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Appena cominciò l’inno reale
la gente ner teatro s’arzò in piedi,
soltanto Giovannino lo speziale
perch’era socialista, restò a séde.
Tutti dissero: Alla porta!
Lui rispose: Che m’importa?!
Io c’ho piacere
conservo li principi ner sedere… 12
11 giugno 1938 – sabato
In collegio l’anno scolastico si conclude con una solenne cerimonia in due tempi “alla presenza di autorità ecclesiastiche, politiche e militari”, recita il cartoncino d’invito per le famiglie. Prima il Saggio ginnico – esibizione di disciplina, entusiasmo e granitica gioventù – poi la Premiazione, durante cui vengono consegnate agli allievi più meritevoli medaglie d’oro, d’argento, di bronzo e altri attestati di encomio e benemerenza.
Assiso su una poltrona barocca al centro del palco allestito nel cortile grande, spicca, cito sempre il foglietto d’invito, “Sua Eminenza Rev.ma il Signor Cardinale Francesco Valsetti Marcheggiani – Vicario Generale di Roma – Arciprete della Basilica di San Giovanni in Laterano”. Alto, secco, incartapecorito, avvolto nel mantello purpureo più lungo dello strascico di una sposa.
La lugubre figura alla destra del prelato è il rappresentante del governo: ancora una volta l’Eccellenza Renato Circi, già Sottosegretario all’Educazione Nazionale, oggi alle Corporazioni. Colui che, per leccare il c... al Lazzarone, aveva avuto l’idea del Colosso littorio da erigere sulle pendici di Monte Mario, vicino al Foro Mussolini. Una statua alta più di ottanta metri ufficialmente dedicata a Ercole Vincitore ma con la faccia del Pursèl, ignudo, con solo una pelle di leone a coprirgli le pudenda e il tafanario!13 Meno male che le sanzioni ci obbligano a spendere solo per cose serie e quest’anno, dopo che son stati fabbricati il capoccione e il piede sinistro, il progetto è stato abbandonato. I nostri superiori tanto venerano Circi che lui ha accettato di presenziare pure se le Corporazioni ci azzeccano poco o niente con la scuola. E per suoi “improrogabili impegni” la cerimonia è stata addirittura anticipata di una settimana! Eccolo là, in tutto il suo splendore: sahariana nera, pugnale, stivaloni, speroni, cravache e copricapo con immarcescibile uccellone dorato col fascio tra gli artigli. Quest’anno i gerarchi hanno abbandonato il fez e adottato il berretto con visiera per meglio uniformarsi agli “alleati germanici”… Brutto segno!
Per le “autorità militari” c’è il generale Gastone Gamboni. Armato di sciabola, tintinnante di decorazioni e con tanto di candida piuma di struzzo sul berretto, sembra rubato a un’illustrazione della Domenica del Corriere. “Gastone, con l’uccello a pendolone…” 14
Il Saggio ginnico è l’apoteosi del professor Spadini. Gabriele Spadini, orgoglioso di condividere il nome con l’Immaginifico di cui ha pianto la scomparsa a marzo scorso. La dimostrazione è preceduta dalla Marcia Reale che tutti, eccetto il Signor Cardinale, ascoltano in piedi. Segue Giovinezza, che pure viene ascoltata sull’attenti. Ponziano, seminascosto dietro il piedistallo del Santo Fondatore, cambia i dischi con espressione beota e concentrata.
Noi alunni, in tenuta sportiva, calzoncini e maglietta girocollo con lo stemma d’Istituto, veniamo stipati in due aule adiacenti nell’attesa di scendere in cortile agli ordini del piccolo eroe mutilato. Vuoi per la prospettiva delle imminenti vacanze, – per noi di Quinta, ahimè, ancora lontane! – vuoi per la presenza delle famiglie, delle fidanzatine, o comunque per la consapevolezza che un altro anno di fatiche sta per essere archiviato, l’euforia raggiunge picchi inenarrabili. A sorvegliarci c’è solo padre Angelo Angeli, l’insegnante di Francese, un furetto pletorico, perennemente arrossato, fanatico di Paul Claudel, soprattutto per “sa conversion fulgurante au catholicisme” avvenuta in Notre-Dame, durante la Messa di Natale. Con le vene del collo gonfie e le gote paonazze, padre Angeli si divide tra noi e le bestie nell’altra aula cercando d’imporre un ordine che non ottiene: «Silence! Taisez-vous! Silence!!» Dio sa perché debba pure inalberarsi in francese!
