​PARTE PRIMA-5

2002 Parole
— Aprite, — disse ai becchini. L'umidità della terra aveva arrugginite alquanto le viti e non senza sforzi essi poterono sollevare il coperchio della cassa. Ma allora un grido di orrore uscì da tutte le bocche. La giovine sposa era stata sepolta viva! Si vedevano ancora le tracce della lotta della sventurata, che svegliatasi nella cassa e sentendosi soffocare, aveva tentato con sforzi orribili di sollevarsi ed uscire. Lo spettacolo era orrendo a vedersi: terribile a narrarsi. Figuratevi quale doveva essere stata la disperazione, il terrore della povera donna a trovarsi sepolta viva: ella avrà sofferto mille morti per una sola. Quante grida, quanti gemiti non avrà mandato, ma che la terra, che pesava inesorabile su di lei, non trasmetteva ai viventi! Il volto del cadavere portava le tracce di tutte le t*****e, di tutte le sofferenze provate dalla disgraziata; in una mano aveva ancora stretta una ciocca di capelli, strappata in un dolore supremo; l'altra mano vicino alle labbra, era per metà morsicata. La madre della morta a quell'orribile spettacolo cadde fulminata. Le vennero prestati pronti soccorsi, ma furono inutili, perché essa avea cessato di vivere! L'industriale divenne pazzo, e nella sua pazzia si vedeva sempre davanti agli occhi il cadavere della moglie che sembrava minacciarlo, che sembrava dirgli: — Perché mi hai lasciata seppellir viva? — E chiudeva gli occhi, si turava le orecchie, ma quel fantasma lo perseguitava anche nelle tenebre; egli lo vedeva sempre dinanzi a sé, lo sentiva, ed allora mandava grida furiose, suoni rauchi, inarticolati; si dibatteva, si contorceva, tanto che erano costretti a mettergli la camicia di forza. E questo caso di sepolti vivi non è il solo conosciuto, il solo venuto alla luce; chi sa quanti la terra ne ricopre! Ma ripigliamo il filo del nostro racconto. IV La casetta del fiaccheraio era a capo di una straducola stretta e senza uscita, lontana dall’abitato. Sul davanti v’era la rimessa e la stalla. Dalla porta della rimessa si entrava in casa. Due stanzette a pianterreno che davano sull'orto, tre altre stanzette al primo piano formavano tutta la casa. I contadini dicevano, ridendo, che la casa di Nanni scappava tutta dalla porta della rimessa. Il fiaccheraio amava quella casetta che il suo defunto padre aveva acquistata insieme ad un piccolo podere, dove Nanni era nato, era cresciuto, e viveva tranquillo insieme alla madre, una vecchietta pulita, rubizza, tutta amore per la casa ed il figliuolo. Quando Nanni aveva lavata e tirata la vettura in un angolo della rimessa, quando aveva ripulito e dato da mangiare al cavallo, da fiaccheraio diveniva contadino, e l'orto di casa, formato da una lunga striscia di terreno separata nel mezzo di un stretto viale, era stato da lui disposto e coltivato. Lungo l'orto, fra le quattro siepi, v’era un tale allettamento di riposo, un silenzio pieno d'un ronzìo d'insetti, che piaceva ed affascinava. La vecchia Sandra, così si chiamava la madre di Nanni, aspettava ogni sera il ritorno del figlio con una tenerezza sempre nuova. Si compiaceva di ammannirgli la cena che più l'allettava, poi l'aspettava alla finestra, filando e ponendo mente a tutti i rumori di ruote che si udivano da lontano. Quella sera in cui era successa la scena del cimitero, la vecchia Sandra si mostrava un po' inquieta, perché non vedeva tornar Nanni all'ora solita. — Qualcheduno l'ha trattenuto; gli sarà capitato di fare uno spaccio lontano; — pensava — ma è così strano che egli ritardi! So che più volte ha perduto dei buoni guadagni, pur di essere a casa al tramonto. Ma oggi il sole è già sceso da un pezzo... la luna comincia a brillare e Nanni non si vede. — Passò due ore agitatissima. Già mille presentimenti cominciavano a turbare l'animo della vecchia, che con le lacrime agli occhi se ne stava in fondo al vicoletto, guardando fissa la strada maestra, mentre colle dita convulse sgranava, inconscia, il rosario, quando le parve vedere un punto nero venir da lontano e sentì lo scoppio della frusta, che le annunziava l'arrivo del figliuolo. — Che Dio sia benedetto e la Vergine santissima! — mormorò la vecchia. — Eccolo finalmente: lo voglio un po' sgridare, stasera. — Intanto