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Nocturne (Il Quarto Talismano - Libro Primo)

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Trafiletto

Nocturne, la selvaggia terra della notte eterna.

Solis, la landa desolata del giorno interminabile.

Nazafareen è un Distruttore, una mortale che ha la rara abilità di annientare la magia, sebbene il suo potere abbia un costo elevatissimo. Senza più alcun ricordo di ciò che era, giunge a Nocturne, sperando di iniziare una nuova vita sotto le triplici lune delle terre oscure.

Ma quando un assassino costringe Nazafareen a fuggire nella città dei mortali di Delfi, si ritroverà invischiata in un mistero più profondo, le cui origini risalgono a un passato remoto. Perché il continente mille anni prima è stato diviso tra luce e oscurità? E cos’è davvero successo alle creature aggraziate ma spietate che hanno quasi ridotto il mondo in cenere? Il nuovo Oracolo potrebbe saperlo, ma ha bandito la magia, e giustizia chiunque sia sorpreso a praticarla. Nazafareen dovrà nascondere i suoi poteri e trovare una via d"uscita dalla città, prima che sia troppo tardi.

Mentre la rete si stringe lentamente, qualcosa di antico e di vendicativo comincia a muoversi nell’arida zona chiamata la Fornace. Un impetuoso daeva di nome Darius è sulle tracce di Nazafareen, ma lo sono anche una moltitudine di nemici. La guerra si avvicina di nuovo.

Riuscirà a rimanere in vita abbastanza a lungo per fermarla?

Un fantasy storico che crepita di elettricità… le componenti magiche non offuscano mai i protagonisti e le loro lotte, e i personaggi che stanno prendendo forma sono eccitanti. C’è l’imbarazzo della scelta tra le sottotrame di Culach, Mina e Javid. KIRKUS REVIEWS

Nocturne è geniale… sono rimasta agganciata a questo mondo antico fin dalle prime pagine di The Midnight Sea. Kat sa come trascinarti in un’avventura e tenerti completamente assorbito. AM KINDA BUSY READING

Assolutamente fantastico! Dalla prima pagina Kat Ross è riuscita a creare qualcosa di veramente magico, bello e complesso. RATTLE THE STARS

Perfetto per i fan di City of Brass… per quanto abbia amato i personaggi, devo dire che la trama ha rubato la scena. Non sono riuscita a mettere giù questo libro. L’ho adorato, adorato, adorato. BOOK BRIEFS

Questo romanzo è un turbine di emozioni. Drammatico, ma ricco di azione e anche di romanticismo. Non vedo l’ora che esca il prossimo libro della serie. JAZZY BOOK REVIEWS

Un fantasy appassionante, avvincente e ricco di azione che catapulterà i lettori in un mondo di pericoli, inganni e forze arcane… veloce, eccitante e con così tante cose in ballo, Nocturne è stata una lettura superba e mi ha fatto morire dalla voglia di tuffarmi nel prossimo romanzo, Solis, il prima possibile! THE REST IS STILL UNWRITTEN

