— Tu m'intendi... non è vero? Clara, ti risvegli... Lilia... questo è forse il nome di tua figlia,... di mia nipote? Sì, tu ti sei scossa... il calore ritorna al tuo corpo... i polsi battono... Oh! grazie, mio Dio, grazie di tanta felicità che mi accordate! —
La morta sembrava infatti rinvenire, e svegliarsi. Si sarebbe detto un incantesimo rotto all'improvviso.
Sotto i baci e le parole del fratello, nel marmo ritornava il calore e la vita.
Le labbra di Clara balbettavano:
— Questo è un sogno, e che sogno! Io vedo il suo volto sardonico... egli mi stringe... mi agghiaccia coi suoi sguardi... sento l'alito ardente del demonio... i baci santi di Lilia.
— Ella non s’è ancora svegliata bene, — mormorò Alfonso, le cui guance si erano fatte pallidissime — ella delira ancora. —
Clara continuava:
— Fratello... perché non sei qui a salvarmi?... vedi... vedi, quella donna... che mi deride... m'insulta... scaccia me... dal mio palazzo... me... contessa Rambaldi... e lui... non sa difendermi... sogghigna... ah! —
L'attenzione di Alfonso si faceva sempre maggiore.
— Dio… qual dramma intravedo!… — esclamò. — Oh! è orribile... quello che ella dice... ma se la sua ragione non ritornasse... se io non potessi saper tutto? —
La contessa fece un altro movimento come se volesse sollevarsi, e si portò una mano al seno.
— Cos'è questo freddo che sento qui, — balbettò — mi par di morire... di soffocare... dove sono?... dove mi hanno rinchiusa... come è tutto nero... tutto buio... intorno a me.… chi pone le mani sul mio petto... e mi schiaccia?... Aria... aria... pietà... io soffoco... io muoio... —
Erasi alzata quasi a metà: ricadde sfinita.
Alfonso si passò le dita sulla fronte ardente.
— Dio mio, — mormorò — Dio mio, cosa fare?... Clara, mia dolce Clara! —
Quella voce fece trasalire un'altra volta il corpo della contessa: pareva che ella facesse sforzi sovrumani per scuotere il torpore che la teneva avvinta e che tutta l'invadeva.
— Chi mi chiama? — sussurrò — qual voce è questa?... io l'ho già sentita:… è forse la voce di Alfonso? Ma no.… egli è lontano… lontano... e non sa che io muoio… non ho nessuno che mi difenda; quell'uomo m'insulta... mi calpesta... è un'infamia; andrò dal notaro, voglio porre in salvo le sostanze di mia figlia... no... non firmerò quell'atto... aiuto... Salvami, Alfonso... egli mi uccide... non lo vedi?... mi uccide! —
Alfonso strinse fra le braccia quel corpo adorato, coprendone il volto di baci e di lacrime: i singulti lo soffocavano.
Eppure in fondo all'anima, egli sentiva come una gioia strana, infinita. Sua sorella viveva ancora, egli era arrivato in tempo a salvarla: egli l'avrebbe vendicata!
Clara non parlava più, pareva sfinita. Ma il calore era ritornato nel suo corpo e dei brevi sospiri le uscivano dalle sue labbra socchiuse: le palpebre però si erano riabbassate.
— Bisognerebbe farle prendere qualche cordiale, da tre giorni non mangia... non beve... — esclamò Alfonso.
L'adagiò di nuovo con cautela sul guanciale e corse fuori dalla stanza.
Nanni sonnecchiava sopra una seggiola nella stanza vicina.
Alfonso lo scosse e Nanni balzò subito in piedi.
— Ebbene… signore?
— Ella è viva... ella è viva! — esclamò Alfonso, mentre il viso gli s'irradiava di gioia. — Ma silenzio... che non si desti mia moglie;... tu mi aiuterai;... la poveretta ha bisogno di prender qualche cosa.
— C’è del vin santo, signore.
— Bene... e ci saranno anche delle uova?
— Sicuro...
— Allora, frulla presto un uovo, e portamelo col vin santo.
— Subito, signore. —
Alfonso tornò nella stanza della sorella, e dopo cinque minuti ricomparve il fiaccheraio col cordiale preparato.
Egli si avvicinò con viva commozione al letto, dove giaceva la contessa, e poco mancò non mandasse un grido di stupore.
Clara pareva che dormisse ancora, ma una nube di una rosea trasparenza si era mischiata alla cadaverica bianchezza della fronte e delle guance: dalle labbra semichiuse usciva un breve respiro; lievi contrazioni le scuotevano il corpo gentile e le sollevavano ad intervalli il candido seno. Mentre Alfonso levava di mano al fiaccheraio il bicchiere, questi si tergeva una lacrima.
— E pensare, — balbettò — che senza di lei, questa povera signora... oh! è orribile!