la vettura si avvicinava, andando al passo. Nanni scòrse da lungi la madre e le fece un segno amichevole. — Ah! credevo che tu non tornassi più, — disse la vecchia. — Zitta... mamma, zitta... e corri subito a preparar una camera. Ti conduco due forestieri... e una povera signora... che è svenuta. — Egli non osava dire la verità alla vecchia, per non spaventarla. La povera donna, sebbene sorpresa, corse a spalancare la porta della rimessa e salì lesta la scaletta che conduceva al piano superiore, per eseguire gli ordini del figlio. Quando la carrozza si fermò, Nanni fu lesto a balzare di cassetta ed aprire lo sportello. Ne scese prima Ines, poi il fiaccheraio aiutò Alfonso a trarre di carrozza la povera morta. — Chê!… è sempre diaccia, — disse Nanni con un brivido. E, crollando impercettibilmente la testa, parve che dicesse fra sé: — Temo che quel povero signore si sia ingannato. — Con molto riguardo, Alfonso ed il fiaccheraio sollevarono quel corpo irrigidito, e adagio adagio lo trasportarono di sopra, seguiti da Ines, che si sorreggeva a stento. La vecchia Sandra aveva già preparato il letto in una stanza meschinamente mobiliata, ma dove spirava una certa aria di pulizia e di freschezza, che allargava il cuore e faceva piacere a vederla. Appena la contessa fu deposta sul letto e la vecchia poté mirarla in viso, mandò un lieve grido. — Ma questa signora è morta!... — balbettò. — No, — disse Alfonso rialzandosi livido in volto — non me lo dite... non parlate così: si sveglierà, vedrete... — Ines e Nanni si scambiarono uno sguardo doloroso. — Mia sorella è stata colpita da una profonda catalessi... lo giurerei; — continuò Alfonso — ma questo stato di morte apparente passerà presto... accertatevene... Ella non può parlare, non può muoversi, ma ci vede, ci ascolta... La vecchia Sandra rabbrividì. Intanto anche la povera Ines impallidiva a vista d'occhio, e fu costretta di abbandonarsi sopra una sedia. La fatica del viaggio, le emozioni della giornata, l'avevano affranta. Alfonso dimenticò per un momento sua sorella. — Ines, mia Ines! — esclamò inginocchiandosi dinanzi a lei e cingendole con un braccio la vita — tu non ti senti male, è vero? Guardami, amor mio, guardami con quei tuoi occhi belli... dimmi che mi perdoni... per quanto ti ho fatto soffrire!… Ines schiuse le labbra ad un angelico sorriso. — Io non ho nulla da perdonarti, amico mio... ma che vuoi? Sono donna, e sono debole... mi sento tanto stanca… vorrei dormire. — I suoi occhi si chiudevano infatti; e la sua testa si abbandonava sulle spalle d'Alfonso, che la coprì di baci. — Povera signora, ha tanto sonno!… — disse la vecchia Sandra con accento di tenera compassione — venga con me, la porterò di là che v’è un altro letto... e potrà riposare tranquilla. — Sì, sì... vai con questa buona donna, — sussurrò Alfonso, con tenerezza ed ansietà insieme. — Ma io non vorrei lasciarti solo... — Oh! non dubitare, se accadesse qualche cosa di nuovo, ti sveglierei. — Me lo prometti? — Te lo giuro. — Allora vado, — disse la giovane donna alzandosi faticosamente dalla sedia — perché non ne posso più. Mi permetti che io pure dia un bacio a tua sorella? — E me lo chiedi? — Ines in preda ad un'invincibile emozione, si avvicinò al letto dove giaceva la bella contessa, e, chinandosi su di lei, le sfiorò la gelida fronte con un bacio. Poi, asciugandosi una lacrima, seguì in silenzio la Sandra. Alfonso e Nanni rimasero soli. Il fiaccheraio non sapeva neppur lui staccarsi dalla stanza, dov'era stata deposta la morta. Egli diceva fra sé che il dolore doveva aver fatto impazzire il pover uomo, per renderlo così ostinato a credere che la povera contessa vivesse ancora. — Amico, — gli disse Alfonso, volgendosi a lui con tono familiare — puoi andartene: io desidero di rimaner qui solo, con la mia diletta sorella... Oh! stai certo, che qualunque cosa avvenga, non dimenticherò mai quanto hai fatto per me. — Oh! Signore, non parlate così... perché mi fate male; vi giuro che non ho mai reso un servigio più di cuore... e non domando altra soddisfazione che quella di veder effettuarsi il miracolo... che voi sperate. — Sì effettuerà... io ho fiducia in Dio! — esclamò Alfonso sollevando la pallida fronte con un atto di sublime