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CAPITOLO UNO – LACUNA
CAPITOLO UNO – LACUNA Nazafareen sollevò il cappuccio del mantello, sistemandosi erranti ciocche di capelli castano chiaro dietro le orecchie. Aria fresca, profumata di pino e abete rosso, strisciava attraverso la fessura della porta. Aspettò per sei lunghi battiti del cuore. Nel­la notte, nulla si muoveva. Sapeva che Darius sarebbe stato oc­cupato nel suo laboratorio. Più in là, le sentinelle pattugliavano il confine con i Valkirin, ma con un po’ di attenzione sarebbe riuscita a evitarle. Il loro compito non era quello di impedire a qualcuno di andarsene. Scivolò nell’ombra degli alberi. Artemide, la Luna della Cacciatrice, si trovava nel punto più lontano della sua lunga or­bita ellittica, così distante da sembrare soltanto un’altra stella nei cieli d’inchiostro. Selene si nascondeva dietro le montagne a nord. Solo la bianca e fredda Ecate sbirciava attraverso il frondoso baldacchino sovrastante, ma era la più piccola delle tre lune di Nocturne e proiettava solo un lieve barlume. Nazafareen non era in grado di vedere nell’oscurità come i daeva, che erano nati nella notte eterna. Era una figlia del sole, anche se adesso neanche se ne ricordava. Così si fece strada con cautela, i morbidi stivali di pelle di coniglio silenziosi sul tappeto di aghi di pino. La luce del cristallo lumen alla sua fi­nestra si affievolì fino a diventare una punta di spillo, poi svanì del tutto. Si sentiva piccola e sola nel bosco buio, ma anche beatamente libera. Aveva lasciato il recinto dei Dessarian sol­tanto due volte da quando viveva tra i daeva, e in entrambe le occasioni non c’erano state conseguenze. Non l’avrebbero mai lasciata vagare da sola. La sua stessa presenza era un segreto da custodire gelosamente. Una volta libera dall’ultima fila di case, si rilassò un po’. La foresta era rada e aperta, con un po’ di sottobosco a ostruirle il passaggio. Superò gruppi di alberi di bonewood – da cui i dae­va ricavavano armature – e querce, costeggiando stagni poco profondi pieni di rane gracidanti, che tacquero a quella presen­za aliena. Proseguì lungo lo stesso percorso che aveva intrapre­so l’ultima volta, seguendo una risonanza quasi troppo debole per essere rilevata, come un frammento di musica portata dal vento. Si inerpicò su una salita. La foresta si diradò ulteriormente fino a diventare un prato, e Nazafareen vide Ecate, piena per tre quarti, che fluttuava come una moneta d’argento sopra le montagne lontane. Nonostante l’irritazione causata dalla pri­gionia, aveva imparato ad amare il modo in cui il profondo cre­puscolo ammorbidiva i bordi delle cose come un mantello di velluto. La luminosità delle stelle e la sottile colorazione delle lune. La grande foresta dei Danai non aveva mai conosciuto il toc­co dell’estate o dell’inverno, della primavera o dell’autunno, ma il passaggio delle stagioni poteva essere seguito dai viaggi di Artemide la Cacciatrice. La sua orbita impiegava un intero anno per compiersi ma, quando tornava, a quanto pareva la sua luce era così abbagliante da far sembrare che fosse giorno, un giorno solare. Le maree salivano, coprendo la terra per leghe. Nazafareen sperava di assistere a quel fenomeno. Darius le aveva spiegato cosa fosse un oceano, ma lei trovava ancora dif­ficile immaginare così tanta acqua. Attraversò il prato e scese in una valle boscosa. Alla fine, vide uno sfarfallio verdastro tra gli alberi davanti a lei. Rallentò mentre cominciava ad avvertire la pelle d’oca. Aveva raggiunto un’altra specie di confine. Il cancello del Dominio attendeva a dieci passi di distanza. Sembrava una porta rettangolare senza cornice: un semplice buco luminoso nella notte. La superficie scintillava come acqua corrente. Nazafareen si avvicinò di un passo. Quindi di un altro anco­ra. Due mesi prima, Darius l’aveva portata tra le sue braccia at­traverso il cancello, quasi uccisa dal suo stesso potere. Distrut­tore, l’avevano chiamata. Una mortale con sangue daeva e l’abilità di annientare la magia. Aveva attinto troppo potere. Un lago. Un uomo dagli occhi verdi con una cicatrice e una malvagia malattia dentro di sé. Le chiome degli alberi che bru­ciano come torce. Ricordava vagamente una battaglia. Il suo