L’igson dagli occhi neri
Quello stesso giorno, nei territori più a sud della Yan-igsonelt, un uomo con il volto coperto da un cappuccio, su di un nervoso cavallo nero, galoppava veloce tra gli stretti sentieri del bosco.
L'atmosfera tra le fronde degli alberi era silenziosa e cupa e il respiro del suo cavallo, a causa della forte umidità, cominciava a farsi affannoso. Anche la luce, passando veloce tra i rami, si faceva più fastidiosa. La sua meta, tuttavia, era vicina.
Un piccolo strappo con le redini e l'andatura dell'animale aumentò ulteriormente. Alcune centinaia di metri, però, e si arrestò di colpo nitrendo e impennando violentemente; il cavaliere, senza scomporsi, lo controllò rimanendovi saldamente in groppa. Si era fermato all'inizio di una radura: l'erba era scura, sembrava quasi marcia e in più emanava uno sgradevole odore di carne in putrefazione. Dopo la radura, coperto da un fitto strato di nebbia si trovavano le basse acque stagnanti di quello che solo un tempo doveva essere un lago e al di là del lago, un fuligginoso castello affiancato da due alte torri acuminate sovrastava l'ambiente circostante.
L'uomo incappucciato, una volta ammansito il destriero, si diresse lentamente verso la grigia muraglia che circondava quel tetro posto. Si fermò dinanzi ad essa guardandosi intorno con circospezione. Il silenzio inghiottiva tutto il resto. Improvvisamente, come manovrata da un meccanismo, una parte della parete si mosse creando un varco. Il cavaliere l'attraversò. Davanti a lui l'antica abitazione estiva dei sovrani, ceduta ad alcuni nobili molti anni prima, si ergeva imperiosa. Scese finalmente da cavallo lasciando che le mura alle sue spalle si richiudessero, si tolse il cappuccio e si diresse verso l'entrata. Una folta chioma di capelli rossi si diramò, spettinata in ogni direzione, coprendogli orecchie e parte della fronte.
Era un igson; talvolta, anche il colore dei capelli può tradire la loro provenienza: “non c'è colore che non possano assumere” si vociferava oltre i confini dell'Igsonelt. Gli occhi, tuttavia, erano la loro vera peculiarità; grandi, allungati, dalle capacità uniche. Nessuna emozione sembra trasparire dentro quell'uniforme specchio d'acqua, soprattutto per coloro che non sono abituati ad averci a che fare.
La porta d'ingresso era aperta, l'uomo l'attraversò e proseguì su un lungo corridoio buio e freddo fino ad arrivare all'interno di una grande sala. Gli arazzi e i dipinti sui muri che lo avevano accompagnato fin dall'entrata ora lasciavano il posto a grandi vetrate e al vuoto degli spazi. Sebbene i vetri fossero di pregiata lavorazione e coprissero buona parte delle pareti la luce che penetrava attraverso di essi era fioca e sembrava venisse subito inghiottita dal pavimento. A malapena si distingueva una grande scalinata proprio al centro della stanza che conduceva ai piani superiori. L'uomo vi si diresse senza esitare. Il suo sguardo era abbastanza inquieto e la cicatrice che tagliava perpendicolarmente il suo occhio sinistro, non permettendogli di aprirlo completamente, lo rendeva in qualche modo ancora più ombroso.
Continuò a salire. In quegli ambienti cupi, gli unici rumori udibili erano il leggero scalpitio dei suoi passi e il fruscio del suo saio.
Terminò la prima rampa di scale. Davanti a lui un ulteriore corridoio simile al primo. Alla sua destra e alla sua sinistra numerose stanze e altre scalinate.
Proseguì diritto fino all'entrata, chiusa, della sala in fondo al corridoio.
L'angusto maniero faceva parte delle proprietà della famiglia dei Monur; Arkas, l'uomo che lo attendeva al di là della porta, l'aveva ereditato molti anni prima dalla nobile madre. Viveva lì in solitudine e, sebbene il padre fosse stato un potente stregone di Ozar, aveva scelto di non seguire le sue orme in Malamonelt.
Rakòn alzò lo sguardo verso l'alto e respirò profondamente. Era ai servizi di Arkas da molto tempo ma il timore per la fama di quest'ultimo faticava ad abbandonarlo.
