2Triora, autunno 1587
“Streghe?”.
“Streghe al servizio del Demonio”.
Gli occhi rapaci, infossati nella testa resa spigolosa dall’incipiente calvizie e dal naso adunco, di Girolamo Del Pozzo scrutarono il profilo del Gerbonte, incorniciato dalla finestra di pietra della fortezza, sulla cui vetta si stavano ammassando cumuli nembi, scuri come le acque dell’Averno.
Sino ad allora, l’autunno aveva regalato solo giornate di pioggia, inzuppando pascoli e campi, rendendoli impraticabili per uomini e animali.
“È colpa delle bagiue, se negli ultimi tre anni i raccolti sono stati nulli o quasi. Il Signore ci ha puniti perché loro, le streghe, hanno fatto di Triora la casa del Diavolo rendendola più simile a Sodoma e Gomorra. Occorre un intervento deciso e radicale, che estirpi il Male dalle nostre case, altrimenti non avremo futuro”.
La voce di Stefano Carrega tremava, confermando l’impressione che il vicario del vescovo di Albenga si era fatto del podestà appena superata Porta Sottana, ritrovandosi di fronte un uomo piccolo, grasso e flaccido, con la testa glabra e le mani umide di inettitudine. Il naso all’insù gli ricordava quello di una scrofa, mentre gli occhi lacrimosi imploravano perdono a prescindere da qualsiasi colpa. Un vile.
La terribile carestia che colpì tutte le lande della Repubblica aveva generato malattie e morte tra le classi più povere e qualche disagio ai notabili. Quello che un tempo era stato il granaio di Genova si trasformò in un borgo moroso delle gabelle e in un problema per il bilancio genovese.
Quando alla fine del 1200 Triora passò dai Conti di Ventimiglia alla Repubblica di Genova, divenne la nuova frontiera occidentale dello Stato, il passaggio obbligato per le vie del sale.
Un vero vantaggio per le casse liguri e per i suoi mercanti che da allora non trovarono più ostacoli al commercio con le popolazioni piemontesi.
Lontana da Genova, rintanata al limite settentrionale di una valle che collegava Arma e Taggia alle montagne, allungate sino al mare, dense di ulivi e pinete, Triora si aggrappava all’erta di un crinale roccioso, stagliandosi contro il cielo.
Le case di pietra con i tetti di ardesia si appoggiavano le une alle altre, creando dedali di carruggi bui ed umidi che parevano aver origine dalla chiesa della Collegiata sulla cui piazza risaltava la terribile figura di Cerbero.
Tria ora, le tre bocche. Destino funesto di quel borgo legato mitologicamente al cane infernale dalle tre teste.
Salendo verso la montagna, circondato da soldati scintillanti di armature e di archibugi, Girolamo Del Pozzo si era maledetto pensando a quando, qualche settimana prima, il vescovo gli aveva impartito l’ordine di raggiungere Triora. Per rifiutarsi, avrebbe potuto inventare una scusa, un’indisposizione, ma i cinquecento scudi, che accompagnavano la lettera del podestà, erano stati sufficientemente convincenti per inviare un delegato che verificasse la situazione, e il vescovo non avrebbe accettato defezioni.
“Donne al servizio del Demonio…”.
Dondolando sulla groppa del mulo, il vicario si era chiesto se le piaghe al fondoschiena erano il prezzo che il Male pretendeva per misurarsi con lui, oppure la giusta punizione che Signore gli aveva dato per la pia titubanza nell’accettare l’incarico.
Il sentiero era stretto, inciso come una ferita sul fianco di ripidi pendii a volte terrazzati ad ulivi, altre fitti di vegetazione. Spesso instabili ponti di tronchi di quercia dirottavano il viandante da un versante all’altro della valle, sospendendo uomini e animali sopra il torrente dalle acque limacciose e turbolente.
Il rombo della massa liquida pareva il lamento delle anime perse di Triora. Girolamo Del Pozzo era determinato a recuperarle, usando tutta la propria esperienza. In passato si era misurato con qualche seminarista, esuberanti anime tentate dal Demonio che si insinuava tra loro, subdolo come l’ardore adolescenziale. Venti vergate erano state il deterrente per allontanare anche il più casto dei pensieri che non fosse in linea con la Regola.
Questa volta erano donne, bagiue, ma non sarebbe stato diverso: la violenza del Male doveva essere combattuta con la persuasione della ragione, e se venti vergate non fossero bastate, avrebbe trovato altri mezzi. Girolamo Del Pozzo ne era convinto.
“Nella vostra lettera, parlate di incontri notturni, di venerazione del Demonio, di sacrifici di bambini. Mi faccia capire”.
Il vicario del vescovo si voltò distogliendo lo sguardo dal Gerbonte, e si rivolse direttamente al podestà che era in attesa, a pochi passi da lui.
“Eminenza, quello che accade alla Cabotina è talmente peccaminoso che parlarne mi viene difficile”.
“Faccia uno sforzo”.
L’esortazione frustò l’aria e il podestà proseguì cercando, sul battuto del pavimento, le parole.
“Le bagiue arrivano in volo, cavalcando scope sul cui manico cospargono estratti di erbe, dai grandi poteri, che solo loro conoscono. C’è chi dice che spesso usano anche grasso di neonati, strappati dalle culle, sacrificati nel corso di Sabba, in cui quelle streghe si accoppiano con il Diavolo. Dio mi perdoni”.
La voce tremula di Stefano Carrega sfumò, dopo che sussurrando aveva reso la propria testimonianza.
“Si è mai accertato che tutto ciò corrisponda a verità?”.
La testa del podestà si incassò ulteriormente tra le spalle curve.
Non c’erano prove, se non la lunga carestia.
“Dunque, devo dedurre che non abbiamo delle responsabili, ma solo chiacchiere di lavandaie. Non le sembra un po’ poco?”.
Nessuna risposta, mentre nell’aria rarefatta della stanza si udiva solo il respiro colpevole di Carrega.
“Mi servono fatti, non deduzioni prive di fondamento. Nomi, testimoni, non il becero ciarlare di contadini ignoranti”.
La voce del vicario echeggiò come un tuono tra i muri umidi della stanza, annichilendo Stefano Carrega che pareva schiacciato dalla propria negligenza.
Per un lungo istante l’atto di accusa rimase sospeso nell’aria per poi fuggire dalla finestra che Girolamo Del Pozzo spalancò.
L’aria fredda, pregna di pioggia, lo colpì sul viso da asceta, irrigidendogli la mascella e strappandogli un brivido. Sul Gerbonte i lampi crepitavano in bagliori funesti.
Gli eventi che sarebbero succeduti avrebbero cambiato profondamente le sorti di Triora e dei suoi abitanti.