Prova di coraggio
‒ Signorino! Coraggio, svegliatevi! È un gran giorno per voi! La giornata è magnifica, il sole splende e vostro padre è ansioso di constatare i vostri progressi.
‒ Ma che ore sono?! ‒ borbottò Randet con voce assonnata.
‒ Le dieci mio principe! ‒ rispose Jakesh spalancando tutte le finestre.
‒ Lasciami dormire ancora un po'! ‒ bofonchiò Randet.
‒ Su, su! Non ricordate? Fra poche ore avranno inizio le prove! Alzatevi!
La voce del principe era come non arrivasse alle orecchie del nobile che continuava imperterrito ad agitarsi dentro la camera producendo ogni sorta di rumore.
‒ Cosa!? ‒ Come colto da un raptus, Randet alzò le coperte di scatto ‒ Me ne stavo quasi per dimenticare!
Ancora barcollante cominciò a vagare avanti e indietro per la camera parlottando a bassa voce.
‒ Non è esattamente il comportamento che ci si aspetterebbe da un futuro re! ‒ pensò Jakesh sconsolato ‒ Ad ogni modo, vostro padre vi aspetta tra un'ora nella zona sud del cortile esterno del palazzo. Le prove si terranno lì. Da parte mia e dei nobili di corte i più sinceri auguri. Sono sicuro che le supererete brillantemente!
‒ Sì, vi ringrazio Jakesh, lo spero! ‒ rispose Randet restituendo un sorriso assonato.
L'uomo si diresse verso l'uscita della camera, accennò un inchino e si allontanò chiudendo delicatamente la porta.
La stanza non era molto grande rispetto ad altre presenti a palazzo ma gli arazzi e le tende dipinte a mano, i preziosi vasi dorati posti ai suoi angoli su piedistalli in legno di egregia lavorazione, il grande letto con base e testata in oro e le minuziose rifiniture ben rendevano l'idea dello sfarzo al quale gli igson più nobili erano abituati.
Il principe si avvicinò al grande specchio rettangolare appeso alla parete proprio davanti al suo letto e, osservandosi riflesso, cominciò a elettrizzarsi: ‒ Ottima forma, Randet... oggi è proprio la tua giornata! Le prove? Saranno una barzelletta, non c'è assolutamente di che preoccuparsi!
Senza accorgersene il giovane aveva addirittura iniziato a ripetere ad alta voce le fondamentali lezioni che Yabut gli impartiva da sempre. Puntando un dito ammonitorio verso la propria immagine e imitando malamente la voce profonda e roca del maestro: ‒ Regola numero uno: non perdere la concentrazione! Regola numero due: resta calmo, Randet, non farti assalire dalla collera! Regola numero tre: studia l'ambiente intorno a te! E soprattutto, ricorda sempre che...
In quell'istante sentì il pomello girare e un viso femminile fece capolino dalla porta.
La ragazza guardava Randet che, in vestaglia da notte, contraccambiava con espressione inebetita e l'indice che puntava ancora verso lo specchio.
Il principe arrossì immediatamente. ‒ Dyanum! Cosa... che ci fate qui? ‒ chiese cercando di portare altrove lo sguardo nel tentativo di celare l'evidente imbarazzo.
‒ Nulla mio Signore! Mio padre mi ha chiesto di accertarmi che vi stiate preparando! Ha molto a cuore la buona riuscita di questa giornata, evidentemente! ‒ rispose la ragazza trattenendosi dallo sghignazzare.
‒ Sì, beh... informate pure il nobile Jakesh che sarò pronto tra pochi minuti!
‒ Molto bene principe, allora tolgo il disturbo e... buona fortuna; ci sarò anche io a fare il tifo per voi! ‒ Detto ciò, Dyanum chiuse forte la porta e se ne andò ridacchiando.
‒ Sempre la solita! Maleducata e irrispettosa! Che modi, entrare senza bussare e ridere pure di me! D'altronde deve aver preso da suo padre... nessun rispetto degli spazi personali! Conoscendola lo starà già raccontando a tutti i domestici del palazzo. È cominciata nel migliore dei modi questa giornata! ‒ mormorò Randet snervato.
