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Ultimi fuochi per Paludi

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Trafiletto

E" la notte di San Giovanni e arriva l’estate, tra furti di rame e morti ammazzati, campi rom e ville in collina, bande di strada e fabbricanti di armi, cameriere melomani e nani lanciati dalle vetrine.

Dalla Barriera di Milano alla Gran Madre, dai Murazzi a Borgo Po, dal Quadrilatero alla Falchera. Il commissario Paludi è alle prese con l’indagine più pirotecnica della sua carriera mentre Torino si incontra in piazza Vittorio per un ultimo esplosivo spettacolo.

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Primo Tempo
Primo Tempo“La Stampa”, articolo di Mario Pancan“Siamo entrati nella fabbrica abbandonata dietro corso Regina Margherita e ci siamo fermati nel cortile esterno. C’era un ragazzo appeso a una recinzione, legato mani e piedi con del filo di ferro. Era sospeso in aria come un insetto. Bala˘ poi ha preso un pezzo di rame, una matassa grande quanto una ruota di scorta, ha iniziato a frustarlo sulla schiena... Mi ha detto che avrei fatto la stessa fine. Il ragazzo era tutto sporco di sangue. Bala˘ gli aveva messo uno straccio in bocca perché non potesse urlare. Mi diceva: ‘Guarda bene, questo è il gradino della morte per chi cerca di scappare...’”. Sono i dannati dell’oro rosso. Ladri di rame. Ragazzini schiavi fatti arrivare dalla Romania per tagliare guaine, bruciare cavi, cannibalizzare vecchie fabbriche dismesse come la Cimi Montubi. L’imponente indagine del commissariato di Torino Centro, agli ordini del commissario Giorgio Paludi, è chiusa. Il PM Carla Fresia ha chiesto il rinvio a giudizio per 35 persone: tre sono ricettatori italiani, gli altri romeni di Coropceni, piccolo paese contadino al confine con la Moldavia. Posizioni diverse per accuse molto pesanti: associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, violenza sessuale, sequestro di persona, estorsione, furti in serie. Sono stati arrestati tutti tra il 23 e il 25 di marzo in un’imponente caccia all’uomo. Il 30 luglio dovranno comparire davanti al gip Marianna Lanteri. Nel frattempo, dei 7 imputati accusati dei reati più gravi, è rimasto in carcere solo il capo Adrian Tanasi detto Bala˘, “la Belva”. Quasi tutti gli altri – compreso il testimone chiave Muscalu Ocit – hanno fatto perdere le loro tracce. Sono spariti nel nulla. Telefoni staccati. Persiane abbassate. Ombre clandestine. Gli avvocati sono senza notizie da settimane. Gli inquirenti ipotizzano che alcuni possano essere tornati in Romania, dopo aver ricevuto pressanti minacce pervenute durante i mesi di custodia cautelare. Come il messaggio fatto recapitare prima dell’estate a Ioan Giurcanu, un avvertimento molto esplicito “Dipende da te” con una una foto del figlio strappata a metà. Si capisce perché, per spiegare quello che avevano scoperto, gli investigatori avrebbero usato anche la parola mafia. “è un’organizzazione capace di imporre un regime di terrore” il commento laconico del PM Giachino Volli. Dal carcere di Nuoro dove è stato rinchiuso “La Belva” continua a terrorizzare i suoi ragazzi e i suoi complici. Per riuscire a trasferirlo lì, gli agenti della polizia penitenziaria avevano dovuto immobilizzarlo e sedarlo. Ora i giorni torinesi di Adrian Tanasi, fra il novembre 2009 e l’estate del 2010, sono agli atti. Pagine di verbali che fanno rabbrividire, voci di invisibili che nessuno prima dell’indagine coordinata dal commissario genovese aveva mai raccolto: “I ragazzi vivevano dentro la fabbrica, il cibo lo portava Bala˘. Pulivano il rame, lo spelavano, lo caricavano in macchina, non uscivano mai, erano come animali in un canile. Sporchi, costretti a dormire su pezzi di cartone e pallet, mangiavano per terra, sempre nello stesso capannone. Uno di questi fu ritrovato coperto di lividi, era stato picchiato da Bala˘. Si chiamava Iulian, aveva soltanto 17 anni...”. Eccolo Iulian, nel verbale firmato dal testimone chiave Muscalu Ocit: “Con la mia Chrysler e la Dedra di Bala˘ siamo andati alla Ceat di Settimo Torinese per recuperare il resto del rame. Improvvisamente Bala˘ ha detto che voleva far veder a Iulian il bagagliaio, ma era solo una scusa. Ha iniziato a picchiarlo, urlava, voleva tanti soldi. Forse 2000 euro, e li voleva subito. Bala˘ ha tirato fuori un coltello, l’ho fermato prima che l’ammazzasse. Iulian era pieno di sangue, con le labbra spaccate e un occhio pesto. Non si muoveva, l’abbiamo lasciato lì solo perché è passato un contadino e c’era il rischio che ci scoprissero”. Il carico di quel giorno venne poi venduto da un ricettatore di via Veronese, anche lui a processo: 4000 euro in contanti per una tonnellata e 200 chili di oro rosso. Poi dalle parole dei complici di Bala˘ si è incominciato a intravedere molto di più. Non solo il rame. Un traffico di ragazzi e di donne. Il racconto dell’orrore. Una moldava vittima della “Bestia” fu trovata in una casa abbandonata, dietro piazza Stampalia. “Era dicembre. Mio marito Gabriel stava accendendo il fuoco, Bala˘ era ubriaco. Si è girato all’improvviso, ha preso Gabriel per le spalle e l’ha sbattuto fuori, poi ha afferrato una grossa vanga e l’ha colpito rompendogli le costole. Gabriel urlava, sentivo che chiedeva di lasciarmi andare. Ma Bala˘ non mi lasciava: ‘Se provi ad andartene t’ammazzo’. Mi disse. Mi ha portato nella roulotte e mi ha violentata. Piangevo, ma non c’era nessuno. Poi, la sera Bala˘ ha chiamato un taxi, è venuto a prenderci alla casa abbandonata. Abbiamo attraversato la città. Appena siamo arrivati nel suo alloggio, vicino a Porta Nuova, mi ha violentata di nuovo”. Il palazzo è stato successivamente localizzato con l’aiuto dei carabinieri di via Morgari in una traversa di San Salvario. “Sono rimasta a casa di Bala˘ per una settimana. Eravamo dalle parti della stazione, lo capivo perché vicino passava il tram, il 18 quello che arriva fino a Mirafiori. Non sono riuscita a scappare perché Bala˘ chiudeva sempre la porta a chiave. Mi ha preso il telefono e il passaporto, mi ha violentata ancora sul suo letto, non usava mai il preservativo. Mi voleva umiliare in ogni modo. Voleva che facessi la puttana come altre due ragazze che vivevano a casa sua. Mi diceva che solo quello ero capace di fare nella vita. Una delle due ragazze si chiamava Anna, mi ripeteva continuamente: ‘Fai tutto quello che vuole Bala˘. Fai come me, ti conviene. Tanto non valiamo niente. E anche meno di niente...’”. Adesso Anna è una donna distrutta, vive presso una comunità della cooperativa il Margine.

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