Appena mette piede nella nostra sala, dall’altra giungono schiamazzi e baraonda. Allora il furetto corre di là e noi prendiamo a strepitare, a correre, a scalciare banchi e sedie. Padre Angeli suda, sbraita, zampetta a destra e a manca come un tarantolato prossimo alla crisi nervosa. Rigorosamente in francese!
Terminata la parata ginnica, rigidi sull’attenti, accogliamo il plauso dei convenuti. Poi lasciamo il cortile per cambiarci di uniforme. Padre Angeli ha chiesto rinforzi e gli s’è affiancato padre Tobia, sellerone di un metro e novanta, professore di Religione e Storia al Classico, assurto per qualche settimana a primario bersaglio dei nostri lazzi per essersene uscito, in relazione ai rapporti col gentil sesso, con l’inconsueta raccomandazione di “consumare l’atto d’amore – naturalmente tra coniugi e per fini procreativi – senza mani”! Su come applicare in pratica l’ammonimento, però, ha sorvolato.
Torniamo giù e ci schieriamo al centro del cortile. In prima fila i piccoli delle elementari, dietro di loro i ragazzi delle medie, poi i liceali fino a noi maturandi, inquadrati nelle diverse tenute fasciste: Figli della lupa, Balilla, Avanguardisti, Giovani Italiani del Littorio. Sulle gradinate, genitori, parenti, amici fanno contorno alle autorità. Agli uomini, incupiti dalle uniformi mortaccine del regime e dal grigioverde, fanno contrappunto donne eleganti in abiti dai colori estivi con cappellini di foggia più o meno ardita, e ragazze dalle forme invitanti fasciate da stoffe floreali modello Boccasile. A breve i meritevoli – difficilmente ci sarà il sottoscritto – saranno chiamati individualmente a ricevere il riconoscimento. Saluteranno romanamente le eccellenze in divisa e si inginocchieranno per il bacianello dinanzi al reverendissimo principe della Chiesa.
Dopo l’inno d’Istituto Col cuor fidente, – marcetta clericomarziale composta negli anni Dieci da un tal maestro Chiaese su testo di padre Bernardo Maria Chatillon, primo Rettore del Collegio – sarà la volta della solenne ode a Roma musicata da Puccini. Ai fianchi dell’Eminenza fossile, le eccellenze Circi e Gamboni approvano con cenni del capo sotto lo sguardo compiaciuto del gelatinoso padre Rettore e dell’austero padre Cappellari.
Ponziano maneggia con cautela i 78 giri…
Mimmo si volta e mi strizza l’occhio. È il momento...
Compagni, avanti, il gran partito
noi siamo dei lavoratori…
Un crescente mormorio segue lo sgomento provocato dal verso sacrilego! Perfino il cardinale-fossile si riscuote sul trono dorato. Padre Menegon sgrana gli occhietti e il suo viso sembra squagliarsi, mortificato e atterrito dalla maschera plumbea e severa del sottosegretario. Il generale Gamboni dice qualcosa a padre Cappellari che con le mani prende a stirare inesistenti sgualciture sulla tonaca…
…Rosso un fiore in petto c’è fiorito
una fede c’è nata in cuor…
Rumoreggiamo, noi ragazzi. Padre Cappellari si sbraccia all’indirizzo di Ponziano che cerca di capire cosa stia succedendo…
…Noi non siamo più nell’officina,
entro terra, dai campi al mar
la plebe sempre all’opra china
senza ideale in cui sperar…
La platea ondeggia. I cappelli di signore e signorine frullano come tanti uccelli spaventati. Si odono voci di rimostranza. Qualcuno sorride di sottecchi. Noi approfittiamo per alzare il tono del clamore…
...Su, lottiamo! L’ideale
nostro alfine sarà
l’internazionale
futura umanità!...