Dyanum era la figlia unigenita di Jakesh e nonostante i suoi modi sgarbati e presuntuosi nei confronti del principe era stata spesso additata come la sua futura sposa. Una volta visti insieme, ogni nobile a corte giungeva alle stesse conclusioni. Altezza e fisico entrambi ben proporzionati, della stessa età e di nobile stirpe. Per validare ulteriormente questa ipotesi, anche l'abbinamento del loro colore dei capelli sembrava diventare un ottimo pretesto. I capelli argentati di Randet, in realtà, male si coordinavano con quelli lisci fin quasi ai fianchi e color verde acqua di Dyanum ma, se per questo, nemmeno i loro continui litigi sembravano influenzare minimamente le convinzioni dei cortigiani!
Ad alimentare ulteriormente i pettegolezzi, sia Randet che Dyanum, erano vissuti a corte fin dalla nascita, avevano passato gran parte dell'infanzia insieme e spesso era anche capitato che seguissero le stesse sessioni di allenamento, quando i rispettivi maestri lo ritenevano opportuno.
Lo stesso re Kayl, colpito dal carattere forte e temprato della giovane non avrebbe disdegnato di vederla come futura regina ma, per buona sorte di entrambi i ragazzi, i matrimoni combinati erano ormai diventati una pratica desueta tra gli Yan-igson.
Tuttavia, nonostante i due giovani detestassero queste voci, i fini lineamenti del viso di lei, uniti ad un'espressione dolce e al suo fare affabile le avevano fatto conquistare, fin da piccola, i favori di tutta la corte. Chiunque, a palazzo, auspicava per la giovane Ozun ogni più rosea aspettativa.
Il principe si vestì frettolosamente, uscì dalla sua camera e di corsa attraversò un breve corridoio alla sua sinistra fino ad arrivare a una lunga scala a tenaglia.
Il corrimano era dorato e molto liscio; solo all'estremità inferiore si allargava, si appiattiva e sporgeva verso l'alto come fosse un trampolino. Come ogni mattina vi saltò in cima tenendosi con entrambe le mani, si guardò attorno per essere sicuro di non essere visto, tolse lentamente una mano per bilanciarsi, tirò indietro anche la seconda e cominciò a scivolare... Prese velocità rapidamente e, al culmine, si concentrò sulla parte finale per prepararsi al salto.
‒ Signorino Randet! Che il cielo vi protegga! ‒ gridò una donna in preda al panico.
Randet volse velocemente il volto in direzione delle urla ma non vide nessuno, riguardò davanti a sé ma... troppo tardi! Il corrimano cominciava già ad appiattirsi e a inarcarsi.
Cercò di abbassarsi per mantenersi stabile ma il tempo a disposizione era ormai terminato. Perse l'equilibrio, quanto meno a sufficienza perché un piede gli si impuntasse nella parte finale della struttura facendolo capitombolare in avanti rovinosamente.
‒ Signorino Randet state bene? Mi piange il cuore nel vedervi fare lo spericolato a questo modo! ‒ disse una domestica dalle forme rotonde avvicinandosi al ragazzo.
Randet si alzò rapidamente e ridendo. ‒ Sto bene, sto bene, Avrya non vi preoccupate! Mi conoscete, non mi faccio niente!
Avrya era l'ancella che più d'ogni altra, sin dalla morte della regina alla nascita di Randet, si era occupata del principe. Non era molto alta, aveva capelli corti, lisci e scuri e, quel giorno, portava un grembiule bianco legato alla vita sopra un lungo abito blu. Nonostante i cinquant'anni d'età, non si potevano notare rughe sul suo volto o, se ce ne erano, erano probabilmente nascoste dalle forme piene e sanguigne del viso.
A corte, l'ancella era conosciuta da tutti. Nei trent'anni passati a palazzo aveva avuto modo di servire non solo Crystal, la madre del principe, ma anche la regina Asya, madre di suo padre.
‒ Lo so Randet, ma non posso fare a meno di essere in pensiero per voi! Sapete, alla mia età mi spavento per qualsiasi cosa ormai! E voi mi fate sempre preoccupare... ah! Quante ne deve ancora sopportare il mio cuore!
‒ Non dite così Avrya, sapete bene che non vi farei mai stare in pensiero! Mi comporterò bene, promesso!
‒ Oh principino, come siete cresciuto! Ma per me resterete sempre un fragile pargoletto. Non vi trattengo oltre, vi stanno aspettando tutti là fuori... che la buona sorte vi accompagni in questo giorno speciale!
