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MATRIMONIO A LAS VEGAS

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Trafiletto

Dopo l'ennesimo weekend passato a scappare dalle sue responsabilità Eston Mayford si ritrova a LAS Vegas e...con una fede al dito. Vanilla Sanders è in fuga da un passato tossico e un ex che non è intenzionato a lasciarla andare. Eston e Vanilla si trovano, si attraggano, passano la notte insieme...bevono fino a dimenticare. C'è solo un piccolo dettaglio: in un momento non ben identificato nella serata i due si sono pure sposati. Divorziare sarebbe semplice, se non fosse che farlo metterebbe Eston a rischio di espulsione dal CDA di famiglia. Tanto vale allora, sottoscrivere un contratto. Lei da una parte, lui dall'altra. Per un anno solo finzione. È un vero peccato non aver messo in conto la passione sfrenata che li ha legati fin dal primo momento. E se a questa ci aggiungiamo i sentimenti?

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1. Vanilla
SCONOSCIUTO: PUOI SCAPPARE QUANTO VUOI...MA SAI CHE RIUSCIRÒ A TROVARTI. SEI MIA. Metto via il telefono con le mani che tremano per il nervoso. Non ho dubbi che sia così, che lui abbia ragione. solo su una cosa si sbaglia: io non sono sua, non gli appartengo affatto. Recupero il mio bagaglio e mi avvio verso l'uscita. A quest'ora l'aeroporto di LAS Vegas è affollato, un sacco di persone in partenza, altri agli arrivi. Sento l'ansia crescere dentro di me. Non mi piacciono i luoghi affollati, non importa che siano grandi o piccoli, riescono comunque a procurarmi disagio. Ho la sensazione di avere gli sguardi di tutti puntati addosso, come fossi un mirino, oppure il drappo rosso per un toro. So che è solo la mia testa a fare brutti scherzi, e so che anche se ora mi voltassi o sollevassi lo sguardo dal pavimento non ci sarebbe niente a incutere timore. Tuttavia io ho paura di sbagliarmi, ho paura di fallire, di ritrovarmi addosso il suo sguardo. Per questo scappo. L'ho fatto anche stavolta, acquistando il primo biglietto disponibile senza fermare l'attenzione sulla destinazione. Da due anni questa è la mia vita ma è solo negli ultimi tre mesi che è cambiata davvero. Sollevo una mano per chiamare un taxi e quando questo si ferma non ci penso due volte a nascondermi dentro. Non sono una cattiva persona, non sono una criminale, eppure dalla vita che faccio, dal modo in cui mi comporto è esattamente ciò che sembra. Mi faccio lasciare davanti un vecchio edificio, in una zona di Las Vegas che non definirei proprio turistica, ma è tutto quello che posso permettermi. Anche i soldi cominciano a scarseggiare, così come la mia pazienza per la vita. La mia situazione fa schifo e quel che è peggio è avere la costante sensazione di lasciarsi scivolare il tempo tra le mani. Non ho più il controllo di niente ormai, le mie scelte sono dettate unicamente dallo scappare via. Vivo nel rischio costante di non arrivare all'indomani. Potrei fermarmi, potrei semplicemente arrendermi ma non è ciò che voglio. Nonostante tutto rimango aggrappata alla vita, anche se per ora ha tutte le sembianze di una gabbia. Entro in camera subito dopo aver fatto il check-in. Documenti falsi alla mano e contanti permettono di muoversi liberamente qui. Getto lo sguardo verso il nome sulla carta d'identità: VANILLA SANDERS. Non è il mio vero nome, è solo...l'ultimo. Cerco di cambiare identità più volte che posso, perché solo così riesco a sentirmi davvero sicura. Al mio prossimo viaggio inizierà una nuova me, un nuovo nome, un nuovo passato, tutto nuovo. Magari tingo ancora una volta i capelli. Sono rossi, per il momento, ma potrei pensare a un taglio radicale e a una tinta stravagante. Mi piace il viola. Faccio una doccia veloce, e con ancora addosso l'asciugamano mi avvicino alla finestra della camera. In lontananza scorgo la Vegas patinata, tutta lustrini e vita, con i suoi casinò, i turisti, i miliardari annoiati in cera di una notte da brivido. Non so che darei per essere una di loro, una di quelle persone la cui unica preoccupazione nella vita è scegliere cosa mangiare al ristorante o quale borsa si abbina meglio alle scarpe. Mi basterebbe anche solo un giorno. Un giorno lontano da chi sono, da cosa mi trascino dietro. Sospiro e all'improvviso ho voglia di uscire, di bere e di dimenticare. Mi vesto senza cura, indosso qualcosa di veloce e sbrigativo, niente di sexy, niente di sensuale. Non ho nessuna intenzione di rimorchiare né di avvicinare i farmi avvicinare da qualcuno. Ne ho avuto abbastanza per una vita intera. Non prendo un taxi, stavolta preferisco passeggiare, camminare per le vie sempre illuminate. Dopo una ventina di minuti un'insegna attira la mia attenzione. Si tratta di un pub ben lontano dal clamore e dal caos della città che brulica di persone. Entro e cammino dritta fino al bancone. «Salve, cosa ordina?» «Un Bloodymary, per favore.» «Arriva subito.» Nell'attesa cerco di distrarmi come posso, mi guardo un po' in giro e devo ammettere che l'interno non è niente male. Il locale è tranquillo, arredato in modo rustico, si ha l'impressione di stare in una di quelle vecchie taverne del selvaggio west. Oltre a me non ci sono molte persone, giusto qualche tavolo è occupato. Passo in rassegna con lo sguardo i presenti: c'è una coppia, sorridente e felice, sono asiatici e hanno tutta l'impressione di essere in viaggio di nozze; poco più in là ci sono sei o sette persone sedute allo stesso tavolo, una comitiva in tutta probabilità. Ci sarebbe qualcun altro ma all'improvviso la mia attenzione è catalizzata da un tavolo in particolare. Da un tavolo e da un uomo in particolare, lo stesso che sta ricambiando il mio sguardo. Posso solamente dire una cosa: è senza ombra di dubbio l'uomo più bello che abbia mai visto in tutta la mia vita. Un ciuffo di capelli biondi gli ricade sulla fronte coprendo in parte il suo sguardo ma l'altra...accidenti i suoi occhi sono...meravigliosi. Non sono solo verdi, non solo solo brillanti come due smeraldi, no, questo sconosciuto porta addosso il colore della foresta in estate, il colore dell'acqua di un lago ad agosto, lui è... «Ecco a lei» Sollevo lo sguardo verso il barista e ringrazio con un lieve cenno della testa. Quando riposiziono il viso ancora sullo sconosciuto quasi mi viene un colpo nel notare che non solo si è alzato ma che si sta anche avvicinando. Lo ammiro in tutta la sua fisicità: è alto, parecchio alto, direi che siamo sui 190 cm, il portamento è elegante, il passo sicuro e io mi sento sempre più nervosa. «Posso farti compagnia?» La sua voce risuona nelle mie orecchie ed è la cosa più virile e profonda che abbiano mai sentito. «Mamma dice sempre di non parlare agli sconosciuti» «Non sono uno sconosciuto» «Ah no?» «No, affatto. Mi chiamo Trevor» «Gra... Vanilla. Mi chiamo Vanilla.» mento sul mio nome, sulla mia identità anche perché non posso proprio fare altrimenti. Trevor si siede senza aspettare oltre e mi basta guardarlo in quelle meraviglie di occhi che si ritrova per capire di aver appena trovato il mio diversivo per la serata.

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