legame con Da­rius che tornava in vita e veniva soffocato di nuovo mentre at­traversavano il portale per Nocturne. Era per quel motivo che i daeva la stavano nascondendo. Perché quell’uomo dagli occhi verdi era un Valkirin, il clan che viveva sulle montagne, e se avesse mai scoperto che lei respirava ancora… Nazafareen fissò il cancello con una fascinazione morbosa. Il suo mondo – il suo passato – giaceva dall’altra parte, ma lei non ne aveva memoria. Darius le aveva raccontato che aveva infranto un sigillo contenente un sortilegio di oblio. La risacca le aveva ripulito la mente. Voglio sapere chi ero. Chi sono. Ne ho tutto il diritto. Sospirò, massaggiandosi distrattamente il moncherino del braccio destro. Venire lì era stato un impulso stupido. Fuggire attraverso il portale non le avrebbe restituito ciò che aveva per­so. La magia aveva cancellato il suo passato e solo la magia avrebbe potuto ripristinarlo. Darius sembrava pensare che la sua condizione fosse irrever­sibile, ma Nazafareen si rifiutava di accettarlo. Qualcuno, da qualche parte, doveva sapere qualcosa e lei aveva tutta l’inten­zione di trovare quel qualcuno. Peccato che i daeva non l’avrebbero lasciata andare. E una parte di lei non desiderava andarsene. Non senza Darius. Si fermò davanti al cancello mentre Ecate tramontava. La notte lunare era quasi finita. Presto sarebbe apparsa Selene, la sua faccia gialla e luminosa ad annunciare l’alba del giorno lu­nare. Era il momento di tornare o avrebbero scoperto la sua as­senza. Riattraversò gli alberi, la leggera luce sempre più fioca. Stava giungendo la vera notte, il breve periodo in cui nessuna delle tre lune era visibile. La durata variava di giorno in giorno. I daeva la chiamavano la lacuna e poteva durare da pochi se­condi a un’ora o persino di più. Nazafareen scandagliò il cielo. Si era diffuso un sottile velo di nuvole. Altro che luce delle stelle, pensò. Speriamo sia bre­ve, stasera. Si strinse nel mantello e tornò sui suoi passi attra­verso la valle, muovendosi alla massima rapidità con cui osasse procedere. Si fermò a un suono sommesso dietro di lei, come di una brezza che facesse frusciare le foglie, solo che non c’era alcun vento. Desiderò di aver portato il cristallo lumen. In quei bo­schi vivevano degli animali. Perlopiù si trattava di bestie di piccole dimensioni, ma il padre di Darius, Victor, aveva visto dei lupi vicino alle montagne. La sua mano cadde sul coltello alla cintura. Poco più avanti brillava uno degli stagni con le rane. Ecate affondò sotto il bordo del cielo. La foresta sembrò prendere un’ultima, persistente boccata di impazienza. Nazafareen intra­vide un gufo che planava da un ramo all’altro. E poi discese la lacuna, oscura come il fondo del mare. Era sempre stata al sicuro in casa con il suo cristallo lumen, quando calava la notte vera. A volte Darius la raggiungeva e insieme si dedicavano a un gioco da tavolo con piccoli anima­letti di legno. I pezzi avevano corna ricurve e code appuntite e diversi poteri magici. Tutti erano abilmente scolpiti nei minimi dettagli. Di solito era lei a vincere, anche se spesso imbrogliava quando Darius era distratto. Una vittoria insignificante, ma co­munque dolce. Alzò lo sguardo, sperando che le nuvole si diradassero. Solo un po’ di luce stellare a guidarmi… Il secco fruscio tornò di nuovo, dietro di lei, all’altezza del suolo. Si muoveva velocemente. Prima che potesse sbattere le palpebre, grosse spirali di mu­scoli squamosi la avvolsero in una presa ferrea. Nazafareen grugnì, cercando di afferrare il pugnale. Le dita sfiorarono l’elsa troppo tardi. La creatura strisciò più in alto, bloccandole le braccia. Nazafareen lottò per riprendere fiato contro il peso schiacciante sul petto. Cadde sulla riva fangosa e il coltello le sfuggì di mano. L’acqua fredda si chiuse sulla sua testa. Darius l’aveva avvertita riguardo alla foresta. Nazafareen aveva la sensazione che lui sapesse dei suoi occasionali vaga­bondaggi. Non ne aveva parlato direttamente né le aveva chie­sto di non farlo più. Forse sapeva che aveva bisogno di andar­sene, di tanto in tanto. Che sarebbe impazzita se non lo avesse fatto. A proposito, ci sono i serpenti, le aveva detto. Ovviamente, aveva trascurato di menzionare quanto