Tell el-Mukayyar – La fuga

1559 Parole
Tell el-Mukayyar – La fugaNella tenda laboratorio, i due finti beduini che avevano tentato di sottrarre ai due alieni il “prezioso contenuto” della loro navetta, erano stati imbavagliati e legati saldamente ad un grosso fusto pieno di carburante. Erano seduti a terra, con le spalle appoggiate al pesante contenitore metallico e disposti in modo che guardassero in direzioni opposte. Fuori dalla tenda, un aiutante della dottoressa si era messo di guardia e, ogni tanto, si affacciava all'interno per controllare la situazione. Il più magro dei due che, a causa del colpo al fianco ricevuto dal colonnello, aveva sicuramente un paio di costole fratturate, nonostante il dolore che gli stava impedendo quasi di respirare, non aveva smesso neanche per un istante di guardarsi intorno in cerca di qualcosa che potesse tornargli utile per liberarsi. Da un piccolo forellino nella parete, la luce del sole pomeridiano penetrava timida all'interno della tenda, disegnando nell'aria calda e polverosa un sottile raggio luminoso. Quella sorta di spada di luce dipingeva sul terreno una piccola ellisse bianca che, molto lentamente, si spostava in direzione dei due prigionieri. Il tipo magro stava seguendo quasi ipnotizzato il lento incedere di quella macchia chiara, quando un improvviso lampo di luce lo riportò alla realtà. Semisepolto nella sabbia, a circa un metro da lui, un qualcosa di metallico rifletté la luce solare proprio diritta verso il suo occhio destro. Spostò leggermente la testa e cercò di capire di cosa si trattasse, senza però riuscirvi. Provò allora ad allungare una gamba in quella direzione, ma una fitta terribile al fianco gli ricordò le condizioni delle sue costole e decise quindi di desistere. Pensò che probabilmente non ci sarebbe comunque arrivato e, cercando di parlare attraverso il bavaglio, sussurrò «Ehi, sei ancora vivo?» Il grasso compare non stava certo messo meglio di lui. Dopo il volo che gli aveva fatto fare Petri, sul suo ginocchio destro era spuntato un grosso ematoma, aveva un bel bozzo sulla fronte, la spalla destra gli faceva una male cane e il polso destro gli si era gonfiato come un palloncino. «Credo di sì» rispose con un filo di voce, biascicando anche lui attraverso il bavaglio. «Meno male. E' da un bel po' che ti chiamo. Mi stavo preoccupando.» «Devo essere svenuto. La testa mi si sta spaccando in due.» «Dobbiamo assolutamente squagliarcela da qui» disse con determinazione quello magro. «Ma tu come stai? Niente di rotto?» «Temo di avere qualche costola fratturata ma posso farcela.» «Come abbiamo fatto a farci prendere così di sorpresa?» «Lascia perdere adesso, quello che è stato è stato. Cerchiamo piuttosto di liberarci. Guarda alla tua sinistra, lì dove arriva quel raggio di sole.» «Non vedo niente» replicò il ciccione. «C'è qualcosa semisepolto. Sembra un oggetto metallico. Vedi se riesci ad arrivarci con la gamba.» Il rumore improvviso della zip della tenda che si apriva, interruppe l'operazione. L'aiutante di guardia si affacciò all'interno. Il ciccione tornò a fingersi svenuto mentre l'altro restò assolutamente immobile. L'uomo diede un'occhiata ai due, controllò distrattamente tutte le attrezzature sparse all'interno poi, con aria soddisfatta, si ritrasse e richiuse di nuovo l'ingresso. I due restarono per un po' immobili, poi fu quello più grosso a parlare per primo «C'è mancato poco.» «Allora l'hai visto? Ci arrivi?» «Sì, ora sì. Aspetta, ci provo.» Il corpulento finto beduino iniziò ad oscillare il busto cercando di allentare un po' le corde che lo immobilizzavano, poi iniziò a distendere più che poté la gamba sinistra in direzione dell'oggetto. Ci arrivava appena. Con il tacco iniziò a scavare finché non riuscì scoprirne una parte. «Mi sembra una cazzuola.» «Deve essere una Trowel Marshalltown. E' lo strumento preferito dagli archeologi per grattare il terreno alla ricerca di vecchi cocci. Ce la fai a prenderla?» «Non ci arrivo.» «Se la smettessi di rimpinzarti con tutte quelle schifezze forse riusciresti anche a muoverti meglio, brutto grassone che non sei altro.» «Ma ora cosa c'entra il mio fisico possente?» «Muoviti “fisico possente”, vedi di recuperare quella cazzuola sennò lo troveranno in galera il modo di farti dimagrire.» Immagini di papponi insapori e maleodoranti apparvero improvvisamente davanti agli occhi del ciccione. Quella terribile visione sprigionò in lui una forza che non credeva più di avere. Inarcò più che poté la schiena. Una fitta partì dalla spalla dolorante e gli arrivò dritta al cervello, ma non ci badò. Con un deciso colpo di reni riuscì a portare il tacco al di là della cazzuola e, piegando rapidamente la gamba, la lanciò verso di sé. «Ce l'ho fatta» gridò da dietro al bavaglio. «Ma vuoi stare zitto brutto imbecille? Che ti strilli? Vuoi