«Basta! Togliete questa... porcheria! È un oltraggio!» Le urla dell’Eccellenza Circi sovrastano musica e caciara. Brandisce la cravache, – non capirò mai perché vada in giro con la frusta quando non ha appresso il cavallo! – impreca, sbraita, prende per un braccio il Rettore che, si vede pure da quaggiù, sta per piangere!
Finalmente Ponziano capisce che deve togliere il disco. Padre Cappellari lascia il palco. Il giovane pretino che accompagna il cardinale s’accovaccia accanto al suo capo e pare consolarlo per la bestemmia musicale. Anche Circi abbandona il suo posto e si precipita dabbasso, rapido, marziale, incazzato... nero. Lo seguono due sgherri in orbace come lui e padre Innocenzo Menegon, premuroso.
Noi restiamo in riga. Più o meno... Non per disciplina, si capisce. Soltanto per assistere al seguito della tragicommedia da posizione privilegiata. Il professor Spadini sembra un misirizzi. Schiocca ordini, pretende tutto: disciplina, silenzio, immobilità, rispetto... Ma i cocci della solenne cerimonia sono sparsi ormai per tutto il cortile!
Mimmo evita di guardarmi. Si sforza per non ridere. Come me. Come tutti.
Gli scherani di Circi hanno acchiappato l’incolpevole Ponziano e lo trattengono per le braccia. Il gerarca urla con voce da gallinaccio parolacce purtroppo divenute d’uso quotidiano: galera... confino... lavori forzati... e con un colpo di frustino manda in frantumi il disco maledetto che il ragazzone aveva ancora in mano. Bella forza!
Padre Menegon gesticola. Sembra voler placare il sottosegretario con gesti taumaturgici. Quando s’è fatto prete, credo fosse ancora l’altro secolo, forse incoraggiato dall’amicizia fra i suoi e i Sarto, puntava in alto e ha voluto chiamarsi Innocenzo! A dispetto del nome pontificio, però, è una figuretta risicata con il naso lungo e le orecchie a sventola. Il viso solcato da fitte rughette anche sulla pappagorgia flaccida. Somiglia a un elefantino o a un palloncino sgonfio. Tremebondo, si trova costretto a difendere coram populo lo sventurato factotum dalla violenza di un potente che preferirebbe compiacere stracciando ogni dignità. Sotto le sopracciglia supplici, le pupille del trevigiano si agitano dietro gli occhialini tondi uguali a quelli del suo “principale”, Papa Ratti. Più che altro, teme che Ponziano possa reagire a modo suo, si capisce. Cosa che noi tutti speriamo, perché in tal caso l’eccellenza de ’sto ca... sarebbe spacciato! Il ragazzone ha una forza erculea: al campetto di calcio, quello dietro la palestra, riesce a sollevare da solo il rullo compressore che noi “normali” non riusciamo ad alzare manco in quattro!
«Scommetti che tra un po’ il Rettore si mette in ginocchio e dice: “Eccellenza, mica vorrà picchiare un vecchio con gli occhiali!”...» mi sussurra all’orecchio Di Veroli.
Al pavido Rettore e al legnoso padre Cappellari s’è aggiunto in difesa di Ponziano anche padre Bove, il professore di Storia e Filosofia. Alto, massiccio, con l’aspetto di oste o di vetturino, autoritario ma per nulla autorevole, don Bove è lo zimbello d’ogni nostra nefandezza. Oggi, però, siamo tutti con lui...
Il caldo ci sta liquefacendo. Incuranti dei comandi di Spadini, cerchiamo riparo sotto il porticato. I più piccini gettano a terra i moschetti-giocattolo, corrono verso i genitori e si rifugiano tra le loro braccia. Molti piangono. I lacrimoni sulle faccette congestionate dei pargoli abbigliati da soldatini di piombo sono un impareggiabile sberleffo al regime che li vorrebbe virgulti delle “giovani, gagliarde generazioni italiane”.
