Base aerea Camp Adder – L'evasioneI due strani personaggi, ancora vestiti da beduini, erano appena entrati nel loro covo in città quando, dal portatile lasciato acceso sul tavolo del salotto, un lieve suono intermittente attirò la loro attenzione.
«E ora chi diavolo è?» chiese infastidito quello magro.
Il ciccione, sempre più claudicante, si avvicinò al computer e, dopo aver digitato una password decisamente complessa, disse «E' un messaggio dalla base.»
«Vorranno conoscere l'esito dell'operazione.»
«Dammi un secondo che lo decodifico.»
Sullo schermo apparvero prima una serie di caratteri incomprensibili poi, dopo una combinazione di codici digitati in sequenza, il messaggio iniziò lentamente a comporsi.
Il generale è stato catturato e condotto alla base aerea di Camp Adder. Necessita operazione di recupero immediata.
«Per la miseria» esclamò il ciccione. «L'hanno già saputo.»
«Ma come diavolo avranno fatto?»
«Beh, di sicuro hanno dei canali più diretti dei nostri. A quelli lì non sfugge niente.»
«E secondo loro come dovremmo fare?»
«E che ne so. Qui dice solo che dobbiamo andare a liberarlo.»
«Conciati come siamo? Non la vedo bene per niente.»
Il tipo alto e magro sfilò una sedia da sotto al tavolo, la ruotò di novanta gradi poi, emettendo una serie di gemiti intermittenti, vi si accasciò. «Ci mancava solo questa.»
Appoggiò un gomito sul piano levigato e lasciò andare lo sguardo aldilà della finestra che aveva di fronte. Notò che i vetri erano decisamente sudici e che quello di destra aveva un'incrinatura che lo attraversava per quasi tutta la sua lunghezza.
Ad un tratto, alzò gli occhi di scatto verso il suo compare e, dopo aver abbozzato un sorrisetto sardonico, disse «Mi è venuta un'idea.»
«Lo sapevo, conosco quello sguardo.»
«Vai a prendere la cassetta del pronto soccorso e fammi dare un'occhiata al bozzo che hai in testa.»
«A dire il vero mi preoccupa di più il mio povero polso. Non vorrei che fosse rotto.»
«Non ti preoccupare, te lo sistemo io. Da ragazzo volevo fare il veterinario.»
Dopo poco più di un'ora e dopo massicce dosi di antidolorifici e pomate varie spalmate dappertutto, i due compari erano tornati praticamente quasi come nuovi.
Il magro, dopo essersi guardato allo specchio appeso alla parete di fianco alla porta d'ingresso, disse con aria compiaciuta «Ora possiamo procedere» e si infilò nella stanza da letto. Ne uscì poco dopo con in mano due divise militari americane stirate di tutto punto.
«Ma quelle dove le hai prese?» chiese meravigliato il ciccione.
«Fanno parte della dotazione di emergenza che mi sono portato dietro. Non si può mai sapere.»
«Tu sei completamente pazzo» commentò il tipo grosso, scuotendo leggermente la testa. «E cosa dovremmo farci?»
«Ecco il piano» disse soddisfatto il magro mentre lanciava verso il compare la divisa taglia XXL. «Tu sarai il generale Richard Wright, responsabile di una segretissima agenzia governativa di cui nessuno conosce l'esistenza.»
«Ovvio, è segretissima. E tu?»
«Io sarò il tuo braccio destro. Colonnello Oliver Morris, per servirla, signore.»
«Quindi sono un tuo superiore. Mi piace questa cosa.»
«Non ti ci abituare però, ok?» disse il magro tenendo il dito indice alzato. «E questi sono i nostri documenti con relativi tesserini di riconoscimento.»
«Cavolo. Sembrano veri.»
«E non finisce qui, vecchio mio» e gli mostrò un foglio di carta intestata firmata direttamente dal colonnello Jack Hudson. «Questa è la richiesta ufficiale di consegna del prigioniero per il trasferimento in luogo più “sicuro”.»
«Ma dove diavolo l'hai presa?»
«Me la sono stampata prima mentre eri sotto la doccia. Credevi di essere solo tu un mago del computer?»
«Sono stupefatto. E' anche meglio dell'originale.»
«Ci introdurremo nella base militare e ci faremo consegnare il generale. Se dovessero fare delle obiezioni potremmo sempre dirgli di chiamare direttamente il colonnello Hudson. Non credo che nello spazio il cellulare prenda» e scoppiarono entrambi in una fragorosa risata.
Dopo circa un'ora, mentre il sole si era ormai nascosto dietro un'alta duna, una jeep militare, con a bordo un colonnello e un generale vestiti di tutto punto, si fermò alla sbarra d'ingresso della base aerea di Imam Ali o Camp Adder come l'avevano ribattezzata gli americani durante la guerra in Iraq. Dalla garitta blindata uscirono due militari armati fino ai denti e si diressero a passi veloci verso l'automezzo. Altri due, rimasti più distanti, tenevano sotto tiro i passeggeri.