‒ Certo Avrya! Vi aspetto al cortile sud, sarete fiera di me, non dubitate! ‒ rispose gentilmente Randet, incamminandosi verso l'uscita della reggia.
‒ Ah... principino... come potrei non essere fiera di voi? ‒ pensò con un po' di malinconia l'ancella, vedendolo allontanare ‒ Sembra ieri che, ancora bambino, correvate spensierato tra queste mura. Adesso, invece, vi accingete a diventare l'erede al trono di Yan-igsonelt. Anche vostra madre sarebbe orgogliosa di voi!
Proseguendo fra le alte colonne marmoree della sala d'ingresso sopra un morbido tappeto rosso che lo accompagnava sin dalle scale, il futuro re non poté fare a meno di pensare a tutti gli eventi malaugurati che gli erano capitati da quando la giornata era iniziata. Se la fortuna avesse continuato a girare in quel modo, anche le prove sarebbero di certo state disastrose.
La porta che dava sul cortile esterno era aperta, come accadeva spesso durante le belle giornate.
Randet scese gli ultimi scalini e si fermò alcuni secondi per godere dei primi caldi raggi di sole che ora gli accarezzavano il volto e le braccia. All'ingresso nord, davanti alla Fontana dei leoni, le guardie ai lati del grande cancello lo salutarono con un inchino appena accennato. Non parve curarsene particolarmente e, di corsa, si diresse nella direzione opposta.
Nel cortile sud trovò ad aspettarlo circa una trentina di persone: i nobili residenti a palazzo, le loro famiglie, Jakesh, Dyanum, Yabut, e, su un trono sopraelevato allestito per l'occasione, suo padre Kayl. Per Randet fu come ritrovarsi ad una festa di compleanno. C'erano esclusivamente coloro che lo avevano sempre circondato fin da quando era bambino; si sentì d'un tratto a suo agio.
Passando tra di loro, per incontrare il padre, molti non persero l'occasione per incoraggiarlo: ‒ Felice di vedervi, signorino ‒ disse uno ‒ Auguri per le prove! ‒ un altro ‒ Fatevi onore, giovane Randet! ‒ gridò un terzo. Tutti lo salutavano come se fosse già giunto il momento della proclamazione.
Il padre lo attendava in piedi, sorridente.
‒ Buongiorno padre! ‒ disse Randet una volta in cima.
‒ Ben alzato ‒ rispose Kayl ‒ Ti senti pronto, figliolo?
‒ In ottima forma!
‒ Bene... allora che cominci subito la prima prova! ‒ disse ad alta voce il re, in modo che tutti lo potessero sentire.
Kayl era un uomo di mezz'età, alto circa un metro e ottanta, muscoloso, fiero e in molti tratti del tutto rassomigliante al figlio: gli stessi capelli argentati, sollevati sopra la fronte e piegati indietro. Anche i lineamenti del volto erano simili, quelli del padre semplicemente più marcati.
Dato il caldo aveva il torso coperto da una leggera maglia senza maniche dalla tonalità giallastra. Abbottonato al collo portava, ovviamente, il mantello bianco con il simbolo della casata di Yan, un grande leone nero stilizzato posto proprio al centro. Indossava, inoltre, un paio di pantaloni grigiastri stretti alla vita e alle caviglie ma talmente larghi negli altri punti che davano l'impressione di non toccare mai le gambe.
In quel momento un grido all'unisono si levò tra i nobili: ‒ Gloria al mantello di Yan! Evviva il Re! Evviva il Re!
Yabut, che fino a quel momento si era tenuto in disparte, si avvicinò al principe e gli sussurrò all’orecchio: ‒ Si dice che quel mantello sia lo stesso che Ogan in persona regalò a suo figlio Yan. Ti senti pronto per indossarlo, Randet?
‒ Non so perché ma mi stupisco ancora di quanti aneddoti conosciate, maestro!
‒ Non penserai forse che non valga la cifra che mi viene data per compenso, vero? ‒ commentò Yabut, ironicamente altezzoso. Sia Randet che il maestro si misero a ridere mentre Kayl si rivolgeva ancora una volta alla platea.
