Capitolo 8: Il Sacrificio della Nebbia

689 Parole
La notte, nel Cimitero di Nebbia, era viva. Non “viva” come un paesaggio che brulica di piccoli suoni notturni, ma come una bestia immensa che respira intorno a te, e di cui sei prigioniero. La nebbia, ora, non era più solo un velo: aveva preso una consistenza quasi solida, come un mare lattiginoso che si muoveva seguendo un ritmo antico, lento, colossale. Filippo e Alberto si trovavano vicini, le spalle sfiorate, sul viale principale. Dietro di loro, la cripta era tornata a tacere, ma il bagliore dorato filtrava ancora dalla fessura dell’ingresso, a pulsare come un cuore sotterraneo. Davanti, l’intero cimitero era cambiato: dalle tombe si levavano figure incorporee, alcune urlanti, altre silenziose, tutte cariche della rabbia di una vita interrotta. Tra loro, la Donna della Nebbia avanzava. Era bella e terribile, il volto avvolto da capelli lunghissimi e scuri, il corpo rivestito di veli che fluttuavano come fumo. I suoi occhi verdi sembravano pozzi senza fondo e, quando si posarono su Alberto, un brivido gli percorse la pelle. — Sei venuto per me… — mormorò lei, e la sua voce era come una carezza e una lama nello stesso istante. Filippo si mosse d’istinto, mettendosi tra i due. — Non lo avrai — disse, ma il tono era una miscela di rabbia e dolore, come se sapesse che parte di Alberto fosse già perduta. Lei sorrise, rivelando denti sottili come quelli di un predatore. — Non puoi fermarmi, guardiano. Il tuo compito era contenere il confine. E il confine è già spezzato. Il vento si rialzò, portando l’odore ferroso del sangue anche se nessuno sanguinava. Le anime vendicative cominciarono ad avanzare, e Filippo comprese ciò che il diario del vecchio custode voleva dire: per ripristinare l’equilibrio, la nebbia stessa doveva essere “nutrita” con un sacrificio. Qualcuno vivo doveva offrirsi come sigillo, e fondersi per sempre con quel velo tra i due mondi. — Filippo… — Alberto si voltò verso di lui, la voce incrinata. — No. Non puoi. — È l’unico modo — rispose il custode, fissandolo con intensità. — La mia vita è stata sempre qui. Posso farlo. — E la mia? — ribatté Alberto, stringendogli il braccio come a impedire che si muovesse. — Forse… forse possiamo farlo insieme. Per un istante, il mondo attorno si spense. I loro sguardi si unirono, carichi di quell’attrazione che avevano sempre trattenuto, e sapere che poteva essere l’ultimo momento li spinse oltre ogni freno. Filippo afferrò Alberto per la nuca e lo baciò, un bacio lungo e disperato, denso di desiderio, paura, e di tutto ciò che non avevano mai avuto il coraggio di ammettere. Alberto vi si aggrappò come un uomo che cerca aria sott’acqua, le mani che stringevano forte la schiena del custode, sentendo il calore vivo del suo corpo nonostante il gelo tutt’intorno. Fu quel contatto, paradossalmente, a dare loro la forza per muoversi. Unirono le mani, intrecciando le dita, e si avvicinarono alla Donna della Nebbia. Lei li guardava — sorpresa, quasi offesa — mentre pronunciavano insieme le parole finali dal diario, le stesse che generazioni di guardiani avevano imparato ma mai osato ultimare. La nebbia si sollevò in colonne altissime, avvolgendoli, e ogni spirito cominciò a dissolversi in bagliori di luce pallida. Il volto della donna si deformò in una smorfia di rabbia e dolore, mentre un urlo ributtava la sua essenza nella cripta. Il prezzo, però, si fece sentire. La forza della nebbia tirava via parte di loro: per Filippo, significava consegnare il suo corpo e la sua anima alla protezione eterna del confine. Per Alberto… significava legarsi, per sempre, a quel luogo e a quell’uomo, rinunciando a fuggire o a dimenticare. Quando la luce svanì e il silenzio tornò, il cimitero era di nuovo immobile. La nebbia galleggiava lieve, innocua in apparenza. Filippo respirava a fatica, ma teneva ancora la mano di Alberto. — Ora… sei parte di questa storia — sussurrò, e nei suoi occhi c’era ancora quella fiamma che Alberto aveva imparato a temere e desiderare in egual misura. Il loro bacio finale, lento e feroce, si perse nella quiete irreale dell’alba che cominciava a filtrare.
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