— Taci, taci, che ella potrebbe udirci, e deve ignorare tutto, capisci; del resto potrebbe morire dallo spavento... aiutami a sollevarla, così! —
Alfonso appressò gentilmente alle labbra di Clara il bicchiere, mormorando:
— Bevi... bevi... sorella mia. —
Parve che la contessa l'intendesse, perché obbedì macchinalmente.
Quasi tosto ella si scosse ed aprì gli occhi; e nello sguardo che rivolse attorno parve rifulgere un raggio d'intelligenza.
Le tenebre del suo cervello si rischiaravano.
— Dove sono? — balbettò.
— Fra le mie braccia, Clara, — disse con voce commossa Alfonso.
Quella voce parve penetrare nel cuore della contessa. Ella fece uno sforzo per sollevarsi; guardò intensamente l'uomo che le parlava, e poi cacciò un grido acutissimo; era un grido di gioia delirante, ed un singulto le sfuggì dal petto.
— Tu... tu, Alfonso... fratel mio! — balbettò con un'espressione, impossibile a descriversi.
Ma quella gioia era troppo grande, dopo quanto la poveretta aveva sofferto. Il leggiero colore ricomparso sulle sue guance si dileguò di nuovo, gli occhi le si chiusero, il capo si piegò sul braccio del fratello che fu pronto a sorreggerla. Ma dopo pochi minuti secondi, un vaghissimo sorriso sfiorò le labbra di Clara.
— Sono in paradiso, — balbettò a mani giunte. — Dio che ho pregato tanto, mi ha esaudita... tu sei vicino a me... sei venuto in mio aiuto. —
Ella aprì di nuovo gli occhi, sollevandosi sui guanciali sostenuta dal fratello, e, con un gesto pieno di tenerezza quasi infantile, prese fra le sue mani delicate, la testa pallida di lui, e lo mirò a lungo.
Il volto di Alfonso si era alquanto colorito, e ciò dissimulava perfettamente, alla luce della candela, le sofferenze patite.
— Sei tu... proprio, tu... non è un sogno il mio... è vero? Parlami, che io oda la tua voce.
— Sì, sono io... tuo fratello... che ti adora... e non ti lascerà mai, mai più! — rispose Alfonso, rispondendo coi baci alle deliziose carezze della misera donna.
Il fiaccheraio colle lacrime agli occhi era uscito pian piano dalla stanza.
Fratello e sorella erano soli. La luce delle candele rischiarava a mala pena la stanzetta; Clara, tutta assorta nella contemplazione di Alfonso, non aveva badato né a sé, né al luogo dove si trovava; ma, svincolatasi un momento dal collo del fratello, notò con sorpresa l'abito bianco che indossava e la misera stanzetta dove si trovavano.
— Ma io sogno: — ripeté — dove sono dunque?... perché ho addosso quest'abito bianco? —
Un brivido percorse le vene di Alfonso a quella domanda. Eppure bisognava che rispondesse.
— Sei in casa di buona gente... dove io ti ho portata, Clara; ma non ci pensare... sei stanca, hai bisogno di dormir dell’altro. —
La contessa si portò le mani alla fronte.
— Dormire? — ripeté — mi pare d'aver dormito tanto... E la mia Lilia... dov'è?
— La vedrai... ora riposa; — disse Alfonso sempre più imbarazzato — io sono qui vicino a te, non devi temer di nulla. —
La contessa era molto abbattuta, pure si capiva che faceva degli sforzi sovrumani per rischiarare le idee e le vaghe tenebre che ancora offuscavano il suo cervello.
— Non so... la memoria non torna... non capisco nulla di quello che succede, — mormorò con un sorriso straziante. — Alfonso, tu sei proprio qui vicino a me... non è vero? Dammi le tue mani, posa qui il tuo capo vicino al mio, mi sento la testa pesa, come se avessi sonno: eppure, ho dormito molto; non è vero che ho dormito troppo?
— No, — sussurrò pian piano Alfonso, osservando avidamente quella figura adorata, che poche ore prima aveva abbracciata cadavere — tu hai bisogno ancora di riposo; chiudi gli occhi, e dammi le tue mani: io sono vicino a te, e, te lo ripeto, non ti lascerò mai più! —
Un sorriso d'angelo rischiarava i lineamenti di Clara, il suo pensiero non era ancora ben chiaro: ella si sentiva estenuata, ma felice. Articolò dei brevi lamenti, e stese innanzi le braccia che tremavano.
— Sì, dormirò... e tu non mi lascerai, Alfonso, — disse mentre infatti richiudeva gli occhi, appoggiando una guancia alla guancia del fratello, che aveva posata la testa vicino alla sua.
I dolori lungamente sofferti, quel po' di torpore che ancora le era rimasto, e l'emozione provata all'improvvisa vista di Alfonso, tutto contribuiva alla spossatezza fisica da cui era ripresa di nuovo Clara, sebbene ormai la vita fosse in lei completamente ritornata.
V
Clara, rinvenuta dalla sua profonda catalessi, non era però fuori di pericolo.
