicuro e facilmente dominabile fuori dal letto. Dal tavolo della cucina, dal tappeto, dallo scrittoio del mio studiolo. Ma io lo sapevo già...
Ciò mi spinse ad assumere un comportamento che oggi definirei quantomeno imperdonabile. Lo ammetto, ma era il prodotto finito di una serie di ragionamenti approdati sul punto di non ritorno della spiaggia della mia felicità alla quale oramai non avrei mai più rinunciato. E non guardatemi con quella luce di disapprovazione negli occhi, perché è stata anche un po’ colpa sua, visto che poteva tirarsi indietro in ogni momento.
Se io l’avessi voluto, se io gliel’avessi concesso.
Sapevo di piacergli. In effetti facevo di tutto per farlo innamorare sempre di più, fin dal giorno in cui presi la mia improrogabile decisione. I tempi che avevo scelto erano perfetti: né troppo lunghi, né troppo brevi.
Fu la consapevolezza piena che si aggirava libera nella mia testa, a darmi forza e sicurezza in quel momento fatto di vuoti d’aria, atterraggi e decolli che gestivo con difficoltà, ma come sempre con uno speciale self-control per il quale ho un’attitudine imbattibile. Per non dire magica...
Fu allora, che mi lanciai nel vuoto come un bungee jumper, e glielo chiesi.
Lui rimase, mmm, sorpreso? Disorientato? Forse, dovrei dire sbigottito?
Durante l’accesa discussione che ne seguì, lui cercò di farmi ragionare, spiegandomi che gli piacevo tantissimo, ma che questo non bastava a farlo sentire pronto di fronte a una simile proposta che gli avrebbe cambiato la vita. Mi disse che, per affrontare un passo del genere, avrebbe avuto bisogno di più tempo per riflettere.
A quel punto, le mie mani si insinuarono tra i suoi capelli neri e lo baciai con così tanta passione, che le nostre lingue seguirono percorsi di libidine inconsueti che fecero fatica poi a ripercorrere, per ritrovare la loro sede abituale.
Un groviglio di denti, saliva e carne come pochi prima di allora, direbbero in coro Cicciolina e Moana Pozzi se fosse ancora viva.
Guardandolo diritto negli occhi, con uno sguardo immenso che conteneva tutto l’amore che avevo deciso di mostrargli in quella circostanza alquanto insolita e con il tono più accattivante che potessi sfoggiare in quel preciso istante, così tanto agognato nei giorni passati, gli chiesi: -Ne sei proprio sicuro?
La mia mano infilata nei suoi pantaloni e la fibbia della cinta che premeva forte contro il mio polso fino quasi a ferirlo.
Ma la passione di entrambi non fu più così intensa: in quel gioco di potere che gli avevo costruito intorno come mura di cinta inespugnabili, che, e non mi sbagliavo, non sarebbe nemmeno più riuscito a scavalcare per fuggire altrove, finalmente anche per lui era arrivato il punto di non ritorno. Aveva superato da tempo quel dolce punto di equilibrio opportunamente stabile dei primi giorni del nostro utilissimo rapporto. Ciò mi valse una duplice vittoria su due importantissimi fronti della mia personalissima guerra: quello in cui accettò di compiere insieme a me il passo fatidico e la fissazione della data tanto sospirata: 23 aprile 1988.