male­dettamente grandi fossero. Affondarono nel fondo limaccioso. Nazafareen inghiottì il panico e cercò il Nesso, quel luogo di nulla e tutto in cui si po­teva raggiungere la magia elementale. Non era facile farlo mentre veniva strangolata, ma sapeva che era la sua ultima spe­ranza. Si allungò verso la terra e si concentrò sulla sinuosa colonna vertebrale del serpente. Darius sarebbe stato in grado di spez­zarla in un istante. Cercò di fare la stessa cosa, con bolle d’aria che le sfuggivano dalle labbra – l’ultima aria che avrebbe mai assaggiato – ma la terra era l’elemento più pesante da utilizzare e lei aveva sempre ottenuto risultati terribili. Una volta, come lezione, le aveva chiesto di spostare granelli di sabbia da un formicaio all’altro. Le formiche avevano svolto lo stesso compito molto più velocemente. Con la coda dell’occhio vide un luccichio. La fragile luce lunare trafiggeva l’acqua, toccando… qualco­sa. Il suo pugnale? Con il sangue che le martellava nelle tempie, Nazafareen raggiunse l’acqua e la sentì muoversi debolmente in risposta. Vieni, la esortò. Vieni! Una debole corrente sollevò il coltello, portandolo nella sua mano aperta. Non appena l’elsa toccò il suo palmo, Nazafareen lacerò la fredda carne del rettile, spingendo la lama in profon­dità. Per un terribile momento, il serpente strinse più forte. Lei rigirò il pugnale. E poi le spire che la avvolgevano si allentaro­no quel tanto che bastava perché liberasse il braccio. Un secon­do dopo, affondò la lama nell’occhio nero e piatto del rettile. L’animale sprofondò. Nazafareen si trascinò fuori dallo stagno e si sdraiò sulla riva, il petto ansimante. Dopo lunghi minuti, le rane ripresero il loro gracidio. Rise piano, anche se faceva male. I Valkirin non avevano alcun bisogno di venirla a cercare. Stava svolgendo un ottimo lavoro a uccidersi da sola. Se la lacuna fosse durata qualche secondo in più… Rotolò su un fianco, sussultando. Poi si alzò e tornò verso House Dessarian. Selene era sorta a occidente quando vennero alla luce i primi edifici. Le pareti erano di viva betulla bianca, i tronchi e i rami si intersecavano come dita intrecciate a formare un tetto verde. Ogni sesto albero cresceva storto rispetto al vicino dalla metà del tronco, dando forma una finestra ovale. Le abitazioni di House Dessarian non erano disposte su file ordinate, nel modo in cui, come le avevano detto, i mortali costruivano le loro cit­tà. Erano sparse, a malapena a distanza di un grido l’una dall’altra. La maggior parte dei daeva dormiva ancora e nessuno la vide scivolare nell’ombra come un gatto bagnato. Alla fine raggiunse la casa che le avevano riservato, più pic­cola delle altre, ma abbastanza accogliente. Aprì la porta… e trovò Darius seduto al tavolo della cucina. I daeva somigliavano molto ai mortali, anche se avevano un tocco… selvaggio. Non c’erano differenze ovvie. Era più per come si muovevano. Agili e aggraziati a riposo, troppo rapidi per l’occhio umano quando volevano. Erano più forti e guari­vano più velocemente. Potevano utilizzare terra, aria e acqua. Ma avevano una debolezza, una debolezza fatale. Il fuoco. Ecco perché il quarto elemento a Nocturne era bandito. Ecco perché i daeva dimoravano nel lato oscuro del mondo. Nazafareen mascherò la sua sorpresa nel trovarlo lì. Darius teneva corti i suoi mossi capelli castani, ciò che restava dei suoi trascorsi da soldato. Come sempre, Nazafareen trovò sconcer­tante l’intensità dei suoi scintillanti occhi azzurri. Darius inarcò un sopracciglio nel vedere il suo mantello fra­dicio. «Dove sei stata?» domandò con voce piatta. «Avevo voglia di fare una nuotata», disse lei, sfidandolo a contraddirla. «Tutta vestita?» «Faceva un po’ troppo freddo per i miei gusti.» Darius scoppiò a ridere. «Sei una pessima bugiarda.» La sua espressione si fece seria. «Non è sicuro, Nazafareen. Lo sai. Almeno la prossima volta portami con te.» Nazafareen appese il mantello a un piolo e si sedette di fron­te a lui. «Mi dispiace, Darius, ma qui mi sento una prigioniera. So che è colpa mia. I Danai sono stati gentili ad accogliermi. Ma io… volevo vedere il portale.» Il daeva si sporse in avanti, gli occhi socchiusi. «Sei andata fino al cancello? Sei impazzita?» «Volevo vederlo e basta. Tutto qui.» Darius