Non so quanto sarebbe durata la discussione e quale sarebbe stata la sorte del povero factotum se non fosse intervenuto l’arciprete in persona. Per bocca del guizzante segretario ha mandato a dire qualcosa al gerarca e questi, dopo aver gracidato ai suoi bravacci l’ordine di lasciar le braccia di Ponziano, ha girato i tacchi, scuro come un temporale, e è tornato sul palco a conferire con il prelato.
La questione si risolve, come si dice, all’italiana: il sottosegretario cede alle pressioni del Vaticano, lascia perdere Ponziano, non manda all’aria la Premiazione, ma raduna i suoi scagnozzi e se ne va salutato da una selva di braccia più o meno tese. Resta il generale, sotto sotto lieto di rappresentare la tradizione del Regio Esercito alla faccia della Milizia e delle sue farsesche gerarchie scippate alle legioni romane. E resta, naturalmente, Sua Eminenza Reverendissima che, ingoiato l’Internazionale, concede di riprendere la manifestazione.
Padre Innocenzo Menegon ha perduto come minimo dieci anni di vita. Adesso, però, ricomposta una parvenza di rispettabilità, se ne sta accanto al suo vice e agli altri docenti religiosi e laici. Padre Leone De Robertis prende le redini della cerimonia e annuncia stentoreo l’alunno Arnaldo Falconi, Terza Classico sezione A, che leggerà il ringraziamento e il saluto a nome dei maturandi. Falconi ha sei fratelli in collegio, distribuiti tra elementari e ginnasio, e tre sorelle che studiano dalle monache! Esemplare famiglia cristiana: padre altero, nonostante i buffi in protesto, e madre coniglia della serie non-lo-fo-per-piacer-mio-ma-per-dare-un-figlio-a-Dio, rigorosamente tesserata UFFN.15 Arnaldo Falconi eccelle in tutte le materie, tiene un comportamento impeccabile e viene encomiato puntualmente come colui che nel corso dell’anno scolastico non ha fatto assenze o ritardi. Nelle precedenti edizioni della Festa dei premi questa motivazione veniva salutata con sonore pernacchie. Quest’anno, però, la doratura dell’evento è stata scrostata abbastanza perciò evitiamo le pernacchie. Falconi attacca la sibilante litania di superlativi assoluti: “Eminenza Reverendissima, Reverendissimo Padre Rettore, Reverendissimi Padri...” eccetera, eccetera. Che il testo non sia farina del sacco di Falconi, ma dovuto in larga parte a padre Leone, diviene palese in chiusura, con i riferimenti al duce definito “emulo di San Francesco”... “motore del secolo”... “fabbro delle fortune d’Italia”... “novello superatore di Cesare e di Napoleone”... Più che una pernacchia, sale alla gola il vomito!
Il sole si abbassa, il caldo resta. Con la medaglia d’argento a Zucchi Filiberto, V Scientifico Sezione B, termina l’assegnazione delle medaglie e degli attestati d’encomio e benemerenza. Come prevedevo, le mie qualità scolastiche non hanno meritato riconoscimenti metallici. Mimmo, invece, ha avuto l’argento e – roba da matti! – l’encomio per la condotta! La scuola va così. E, da quanto mi par di capire, anche la vita!
Padre Innocenzo improvvisa un discorsetto scombussolato più incerto delle sue omelie, tutto sforacchiato da pause e vocali trascinate, aaaa... eeee... oooo..., con l’immancabile esortazione ad approfittare dell’estate per riposare, ritemprare le forze evitando, però, “comportamenti dissipati”.
Poi il Cardinal Vicario impartisce la benedizione. Al “...descendat super vos...” il silenzio dei presenti genuflessi è squarciato da un grido. Gli occhi di tutti vanno alla fila di finestre dell’ultimo piano sul lato sinistro del porticato, da dove è parso provenire. Il fossile porporato si lascia cadere di peso sul trono barocco. Il padre Rettore porta le mani al viso con gesto un po’ femmineo. Cinque-sei secondi, ma sembrano di più, e nella cornice di una delle finestre compare l’anziana suor Elena: «Aiuto! Venite, vi prego!»