‒ Prima di iniziare però, vorrei fare un dono a mio figlio, un dono che nella nostra casata si tramanda da generazione in generazione esattamente nel giorno in cui il primo nato della famiglia reale testimonia al mondo di essere in grado di guidare il nostro glorioso regno. E questo giorno è arrivato!
Randet guardava perplesso il padre mentre questo si chinava per raccogliere con entrambe le mani un curioso scrigno nascosto da un drappo di stoffa sotto al trono dietro di lui. Delicatamente, quasi a non voler sgualcire quell'antico manufatto, allungò le braccia mostrandolo al figlio.
‒ Come molti anni fa mio padre lo diede a me nel giorno della mia proclamazione, io ora affido a te il più importante cimelio della nostra razza. Custodiscilo con orgoglio! ‒ Kayl si interruppe per un attimo, emise un breve respiro: ‒ Nella speranza, ad ogni modo, che tu non debba servirtene mai...
L'involucro passò quindi nelle mani del principe. Era molto leggero, non più spesso di cinque centimetri, lungo quanto un avambraccio e largo il doppio. Da un’occhiata superficiale sembrava possedere qualcosa di magico: la ruvida pelle che lo ricopriva trasudava un'energia quasi tangibile e gli strani simboli cuciti nella parte superiore della stessa somigliavano parecchio a quelli raffigurati nelle iscrizioni sulle pareti più antiche della rocca.
‒ Avanti, aprilo! ‒ disse Kayl.
Randet slacciò con cura le due piccole borchie di pietra che lo tenevano chiuso e sollevò il coperchio.
Al suo interno vi si trovavano, uno di fianco all'altro, due anelli da guerra igson di circa trenta centimetri e di un metallo che non aveva niente a che vedere con quelli maneggiati dal principe fino a quel momento. Come le più affilate delle spade, erano grigi ma splendevano a tal punto che ci si poteva quasi specchiare. Su entrambi i lati, in circolo, erano incise le stesse scritte presenti sulla pelle dell'involucro e il foro all'interno di ciascuno di essi era grande a sufficienza affinché un braccio robusto ci si potesse infilare.
‒ Padre... sono... anelli da guerra? Sembrano piuttosto scomodi da impugnare... ‒ si lasciò sfuggire il principe, non proprio soddisfatto.
‒ Questi sono i leggendari anelli di Balanet figlio mio, di un materiale molto simile a quello lavorato nelle forge degli anuma ma addirittura più resistente. Si tratta di artefatti magici, capisci? In nessun caso possono arrecare danno al loro possessore! ‒ rispose Kayl pieno d'orgoglio ‒ Scommetto che Yabut saprà raccontarti il resto della storia meglio di me!
Il principe volse quindi lo sguardo verso il maestro il quale, dopo essersi schiarito la voce, proseguì nella spiegazione.
‒ Ricordi quando ti ho raccontato della grande guerra e dell'altare, Randet?
‒ Certamente.
‒ Le leggende vogliono che gli dei, sin da tempi remoti, abbiano prescelto un individuo di ogni popolo su Elt dotandolo di un'arma di straordinario valore affinché avesse la forza necessaria per difendere la propria gente: una spada per gli anuma, una frusta per gli hatag, un bastone per i malamon, un potente veleno per gli yutan e gli anelli da guerra per gli igson. Col tempo, questi individui, divennero i baluardi protettori delle rispettive etnie e, ancora oggi, i loro discendenti o i prescelti eletti sono gli unici a poter fare uso delle armi leggendarie.
Randet si mostrò subito molto interessato al racconto, e già teneva in serbo alcune domande da sfoderare nel momento più adatto.
‒ Nessuno mi aveva mai parlato di questa leggenda ma che hanno a che fare queste armi con l'altare di Dyaelt?
Soddisfatto di poter cancellare le perplessità del principe, lo stregone afferrò il bastone con entrambe le mani e proseguì nella risposta.
‒ Dopo la grande guerra, per far sì che la pace fra i popoli si protraesse nel tempo, vennero creati dei duplicati perfetti di ciascuna di queste armi. Le originali vennero incastonate nell'altare e legate magicamente alle copie. Ciò significa che finché l'armonia verrà mantenuta nell'altare essa si preserverà anche tra le copie; ed è per questa ragione che da oltre due secoli nessun'altra guerra è stata mossa per la terra di diamante.