Spinse lentamente il pomello dorato. La porta però si aprì violentemente e un intenso bagliore luminoso si propagò nel corridoio, tanto forte da costringerlo a portare le mani davanti al volto. Per qualche istante ancora tenne gli occhi chiusi e, quando tentò di aprirli, una sagoma scura si profilò alcuni metri davanti a lui.
Da quella direzione, i primi suoni interruppero finalmente l'atmosfera silenziosa che fino a quel momento aveva dominato nel castello.
Una voce sibilante si distese fino a lui.
‒ Ti nascondevi dietro la porta?
Rakòn entrò frettolosamente nella stanza e si inginocchiò davanti ad Arkas, tenendo la testa bassa per non incrociare il suo sguardo.
‒ Mio signore, non volevo disturbare la vostra quiete. Ho importanti novità da Korades.
‒ Alzati Rakòn. Dì al tuo signore... come procedono le vite alla reggia? ‒ Quelle parole quasi sussurrate mettevano i brividi.
Il sottoposto obbedì ed ora lo vedeva benissimo: i capelli di colore nero, lucidi, scendevano lisci sulle sue spalle e davanti gli occhi, anch'essi completamente neri. Era coperto fino quasi al ginocchio da un'unica casacca, cucita lateralmente solo dalle braccia ai fianchi e che lasciava intravedere il pantalone nelle parti laterali delle gambe. Il mantello sfarzoso arrivava quasi a toccare il pavimento e gli copriva interamente le guance e la nuca; solo la parte centrale del volto rimaneva ben visibile. Arkas l'aveva legato al collo tramite un laccio dorato e, nella parte posteriore del drappo, erano presenti ornamenti dello stesso colore.
Sia i vestiti che il mantello erano scuri, con bordi sottili e rosso sangue.
L'intera figura, a prescindere dal vestiario, emanava un'aura cupa di cui il castello sembrava essere impregnato.
Nessuno conosceva la sua vera età, nonostante i gestori delle locande dei borghi vicini alla residenza dei Monur giurassero di non aver saputo della sua esistenza prima di trent'anni da allora. Essendo figlio di un Malamon avrebbe potuto dimostrare dieci, venti o cinquant'anni di meno di quelli che gli si potevano attribuire senza che ciò destasse scalpore.
Quando Rakòn fu completamente in piedi prese coraggio e iniziò a parlare.
‒ La data della proclamazione del giovane principe è stata anticipata. Si terrà dopodomani e parteciperanno tutti i nobili di corte. Certo, sempre che superi le prove...
‒ Quelle prove sono una formalità... ad ogni modo, che quel piccolo stolto ci riesca o meno, il momento è giunto. Non ricordo neanche più da quanto aspetto questo giorno! ‒ rispose Arkas, mentre la rabbia nelle sue parole si faceva sempre più accentuata ‒ Tutti questi anni di segregazione qui, nonostante le mie nobili origini! Chiunque sa come è andata realmente quel giorno, quando mio padre fu ucciso, ma nessuno ha mai voluto ammetterlo! Fu Kodet il mandante. E suo figlio Kayl... ‒ il tono della sua voce si calmò per ritornare di nuovo profondo ‒ Per allontanare da sé quell’onta obbligò me e mia madre a vivere in questo posto dimenticato dalla luce! Da allora, la gente ha sempre guardato con paura questi miei occhi neri, come fossi... un mostro! Dopodomani finirà. Tutto è pronto. Modificherò la posizione della mia casata; essa tornerà a brillare e non solo...
Rakòn, a braccia distese ascoltava serio.
‒ Dyaelt, mio Signore?
‒ Esattamente! ‒ rispose Arkas, già in estasi per le parole che avrebbe pronunciato subito dopo ‒ Mio fido Rakòn, le differenze su Elt devono essere appianate! Tutti conoscono la forza che scaturisce dall'energia congiunta di due razze diverse. E la temono... ma proprio per questo dove gli altri hanno fallito quasi tre secoli fa, io trionferò. Finalmente i continenti saranno unificati e ogni disuguaglianza verrà meno!
Al culmine dell'eccitazione voltò le spalle all'igson e si sedette sul trono in fondo alla sala.
‒ Raduna i tuoi uomini! Domani partiremo per Korades. Porteremo i nostri “omaggi” al re prima dell'incoronazione del figlio ‒ E ancora, sussurrando ‒ La morte di mio padre non sarà stata vana. All'altare penseremo in un secondo momento... non c'è altro modo per mettere fine alle ostilità che da sempre affliggono questo mondo.