Capitolo 4-1

1016 Parole
4 Nora "Julian, hai un minuto?" Entrando nell’ufficio di mio marito, mi avvicino alla sua scrivania. Alza lo sguardo per salutarmi, e mi stupisco ancora una volta per gli enormi progressi che ha fatto nelle ultime sei settimane. Il gesso sul suo braccio è sparito, così come tutte le bende. Julian ha affrontato la guarigione nello stesso modo in cui affronta qualsiasi obiettivo: con spietatezza e determinazione. Non appena il Dott. Goldberg ha dato l’approvazione per la rimozione del gesso, Julian si è buttato a capofitto nella fisioterapia, dedicando molte ore al giorno agli esercizi adatti a ripristinare la mobilità e la funzione del lato sinistro del suo corpo. Ci sono giorni in cui, man mano che le sue cicatrici cominciano a svanire, quasi dimentico che è rimasto gravemente ferito, che ha passato l’inferno e ne è uscito fuori quasi illeso. Persino il suo impianto oculare non mi fa più senso. Il nostro soggiorno nella clinica svizzera e tutte le procedure sono costati milioni a Julian—ho visto il conto nella sua casella postale—ma i medici hanno fatto un lavoro straordinario al suo viso. L’impianto si abbina così perfettamente all’occhio sano di Julian che quando mi guarda dritto in faccia è quasi impossibile dire che è finto. Non ho idea di come siano riusciti a ricreare l’esatta sfumatura di azzurro, ma l’hanno fatto, fino alla minima striatura e variazione di colore naturale. La pupilla finta addirittura si restringe alla luce del giorno e si dilata quando Julian è emozionato o eccitato, grazie a un dispositivo di retroazione biologica che Julian indossa come un orologio. Questo misura il suo polso e invia informazioni all’impianto, consentendo reazioni quasi completamente naturali. L’unica cosa che l’impianto non fa è riprodurre il normale movimento degli occhi . . . o consentire a Julian di vederci. "Quella parte—il collegamento con il cervello—richiederà qualche anno" mi ha detto Julian un paio di settimane fa. "Ci stanno lavorando ora in un laboratorio in Israele." Quindi sì, l’impianto è davvero realistico. E Julian sta imparando a ridurre al minimo la stranezza di un solo occhio che si muove girando tutta la testa per guardare qualcosa davanti a sé—come sta guardando me in questo momento. "Che c’è, gattina mia?" chiede, sorridendo. Le sue belle labbra sono completamente guarite ora, e le cicatrici che si stanno dissolvendo sulla guancia sinistra lo fanno sembrare ancora più pericoloso e attraente. È come se un po’ della sua oscurità ora fosse visibile sul suo viso, ma invece di disgustarmi, mi attira ancora di più. Probabilmente perché ho bisogno di quell’oscurità ora—è l’unica cosa in grado di farmi mantenere la sanità mentale in questi giorni. "Monsieur Bernard mi ha appena detto che ha un amico che sarebbe interessato a vedere i miei dipinti" dico. "A quanto pare possiede una galleria d’arte a Parigi." Julian solleva le sopracciglia. "Davvero?" Annuisco, riuscendo a contenere a stento il mio entusiasmo. "Sì, non mi credi? Monsieur Bernard gli ha mandato delle foto dei miei ultimi lavori, e il gallerista ha detto che sono esattamente quello che cercava." "È straordinario, tesoro." Il sorriso di Julian si allarga e mi tira sul suo grembo. "Sono così orgoglioso di te." "Grazie." Ho voglia di saltare su e giù, ma mi accontento di mettergli le braccia intorno al collo e di dargli un bacio sulla bocca. Naturalmente, non appena le nostre labbra si toccano, Julian prende il sopravvento, trasformando la mia spontanea espressione di gratitudine in un prolungato assalto sensuale, che mi lascia stordita e senza fiato. Quando finalmente mi lascia andare, mi ci vuole un secondo per ricordare come sono finita sul suo grembo. "Sono così orgoglioso di te" ripete Julian, con voce dolce. Sento il rigonfiamento della sua erezione, ma non va oltre. Mi rivolge un caloroso sorriso e dice: "Dovrò ringraziare Monsieur Bernard per aver scattato quelle foto. Se il gallerista visionerà il tuo lavoro, forse faremo un viaggio a Parigi." "Davvero?" Resto a bocca aperta. Questa è la prima volta che Julian lascia intendere che forse non rimarremo sempre nella tenuta. E andremo a Parigi? Stento a credere alle mie orecchie. Annuisce, continuando a sorridere. "Certo. Al-Quadar non è più una minaccia. Quindi, con le dovute misure di sicurezza, non vedo perché non possiamo visitare Parigi, soprattutto se c’è un valido motivo per farlo." Gli sorrido, cercando di non pensare a come Al-Quadar abbia smesso di essere una minaccia. Julian non mi ha parlato molto di quell’operazione, ma quel poco che so è sufficiente. Quando i nostri soccorritori hanno fatto irruzione nel cantiere del Tagikistan, hanno scoperto una quantità enorme di informazioni preziose. Dopo il nostro ritorno alla tenuta, ogni persona anche solo lontanamente collegata all’organizzazione terroristica è stata eliminata, qualcuna in fretta e qualcun’altra, invece, lentamente e dolorosamente. Non so quante morti siano avvenute nelle ultime settimane, ma non sarei sorpresa se il totale superasse le tre cifre. L’uomo che mi sta abbracciando in questo momento è il responsabile di questo omicidio di massa e, nonostante questo, lo amo con tutto il cuore. "Un viaggio a Parigi sarebbe straordinario" dico, mettendo da parte tutti i pensieri su Al-Quadar. Mi concentro sulla possibilità che i miei dipinti possano essere presentati in una galleria d’arte vera e propria. I miei dipinti. È così difficile da credere che chiedo a Julian: "Non hai detto tu a Monsieur Bernard di farlo, vero? Non hai corrotto questo suo amico?" Dato che Julian ha sfruttato la sua influenza finanziaria per farmi entrare nel programma online altamente selettivo della Stanford University, non darei niente per scontato. "No, tesoro." Il sorriso di Julian si allarga. "Non c’entro niente con questo, te lo giuro. Hai un talento naturale, e il tuo insegnante lo sa." Gli credo, se non altro perché Monsieur Bernard è stato entusiasta dei miei dipinti nelle ultime settimane. L’oscurità e la complessità che ha visto nella mia arte all’inizio sono ancora più visibili ora. La pittura è uno dei modi con cui ho affrontato i miei incubi e gli attacchi di panico. Il dolore sessuale è un altro, ma questa è tutta un’altra storia. Non volendo soffermarmi sul mio contorto stato mentale, salto giù dal grembo di Julian. "Lo dirò ai miei genitori" dico emozionata, dirigendomi verso la porta. "Saranno felicissimi." "Ne sono certo." E dopo avermi rivolto un ultimo sorriso, sposta la sua attenzione sullo schermo del computer.
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