sospirò. «Per vederlo. Perché?» «Non lo so.» Si sentì improvvisamente arrabbiata, ma non con lui. Con il mondo intero. «Curiosità. Non voglio parlarne.» Darius distolse lo sguardo. Ora lo hai ferito. «Cos’è quello?» domandò Nazafareen in un tono più dolce, indicando un oggetto avvolto in un panno sul tavolo. «Un regalo. Ero venuto per quello.» «Posso vederlo?» «Ovvio.» Sentiva che lui la stava osservando mentre si sforzava di di­sfare il filo con una mano sola. Darius la conosceva troppo bene per offrirle aiuto. Alla fine, Nazafareen si ricordò del col­tello e, tenendo il fagotto in posizione con il moncherino, lo la­cerò. Il tessuto cadde. «Oh.» Lo guardò con gioia. «Darius, è bellissimo.» Lui sorrise. «Si chiama astrolabio. L’ho realizzato in legno di tasso.» Nazafareen si rigirò la sfera di legno tra le mani. Tre lune, ciascuna di dimensioni e distanze diverse, ruotavano attorno a essa su cerchi collegati a un asse polare. «Ti mostrerò come spostarle per farle corrispondere al cielo», disse Darius con un sorriso caldo. «Così potrai seguire il ritorno di Artemide.» Nazafareen ricambiò il sorriso. C’era qualcosa di severo e inflessibile in lui che sembrava ammorbidirsi soltanto quando erano insieme, da soli. Giocherellò per un momento con l’astrolabio, facendo scorrere le lune. Era una cosa geniale, e realizzata magistralmente. L’abilità di Darius con il legno la stupiva, considerando da quanto poco tempo erano lì. «Grazie», disse lei solennemente. «È un regalo meraviglioso. Ma io non ho niente da donarti.» Lo sguardo del daeva rimase fisso su di lei. «Lascia che ti in­segni. Mi fa piacere.» «Ci abbiamo già provato…» «Ci vuole tempo. E tu sei testarda.» «Io?» Nazafareen rise. «Al tuo confronto una roccia è mal­leabile.» Pensò al serpente. «Ma forse non mi farà male.» In verità, desiderava con tutta se stessa poter usare il potere elementale come i daeva. Il clan dei Danai – quello di Darius – era particolarmente forte con la terra. Si prendevano cura delle uniche foreste del loro mondo. I mastri artigiani di House Des­sarian e delle altre sei casate realizzavano mobili e armi e altri articoli per il commercio, e si facevano pagare bene per i loro prodotti. «Allora iniziamo con un talismano semplice. Spegni il cri­stallo lumen e poi accendilo di nuovo.» Trascorsero le ore successive a esercitarsi con l’aria, che Na­zafareen trovava l’elemento più facile con cui lavorare. Era di­ventata più abile nel trovare il Nesso e riusciva ad avvertire i torrenti di potere turbinare intorno a lei. La difficoltà era nel fargli fare ciò che voleva. Riusciva a manipolare il cristallo lu­men, ma ogni tentativo di spostare oggetti – anche piccoli, come i loro pezzi da gioco – la faceva imprecare tra i denti ser­rati. Darius, come sempre, era paziente, anche se nel suo modo tranquillo sapeva essere implacabile. Quando finalmente Naza­fareen rovesciò l’intera tavola senza utilizzare il potere, lui scoppiò a ridere e fece scivolare la sedia all’indietro. «Sei stanca», disse, alzandosi. «E io ho del lavoro da fare.» Si fermò sulla soglia. «Ma voglio che mi prometta che non tor­nerai al portale da sola.» Nazafareen lo fissò. Avrebbe voluto potersi fidare di lui. Ma i segreti che Darius custodiva erano diventati una voragine tra loro, che si allargava di giorno in giorno, anche se lui si rifiuta­va di accorgersene. Di notare tutte le frustrazioni che le ribolli­vano dentro. «Allora raccontami tutto.» Sollevò il moncherino. «Dimmi come ho perso questa.» Lui distolse lo sguardo. «L’ho già fatto. Eravamo soldati…» «Già, già. Conosco questa storiella a memoria. Le tue parole cambiano di poco quando me la racconti. Ma sembra falsa. Qual era lo scopo del legame? Chi ha forgiato i bracciali e per­ché? Com’è possibile che tu sia nato nel mio mondo se i tuoi genitori sono qui?» Per un momento, parve sul punto di parlare. Gli occhi di Da­rius cercarono i suoi, ma poi una porta sembrò chiudersi. «Non importa», disse con quieta disperazione. «Davvero, non impor­ta, Nazafareen.» Lei incrociò le braccia. «Magari pensi di proteggermi, ma non sapere è peggio. Ho fatto qualcosa di male? Ero una specie di mostro?» «No.» Darius le diede le spalle. «Non tu.»

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