‒ Ma non erano solamente delle leggende quelle su Dyaelt? ‒ domandò Randet, stupito del valore di ciò che stringeva tra le mani.
‒ Certi eventi sono stati dimenticati. In certi luoghi è addirittura proibito il racconto di alcune di queste storie. La verità è che la maggior parte di esse è reale. Non commettere lo stesso errore Randet, in nessun caso la vendetta o l’oblio possono essere il rimedio agli errori del passato.
Mentre Kayl pareva apprezzare grandemente le spiegazioni fornite dal malamon, il principe sembrava invece sempre più attratto dagli anelli di Balanet. Rimaneva immobile a fissarli, ipnotizzato, finché una domanda sensata gli balenò per la testa.
‒ Yabut, avete detto che questi sono i duplicati... allora i Kan-igson non possiedono armi leggendarie?
L'anziano maestro, dopo che il sovrano gli ebbe espresso il proprio benestare con un cenno del capo, riprese a parlare con il suo solito entusiasmo.
‒ Quando il regno degli igson si divise, fu il tuo antenato Yan a migrare nelle terre del sud insediandosi qui a Korades. Dato l’onere fu egli a custodire le copie degli occhi di Balanet.
‒ Occhi di Balanet... ‒ ripeté Randet.
‒ Sì, un altro dei loro nomi... dove ero rimasto? Ah, certo... in realtà Kan rimase per poco tempo sguarnito degli artefatti leggendari. Vennero forgiati dagli anuma altri due anelli, anch'essi legati agli originali dai tre alti stregoni del Consiglio di Dyosir. Le condizioni dei nostri popoli dopo la guerra erano precarie; per paura che il conflitto interno degli igson potesse espandersi altrove, ovviamente, nessuno ebbe di che lamentarsi a riguardo e, ancora adesso, altri due anelli identici a questi sono in possesso dei regnanti del nord.
‒ Una storia affascinante ‒ commentò Randet distaccando per un attimo lo sguardo dalle armi.
‒ Direi che abbiamo parlato abbastanza! ‒ li interruppe il re, piuttosto ansioso per l'imminente inizio delle prove del figlio ‒ Non facciamo attendere ulteriormente i nostri ospiti. Ora che conosci la loro storia, figliolo, potrai constatare da te la forza di queste armi. Sarà con gli occhi di Balanet che affronterai le prove! Va’ a prepararti!
Era passata un'infinità da quando Kayl, per ultimo, aveva maneggiato gli anelli. Non amava mostrarli pubblicamente; solo poche volte all'anno si chiudeva con loro dentro alcune delle sale del castello attrezzate per i suoi allenamenti e, da fuori, si riusciva a sentire lo stridio metallico che producevano quando venivano scagliati contro le pareti.
Il principe prese posizione al centro della piccola arena montata apposta per l'occasione mentre i nobili si spostavano ai piedi del re. Per un attimo, il silenzio. L'aria si fermò e quella giornata assolata parve ancora più calda.
Randet si gustò il momento. Attese ancora un secondo prima di afferrare i tanto decantati anelli di Balanet. Alcuni cortigiani stavano ancora terminando di montare alcune sagome con bersagli disegnati a qualche decina di metri a distanza da lui.
Anche con l'aria calma, tendendo l'orecchio, si potevano sentire frusciare i cespugli tutt'intorno al giardino. Kayl si guardò attorno sospettoso mentre i nobili cominciarono a mormorare tra loro.
Una sottile risata, come l'eco della voce di un uomo rimbalzata da una montagna, circondò tutti i presenti. I nobili balzarono immediatamente in piedi dalle pedane di legno utilizzate come schienali.
‒ Mostrati! E fa' sghignazzare anche noi, se ci tieni! ‒ gridò il re irritato.
Intanto, da un lato e lontano da tutti, foglie, ramoscelli spezzati, fili d'erba e terra si avvicinavano tra di loro e si amalgamavano prendendo diverse forme contorte. Di lì a poco il composto si fece sempre più grande, si restringeva, si allargava, si allungava e, aumentando di volume, prendeva sembianze vagamente più simili a quelle di un essere umano. Prima un braccio, poi l'altro, poi le gambe, un lungo mantello finché... Arkas, in maniera plateale, si presentò sotto gli occhi attoniti dei presenti.