Dev’essere successo qualcosa di grave. Qualcuno dovrebbe andare in soccorso alla povera suor Elena che piange appoggiata al davanzale. Però i superiori non sanno come comportarsi. Mica si può piantare in asso il Vicario-Generale-di-Roma-Arciprete-della-Basilica-di-San-Giovanni-in-Laterano! Per fortuna, ci pensa il Vicario medesimo a togliere d’impaccio gli apicali: si rimette in piedi, porge la destra anellata al Rettore e agli altri riverenti, aspetta che un chierichetto gli raccolga lo strascico e s’allontana. Cerimonia conclusa.
Padre Bove e padre De Robertis spariscono su per le scale. Il professor Spadini arranca al passo con padre Cappellari. Padre Menegon, dietro di loro, si attacca al braccio del professor Serafini. “Mannaggia a muorte!” commenta tra i denti il professor Morabito, irpino, disincantato paterfamilias con otto bocche a carico. Tra il pubblico c’è chi fissa le finestre col naso all’insù, chi lascia gli spalti e si ricongiunge ai figli, tutti in attesa di capire. Oltre il cancello, il rombo profondo della Mercedes-Benz del cardinale Valsetti-Marcheggiani sfuma nel rosa del tramonto.
L’arrivo della polizia infittisce il mistero su quanto sia successo all’ultimo piano da dove il Rettore e gli altri non sono più discesi. Vari convenuti se ne vanno. Già molti, dopo l’incidente dell’inno, erano stati presi dalla smania di togliersi di mezzo. Il nicodemismo oramai è regola. Ma è comprensibile, perché ci vuol niente per finire impelagati in qualche bagarre, – autarchicamente dovrei dire baruffa, ma chi se ne frega! – essere accusati di sovversione, di disfattismo e finire in galera, al confino o, se va bene, ricevere un ufficiale ammonimento spesso accompagnato da ufficiose botte e dosi di olio di ricino! Ma c’è pure chi resta. Per semplice curiosità o per il piacere perverso, in incremento tra la gente per bene, di assistere soddisfatti all’imbarazzo, al disonore, alla messa all’indice di qualcun altro. Una goduria diabolicamente istigata dal circolo vizioso di vociferazioni, delazioni, spiate, denunce di cui si pasce la polizia di Arturo Bocchini16. Anche mamma vorrebbe andar via. Non le piace la cappa di sospetto che soffoca l’Italia. “Sono quasi contenta che tuo padre non sia qui a vedere come stiamo andando a finire”, dice spesso, con amarezza. In effetti a papà non piacerebbe vedere la Patria, per la quale si è battuto sul Carso, gettarsi come una troia da quattro soldi tra le braccia dei tedeschi, nemici in ogni pagina dei libri di storia! Zio Gaetano vuole restare per sapere di più.
Suor Elena ha gridato perché s’è trovata faccia a faccia con un cadavere: padre Stefano Facchinetti, di anni ventitré. Quello che ci ha detto la verità sulla sorte del professor Zarfati.
Povero padre Stefano! Era sempre gioviale, aveva qualcosa di fanciullesco, un po’ pure per la zeppola con cui parlava. Cosa può essergli successo?!
«Era assistente al doposcuola e quest’anno era stato elevato al ruolo di supplente al bisogno, cioè di tappabuchi...» precisa Mimmo, irriverente.
«Sapete» aggiungo «che si vocifera di una sua parentela con Cipriano Facchinetti, il repubblicano?»
«In questo ambiente una cosa del genere suona peggio di una bestemmia!» rincara il cugino.
«Credo che ce ne possiamo andare» tronca zio Gaetano. Lui, come tutti a casa, è repubblicano e sa bene che parlare ad alta voce di repubblicani in mezzo a preti, semipreti, poliziotti e figuri in camicia nera è cosa poco igienica di questi tempi.