convinzione. Il fiaccheraio chinò la testa rispettoso. — Io vado, signore... giacché lo desiderate; — balbettò — ma ricordatevi che sarò sempre pronto ad ogni vostra chiamata. — Nanni uscì dalla stanza, dopo aver gettato un altro sguardo furtivo sul cadavere della contessa. Quando l'uscio fu chiuso dietro di lui, Alfonso prese il lume, e, avvicinatosi al letto, si mise a contemplare intensamente il volto della morta. Quel volto continuava a rimaner calmo, ma sembrava che un sorriso l'irradiasse tutto. Alfonso posò il lume, e colle mani giunte, gli occhi fissi su quel volto adorato, proruppe: — Ah! Sì, Clara... tu sei viva... tu mi ascolti, non è vero? tu mi senti... la tua anima mi appare sul tuo dolce viso... mi sembra che tu mi guardi, che tu mi dica: fratello, fra poco io mi sveglierò,... fra poco le mie labbra potranno pronunciare il tuo nome, i miei occhi ti vedranno... Non è vero che Dio farà questo miracolo? — E continuava a baciarla. Ad un tratto gli sorse come un'improvvisa idea. Egli trasse da un astuccio un piccolo coltello affilatissimo e sollevata una manica dell'abito bianco della contessa, ne mise a nudo il bellissimo braccio, e col sudore alla fronte, coll'ansia in cuore, le inflisse nella pelle bianchissima una lieve ferita. Quasi subito in quel braccio che pareva di marmo apparve una piccola macchia rossiccia, una macchia di sangue, e un lieve fremito sembrò scuotere il corpo della morta. Alfonso provò una tale sensazione, di cui nessuna parola sarebbe stata valevole a renderne l'assordante violenza. Dunque egli non si era ingannato! La morta era ancora viva: la carne continuava a rimanere fredda, ma un sordo fluido pareva scaturirne ad ondate, agitarla. Sì, l'anima doveva palpitare sotto quelle membra agghiacciate: lo spirito non era diviso dalla materia. Alfonso per la prima volta ebbe coscienza dei due principî che compongono l'ente di una creatura umana. Egli capì che quel corpo era sotto l'influsso di una catalessi potente, ma l'anima non si era involata: e quando il torpore che agghiacciava le membra si fosse dissipato, il corpo avrebbe ripreso la sua elasticità e la sua forza. Clara sarebbe vissuta ancora. Ma quella catalessi era naturale, oppure era stata prodotta da qualche narcotico, da qualche potente veleno? Questo dubbio squarciava l'anima del giovane. — Avrei bisogno di un medico... ma a quest'ora e in questi luoghi dove trovarlo? Eppoi voglio che tutti ignorino quanto succede qui; ella si desterà... ne sono sicuro... se provassi a farle inghiottire poche gocce d'etere; perché non ci ho pensato prima? — Egli aprì la valigetta che Ines aveva depositata sul tavolino e ne trasse una piccola boccia azzurra, col tappo smerigliato, e la sturò con precauzione, mentre si chinava sul capezzale dove riposava la testa di Clara. Le labbra della contessa erano semiaperte, e i denti erano leggermente dischiusi. Da quella lievissima apertura, Alfonso versò, adagio adagio, alcune gocce di etere. Il corpo della contessa ebbe un altro leggiero sussulto. Alfonso si alzò per asciugarsi il sudore che gli colava dalla fronte, e depose la boccetta sul tavolino. Poi il suo inquieto sguardo si posò di nuovo sul volto della morta, e le sue mani strinsero una mano di Clara. — Sorella... sorella mia... svegliati,... se tu sapessi come io soffro! — Le labbra della contessa parvero agitarsi, ed un lieve calore sembrò si diffondesse nella mano che Alfonso teneva fra le sue. Il giovane aveva gli occhi pieni di lacrime. Egli coprì di baci quella fronte che sembrava rischiararsi, illuminarsi, dando a vedere una vaga estasi. Passarono altri cinque minuti, poi il corpo della contessa subì una nuova scossa, e la bocca, schiudendosi, parve pronunziare un nome. — Alfonso... — Il giovane mandò un grido. — Vive... vive... ella mi ha chiamato... Clara, mia Clara... ah! io temo d'impazzire... sei tu, non è vero... sei tu... che hai parlato?... Rispondi... io sono qui vicino a te. — Le palpebre della contessa si sollevarono a poco a poco; ma i suoi occhi, spalancandosi, parevano senza sguardo. — Lilia... — mormorò con una voce tuttavia debolissima, ma un po' più chiara. Alfonso non sapeva più frenarsi.
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