‒ Dalle vostre facce mi sembrate tutti molto sorpresi di vedermi. Eppure resto sempre un nobile di questo palazzo ‒ esordì altezzosamente.
‒ Non ti chiederò di andartene, se è questo che intendi. È il tuo rancore che deve rimanere al di fuori di queste mura, Arkas. Non ha motivo d’essere e te l'ho ripetuto più di una volta! ‒ disse Kayl abbandonando il trono e avvicinandosi a lui.
‒ Ho viaggiato sin qui solo per fare i miei auguri al principe. Le vecchie vicende sono acqua passata, mio Signore ‒ ribatté Arkas pacatamente.
Randet osservava ammutolito la situazione: nonostante paventasse di essere un nobile, gli occhi dell'individuo che era comparso così all'improvviso non sembravano certo quelli di un igson... ma bulbi oculari di colore uniforme non appartenevano nemmeno agli stregoni, benché completamente neri.
Il padre del ragazzo e il misterioso personaggio erano ora a meno di un metro l'uno dall'altro. La differenza di altezza tra i due non era molta ma la corporatura robusta di Kayl sembrava sommergere il suo esile interlocutore. Il colorito biancastro della pelle di quest'ultimo gli attribuiva un aspetto malaticcio ed esausto ma, dai volti tesi e preoccupati di Yabut e degli altri nobili, Randet capì che doveva trattarsi di una mera impressione.
‒ Era ora che questi sciocchi rancori cessassero! Prendi posto accanto agli altri e osserva i miglioramenti di mio figlio ‒ disse Kayl indicando Randet compiaciuto ‒ Immagino tu non l’abbia riconosciuto... In fondo era ancora in fasce l’ultima volta che lo vedesti; ne rimarrai stupito! ‒ concluse prima di voltarsi per riprendere la propria posizione.
In quel momento, come un lampo, Arkas si mosse... Molti, come Randet, non capirono esattamente cosa fosse successo. L'espressione sul volto di Arkas era cambiata, era ancora più cupa ora, i suoi capelli si sollevarono quanto basta per scoprire completamente gli occhi vuoti, mise un braccio attorno al collo del re e a denti stretti sussurrò: ‒ Questo è per mio padre! ‒ Randet, impotente, vide il padre cercare di liberarsi dalla presa; per un attimo sembrò quasi potercela fare ma, prima che riuscisse a sfuggirgli, Arkas, con la mano libera, diede magicamente forma ad un lungo coltello.
Alla vista dell'arma tutti i nobili e le guardie si mobilitarono per soccorrere il sovrano, inutilmente... Come sbucati dal nulla, decine e decine di guerrieri incappucciati si posizionarono proprio tra loro e Kayl costringendoli al combattimento.
‒ Guardie! Guardie! ‒ chiamava Jakesh facendosi largo verso il re.
‒ Sono troppi! ‒ gli rispondeva Yabut, colpendo a distanza due avversari con il proprio bastone.
Randet era ancora immobile, a pochi metri dagli scontri. Avrebbe voluto agire ma le gambe non si muovevano di un millimetro.
Vedeva suo padre portare le braccia al collo per cercare di divincolarsi dalla presa dell'avversario che ora, invece, sembrava essersi rafforzata, i nobili sommersi dalla moltitudine di nemici, anelli da guerra sfrecciare a gran velocità da una parte all'altra, donne e bambini inseguiti nel tentativo di trovare riparo all'interno del palazzo. Anche Jakesh, colpito da un fascio di energia in pieno petto, giaceva ora a terra immobile.
‒ Guarda, Kayl. Osserva tuo figlio per l'ultima volta, perché con lui la tua discendenza finirà!
‒ Hai perso il senno, verme schifoso! Randet, scappa! ‒ gridò il re con quanto fiato aveva in corpo. Proprio in quel momento Arkas conficcò la lama nella schiena del sovrano, spingendola in profondità con forza. Il sangue uscì vistoso dalla ferita e le smorfie di dolore sul volto del padre furono di un'atrocità insopportabile.
‒ No! Padre! ‒ urlò delirante il principe alla vista di tutto ciò ma, come pietrificato, non riusciva ancora a compiere nessun movimento.
La presa di Arkas s'era affievolita. Lentamente ritraeva il braccio con il quale, fino a quel momento, aveva bloccato ogni movimento del re. La sua espressione cambiò di nuovo. Adesso aveva un'aria soddisfatta, fiero che i suoi piani stessero finalmente seguendo la giusta direzione.