che rientrino quei due energumeni e che ci riempiano di nuovo di botte?» «Scusa» rispose sommessamente quello grosso. «Però sono riuscito a prenderla.» «Hai visto che, se ti ci metti, riesci anche tu a combinare qualcosa di buono? Dovrebbe essere affilata. Vedi se riesci a tagliare queste maledette corde.» Con la mano buona, il tipo grosso afferrò dal manico la cazzuola e iniziò a sfregarne la parte più tagliente sul cordame dietro la sua schiena. «Ammesso che riusciamo a liberarci» disse sottovoce il ciccione «come faremo a squagliarcela da qui? Il campo è pieno di gente ed è ancora giorno. Spero tu abbia un piano.» «Certo che ce l'ho. Non sono forse io la mente geniale di questa coppia?» esclamò orgoglioso il magro. «Mentre tu ti facevi il tuo bel pisolino ho analizzato la situazione e credo di aver trovato un modo per filarcela.» «Sono tutt'orecchi» replicò l'altro mentre continuava a strofinare la cazzuola. «Il tipo di guardia si affaccia circa ogni dieci minuti e questa tenda è quella più esterna del lato est del campo.» «E allora?» «Ma come ho fatto a prendere te come socio per questo lavoro? Hai la fantasia e l'intelligenza di un'ameba, sperando che le amebe non si offendano per il paragone.» «A dire il vero» replicò piccato il ciccione «sono stato io a scegliere te, visto che il lavoro era stato affidato a me.» «Sei riuscito a liberarti?» tagliò corto il magro, visto che la discussione stava prendendo una brutta piega e che, effettivamente, il suo compare aveva pienamente ragione. «Dammi ancora un attimo. Credo stia per cedere.» Infatti, poco dopo, con un secco schiocco, la corda che teneva legati i due al fusto si ruppe e il pancione di quello grosso, finalmente libero dalla costrizione, poté riprendere le sue dimensioni normali. «E' fatta» esclamò soddisfatto il ciccione. «Ottimo. Ora però teniamola su finché non rientra la guardia. Dobbiamo fare in modo che sembri tutto come prima.» «Ok socio. Mi rimetto a far finta di dormire.» I due non dovettero aspettare molto. Qualche minuto dopo, infatti, l'aiutante della dottoressa tornò a fare capolino nella tenda. Fece il solito controllo sommario della situazione e, non notando nulla di strano, richiuse la zip, si riposizionò all'ombra della veranda e si accese tranquillamente una sigaretta fatta a mano. «Ora» disse quello magro. «Muoviamoci.» L'operazione, visti gli acciacchi di entrambi, risultò molto più complessa del previsto ma, dopo aver emesso qualche sordo gemito di dolore ed aver imprecato un po', si ritrovarono in piedi l'uno di fronte all'altro. «Dammi la cazzuola» ordinò il magro mentre si toglieva il bavaglio. Le fitte al fianco destro gli impedivano di muoversi agevolmente ma, appoggiandoci sopra la mano aperta, riuscì ad alleviare un po' il dolore. In pochi passi raggiunse la parete opposta all'ingresso della tenda, si mise in ginocchio e vi infilzò lentamente la Trowel Marshalltown. La lama affilata della cazzuola tagliò come il burro la morbida stoffa della parete rivolta ad est, creando una piccola fenditura di una decina di centimetri. Il magro vi avvicinò l'occhio destro e sbirciò per qualche istante dalla fessura. Come aveva previsto non c'era nessuno. Si riuscivano solo ad intravedere, a circa un centinaio di metri, le rovine della città antica dove, in precedenza, avevano nascosto la jeep che sarebbe dovuta servire loro per scappare con il malloppo. «Via libera» disse mentre con la lama della cazzuola allungava fino a terra il piccolo taglio fatto in precedenza. «Andiamo» e si infilò strisciando nello squarcio. «Potevi farlo un pochino più largo 'sto buco, no?» biascicò il grassone, fra un gemito e l'altro, mentre cercava a fatica di scivolare fuori anche lui. «Muoviti. Ora dobbiamo filarcela più velocemente possibile.» «Eh, è una parola. Io ce la faccio sì e no a camminare.» «Dai, sbrigati e smettila di lamentarti. Ricordati che se non riusciamo a squagliarcela, un bel po' di annetti di galera non ce li toglierà nessuno.» La parola “galera” riusciva sempre ad infondere nel tipo corpulento una forza supplementare. Non disse più nulla e, soffrendo in silenzio, seguì il compagno che, quatto quatto, sgattaiolò via verso le rovine. Fu il rombo di un motore in lontananza ad insospettire l'uomo di guardia. Guardò per un istante la sigaretta ormai consumata e, con un rapido gesto, la buttò via. Si infilò deciso nella tenda e non riuscì quasi a credere ai suoi occhi: i due prigionieri non c'erano più. Accanto al fusto di carburante la corda buttata in modo scomposto, poco più in là i due pezzi di stoffa che avevano usato come bavagli e sulla parete di fondo della tenda un grosso squarcio che arrivava fino a terra. «Hisham, ragazzi» urlò l'uomo con tutto il fiato che aveva in gola. «I prigionieri sono scappati!»
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