Il giorno dipoi, appena che si fu ridestata, pareva non ricordarsi di nulla, né di riconoscere le persone che l'attorniavano. Era in uno stato di prostrazione suprema.
— Qui ci vuole un medico, — aveva detto Alfonso, che si sentiva di nuovo assalire dallo scoraggiamento.
— Tu potresti andare a chiamare il dottor Moro, — disse la Sandra a suo figlio.
— Chi è costui?
— Un vecchio signore, che vive come un eremita in una villetta di sua proprietà, poco distante. Per molti anni si dice che abbia esercitata la medicina, poi si è ritirato ad un tratto dal mondo, è venuto quassù, dove vive solo con un vecchio servitore, e non riceve nessuno; ma se qualche povero diavolo dei dintorni ha bisogno di lui, non si fa pregare d’andarlo a vedere, e vi so dire io che ha fatto di molti miracoli.
— Allora andate a chiamarlo subito! — esclamò Alfonso — ditegli che una forestiera che si trovava in viaggio è caduta ammalata nella vostra casupola, che ha bisogno delle sue pronte cure, ditegli che saprò ricompensarlo di tutti i suoi disturbi. —
Nanni se ne andò correndo. Ines ed Alfonso si erano posti al capezzale di Clara, mentre la vecchia Sandra si affaccendava a ripulire, a riordinare dappertutto.
La casetta del fiaccheraio era fornita degli oggetti più necessari, tuttavia mancavano molte cose, ed Alfonso avrebbe voluto trasportare la sorella in una villetta, dove fossero tutti i comodi; ma alla prima parola che disse, Ines fu di parere contrario.
— Qui siamo in luogo tranquillo, isolato, sicuro... — rispos’ella. — Se qualcosa manca, puoi farlo venire da Firenze, ma non mi sembra prudente trasportare altrove la povera Clara. Eppoi la Provvidenza volle che c'incontrassimo in gente fidata, segreta, piena di premure: e nel caso in cui ci troviamo, questa casupola ci serve a meraviglia, giacché non desteremo la curiosità del vicinato, e Clara avrà un rifugio sicuro. Oh! ringraziamo la Provvidenza di averci condotti qua! —
Alfonso capì che Ines aveva ragione. La bellissima e giovane spagnuola era diventata un’attiva infermiera. Ella infondeva coraggio al marito, coi suoi amabili sorrisi, colle sue confortanti parole e quando i suoi grand'occhi melanconici si rivolgevano sull'ammalata, quello sguardo triste e soave aveva una grazia, un incanto che commoveva.
Il dottor Moro venne. Era un uomo di una sessantina d'anni, bruno di viso, colla fisonomia impassibile e dura, con capelli e le fedine bianche come la neve.
Alfonso gli era andato incontro con premura; Ines si era alzata. Il vecchio, avanzandosi, incontrò i suoi sguardi negli sguardi della giovine spagnuola e parve come colpito. Un po' di sangue gli salì alle gote, e le sue labbra tremarono convulse. Ma rimettendosi tosto, riprese la prima espressione, e chinatosi sul letto dell'ammalata cominciò ad esaminarla attentamente e minutamente.
— Non è cosa grave, — disse ad un tratto alzandosi. — La signora è colpita da una febbre nervosa. Deve aver subìta qualche grande emozione. —
Alfonso e Ines si scambiarono un rapido sguardo, che non fu osservato dal medico.
— Nessun'altra emozione, — rispose con voce franca Alfonso — che i disturbi e gli strapazzi di un lungo viaggio.
— Essa è vostra moglie?
— No... è mia sorella: mia moglie... è questa. —
Ed additò Ines che si era posta al fianco di lui.
Il medico trasalì di nuovo guardandola, e per un minuto parve non ricordarsi neppur più dell'ammalata.
— Ebbene, dottore, la guarirete? — esclamò Alfonso, con voce supplichevole.
Il medico si scosse.
— Certamente, — rispose in tono burbero.
— In breve tempo?
— In due o tre giorni,... ma vi raccomando la massima quiete intorno a lei. A tutte l’ore voi le darete una cucchiaiata del calmante che vi ordinerò. Se dorme, lasciatela dormire, e quando è sveglia, cercate di farle prendere dei cordiali per sostenerla. Domattina ritornerò. —
E senza voler ascoltare ringraziamenti, senza neppur più volger il capo, lo strano dottore se ne andò.
Clara rimase assopita per molta parte del giorno, ingoiando macchinalmente quanto le porgevano. Verso sera tornò a delirare, ma nel suo stesso delirio avea una specie di lucidità, che sembrava regolare le sue parole.
Alfonso ed Ines sentivano molti discorsi incoerenti uscire da quelle pallide labbra, ma erano discorsi che non offrivano un senso chiaro, e se qualche volta Alfonso con voce tremula, cercava di provocare qualche spiegazione, l'ammalata si arrestava pensosa, lo guardava un istante come sbalordita, poi tornava ad assopirsi, e in quel sopore ridiventava affatto muta.