II
L'uomo di cui parlavano le due signore aveva salutato il dottor Lebras a poca distanza da Ville-Querdec e si era incamminato per una stradina in salita piuttosto ripida. Alwyn Clenmare avanzava con passo sicuro e regolare. Dopo un bosco di pini arrivò in una piccola area pianeggiante sulla quale era stata costruita la sua casa. Era molto vecchia e per essere confortevole avrebbe avuto bisogno di parecchi lavori di manutenzione. Alwyn l'aveva presa in affitto così com'era, per una cifra modesta.
Lui e il suo domestico, molto bravo, avevano fatto le riparazioni necessarie e l'avevano arredata alla meglio prima che arrivasse madame Clenmare. Come diceva con un certo disprezzo madame de Friollet era una casa da miserabili.
Due levrieri grigi, stesi sull'erba falciata, gli andarono incontro. Alwyn li accarezzò e li calmò rivolgendo loro la parola e continuò a camminare.
Davanti alla casa apparve un uomo sulla cinquantina, magro, abbronzato, con due profondi occhi neri. Indossava dei vecchi calzoni un po' malmessi, una giacca a quadri e un grembiule di tela blu.
- Faâli... il pranzo... fai presto. Devo lavorare - disse Alwyn, mentre il domestico si spostava per lasciarlo entrare.
- Mezz'ora e sarà pronto - rispose il servitore con un leggero accento straniero.
All'ingresso, che aveva il pavimento rotto e i muri decrepiti, Alwyn aprì una porta scrostata. Entrò in una stanza più grande, illuminata da due porte a vetri che davano su un piccolo giardino. Al centro un grande tavolo rotondo di mogano e due poltrone ricoperte da un tessuto scolorito, due sedie, un vecchio armadio, un pianoforte, un divano logoro rivestito di velluto di Genova1.
Sul caminetto c'era un busto di marmo. In un vaso di ceramica un po' rozzo c'erano dei narcisi sui quali era chinata una piccola donna dai capelli biondo cenere. Al rumore della porta che si apriva la donna si girò con un sorriso.
- È stata proprio una bella mattinata, Alwyn!
- Sì, bellissima.
La donna allungò verso Alwyn una mano bianchissima, con un solo anello. Lui la baciò e poi la lasciò ricadere.
- Hai fatto molte visite questa mattina?
Due occhi neri molto dolci in un viso ancora giovane guardavano il giovane dottore con affettuosa partecipazione.
- Sì, tre. Lebras mi ha presentato a madame de Friollet che abita quattro o cinque mesi dell'anno qui vicino, nel castello di Ville-Querdec. Mi aveva avvertito che si trattava di una malata immaginaria. Spero che non mi disturbi troppo spesso, ho poca voglia di perdere tempo.
Madame Clenmare non aggiunse altro. Sul suo viso si leggeva una certa timidezza, era imbarazzata davanti al figlio. Domandò solo:
- Madame de Friollet è giovane?
- No, avrà una settantina d'anni. Ma con lei c'è una ragazza molto graziosa, di una ventina d'anni. Si chiama de Coëtbray, me l'ha detto Lebras.
- Coëtbray? È un cognome dell'antica nobiltà bretone. Ti piace?
Alwyn fece una risatina sarcastica:
- Di sicuro, mamma, sono già innamorato. Fermati, non correre troppo con la fantasia. Non a caso sono un discendente degli “uomini di ghiaccio” come venivano chiamati i miei antenati, e quegli occhi mi conquisteranno solo se lo vorrò.
- Oh, certo, lo so... lo so che sei un uomo di carattere...
Guardava Alwyn con ammirazione, quasi intimorita. Accanto a lui, così slanciato ed elegante, lei sembrava ancora più piccola, quasi una bambina. Il suo viso bianco e fine conservava qualcosa di infantile. Madre e figlio non si somigliavano fisicamente, e, guardandoli, ci si accorgeva anche che non c'era alcuna somiglianza neppure dal punto di vista caratteriale.
- Sì, per fortuna - rispose Alwyn all'osservazione della madre.
Un sorriso ironico sfiorava le sue labbra.
- I miei giornali? Sono arrivati?
- Sì, li ha portati Faâli poco fa. Dove sono...?
Ma Alwyn puntò diritto verso una delle poltrone e prese i tre giornali ancora sigillati nelle buste.
- Eccoli. Ma perché non li hai lasciati sul tavolo dove li aveva appoggiati Faâli?
- Dovevo apparecchiare, e li ho tolti perché la tavola fosse libera.
Madame Clenmare aveva l'aria di una bambina impaurita. Alwyn aggrottava le sopracciglia che disegnavano una curva armoniosa sulla pelle bianca del viso. Nel tono gentile della risposta non era difficile cogliere una sfumatura d'impazienza:
- Per piacere, mamma, lascia che ci pensi Faâli a queste cose. Occupati dei tuoi fiori, dei tuoi lavoretti, della tua musica. Lascia perdere il resto...
Spostò una poltrona vicino a una delle porte a vetri, si sedette e aprì un giornale. Madame Clenmare tornò verso il vaso. Era un po' imbronciata. Le sottili dita scostarono un poco i giacinti e levarono qualche foglia gialla. Poi sfiorarono la mussola bianca che adornava il suo vestito nero. Poi, un po' inquieta, guardò verso Alwyn. Fece qualche passo, esitante, e si accomodò in piedi dietro la poltrona del figlio.
- Non sei mica arrabbiato con me, Wynnie? - domandò a bassa voce.
- Ma no, mamma. Lo sai benissimo che non sono mai arrabbiato con te.
Con un tono di voce troppo basso per essere sentito, la signora sussurrò:
- Qualche volta è anche peggio...
La sua mano accarezzò timidamente i capelli bruni e ondulati di lui. Poi, visto che Alwyn continuava a leggere rimanendo impassibile, si allontanò e andò a sedersi nell'altra poltrona. Sul piccolo tavolo vicino, alla rinfusa, erano accatastate pezze di tulle ricamate, sete di molti colori, raso, e altri materiali utilizzati per lavori inutili, occupazioni che non davano nessun profitto, quotidiane perdite di tempo. Le sole che piacessero all'animo bambino di madame Clenmare.