«Buonasera colonnello» disse il soldato più vicino, dopo aver salutato militarmente. «Posso vedere i suoi documenti e quelli del generale, per favore?»
Il colonnello alto e magro che sedeva al posto di guida, non disse neanche una parola. Sfilò dalla tasca interna della giacca una busta gialla e gliela porse. Il militare indugiò un bel po' nella lettura e puntò un paio di volte la torcia elettrica sul viso di entrambi. Il generale percepì nettamente la goccia di sudore che, partita da sotto il bernoccolo che aveva in fronte, iniziò a scendergli lentamente sul naso, per poi precipitare sul terzo bottone della giacca, tesa fino all'inverosimile dalla possente spinta dell'enorme pancione sottostante.
«Colonnello Morris e generale White» disse il militare, puntando di nuovo la torcia in faccia al colonnello.
«Wright, generale Wright!» rispose con tono decisamente seccato il magro colonnello. «Che c'è sergente, non sa leggere?»
Il sergente, che aveva appositamente pronunciato in modo errato il cognome del generale, sorrise lievemente e disse «Vi faccio accompagnare. Seguite quegli uomini» e con un cenno ordinò ai due militari di fare loro strada in direzione della prigione.
Il colonnello avviò lentamente la jeep. Non aveva fatto neanche una decina di metri quando sentì gridare alle sue spalle «Signore, si fermi!»
Ai due occupanti del mezzo si gelò il sangue nelle vene. Restarono immobili per alcuni lunghissimi istanti, finché la voce non continuò dicendo «Ha dimenticato di riprendere i suoi documenti.»
Il corpulento generale tirò un sospiro di sollievo così grande che tutti i bottoni della sua divisa rischiarono di saltare via.
«Grazie sergente» disse quello magro allungando la mano verso il soldato. «Sto invecchiando più velocemente di quanto pensassi.»
Avviarono nuovamente la jeep e seguirono i due soldati che, procedendo di buon passo, li condussero rapidamente all'ingresso di una costruzione bassa e dall'aspetto decisamente trasandato. Il soldato più giovane bussò al portone ed entrò senza attendere risposta. Poco dopo, un omone di colore, completamente calvo, con i gradi di sergente e con la faccia decisamente da duro, si presentò sulla soglia e scattò sugli attenti. Salutò militarmente e disse «Signor generale, signor colonnello. Prego, entrate pure.»
I due ufficiali risposero al saluto e, cercando di ignorare i vari dolori che stavano lentamente riaffiorando, si infilarono nello stanzone.
«Sergente» disse con risolutezza quello magro. «Abbiamo qui un ordine scritto del colonnello Hudson che ci autorizza a prelevare il generale Campbell» e gli porse la busta gialla.
Il grosso sergente la aprì e si soffermò un bel po' a leggerne il contenuto. Poi, fissando con i suoi occhi scuri e penetranti quelli del colonnello, sentenziò «Dovrei verificare.»
«Faccia pure» replicò tranquillamente l'ufficiale.
L'omone di colore sfilò da un cassetto della scrivania un altro foglio e lo confrontò attentamente con quello che aveva in mano. Guardò di nuovo il colonnello e, senza lasciar trasparire nessuna emozione, aggiunse «La firma coincide. Niente in contrario se lo chiamo?»
«E' suo dovere. Ma cerchiamo di fare in fretta, per favore. Abbiamo già perso troppo tempo» replicò il magro colonnello, fingendo di stare per perdere la pazienza.
Per nulla intimorito, il sergente infilò lentamente un mano nel taschino della divisa e ne estrasse il suo telefono cellulare. Compose un numero e restò in attesa.
I due ufficiali trattennero il respiro finché il militare, dopo aver premuto un pulsante dell'apparecchio, commentò laconicamente «Non è raggiungibile.»
«Allora sergente, ci vogliamo sbrigare?» esclamò l'ufficiale con un tono decisamente più autoritario di prima. «Non possiamo stare qui tutta la notte.»
«Vai a prendere il generale» ordinò il grosso sergente a uno dei soldati che avevano accompagnato i due ufficiali.
Dopo un paio di minuti, un uomo completamente calvo, con baffoni e sopracciglia grigie e due vispi occhietti neri apparve sulla soglia della porta alle spalle del sergente. Indossava la divisa con i gradi da generale ma sulla spallina destra mancava una delle quattro stelle d'ordinanza. Era ammanettato e, dietro di lui, il soldato di prima lo teneva sotto tiro.
Alla vista dei due, il generale trasalì per un istante poi, intuendo il piano, restò in silenzio e fece la faccia più triste che poté.
«Grazie soldato» disse il colonnello magro mentre sfilava dalla fondina la sua Beretta M9. «Ora questa carogna la prendiamo in consegna noi.»