Kayl, prima di cadere al suolo privo di vita, voltò il capo verso il figlio. Una goccia di sangue gli scese dal labbro inferiore.
‒ Va' via... ‒ sussurrò, prima di esalare l'ultimo sospiro.
Alla vista del corpo di Kayl a terra, cosparso di sangue, lacrime uscirono spontanee dagli occhi sbarrati del principe. Non si era mai sentito così impotente prima; suo padre era moribondo e lui non aveva mosso un dito per impedirlo.
Con entrambe le mani teneva ancora la custodia degli occhi di Balanet.
‒ Gliela farò pagare! ‒ pensò. Aprì frettolosamente il cofanetto ma Arkas, intanto, gli stava già venendo incontro con fare minaccioso. Il sangue del sovrano gocciolava ancora dalla lama con cui aveva inferto il colpo fatale.
Un istante prima di afferrare il primo anello, si udì un tremendo boato provenire proprio davanti a lui. Dalla forza dell’esplosione diversi uomini incappucciati vennero scaraventati lontano dal principe e una nebbia grigia si levò sull'area.
‒ Un incantesimo... ‒ pensò preoccupato il principe. Non si vedeva e non si sentiva nulla.
D'un tratto, quel silenzio artificiale fu rotto da un sordo rumore di zoccoli che, veloci, calpestavano la terra sotto di essi. Sembravano avvicinarsi a lui.
Randet, ormai pronto al peggio, prese gli anelli senza pensarci due volte e gettò a terra la custodia. Ora la vedeva, a pochi metri di distanza, la sagoma dell'animale; si era arrestata di colpo. C'era un uomo sul suo dorso; in una mano portava un bastone mentre con l'altra teneva stretta la criniera del cavallo.
‒ Randet! Non temere, sono io, Yabut! La nebbia è opera mia! Presto, sali in groppa e vattene da qui ‒ disse lo stregone.
‒ Come faccio a sapere che non si tratti di un trucco? ‒ rispose il principe serrando gli anelli sospettoso.
‒ Due giorni fa mi hai domandato del mio bastone e del mio mantello, ricordi? ‒ rispose Yabut indispettito.
‒ Maestro!
‒ Non c'è tempo per parlare, presto, prendi questo cavallo e scappa. La nebbia non durerà ancora a lungo. Li terrò occupati durante la fuga!
‒ Quell'uomo ha ucciso mio padre! La corte è in pericolo! Dobbiamo fare qualcosa subito!
‒ Non essere sciocco! ‒ rispose lo stregone con i nervi a fior di pelle ‒ Non avremmo nessuna possibilità contro di loro. O fuggi ora o la Yan-igsonelt perderà anche il suo ultimo erede al trono e sarà per sempre!
Data l'inerzia del principe, con un gesto della mano, lo stregone lo sollevò da terra posizionandolo sul cavallo proprio davanti a lui.
‒ Yabut, voglio combattere, lasciatemi andare! ‒ strillava Randet inutilmente. Si era lasciato beffare da un incantesimo del proprio maestro ed ora non riusciva più a scostare le braccia e le gambe dall'animale. Intorno a loro, invece, i combattimenti proseguivano ferocemente e alcune ombre cominciavano già a farsi largo tra la nebbia.
‒ Il tempo stringe, mio giovane principe. Ascoltami attentamente. Vai dagli hatag! Racconta loro tutto questo. Dì che sono io a mandarti. Ho un credito da riscattare, ti aiuteranno. Intesi?
‒ Yabut, dannazione! Liberatemi!
‒ Via ora! La nebbia si sta già diradando. Non preoccuparti per me, ti raggiungerò appena ne avrò l’opportunità.
Era serio come Randet non l'aveva mai visto, scese da cavallo e subito l'animale cominciò la sua corsa come se conoscesse la destinazione.
‒ Yabut! ‒ gridò il giovane in un misto di rabbia e disperazione. Volse un'ultima volta lo sguardo dietro di sé: il cortile ovest che fino a qualche giorno prima era stato teatro dei suoi allenamenti si era trasformato in un cruento e sanguinoso campo di battaglia nel quale il suo maestro, per la seconda volta, si frapponeva tra lui e i servi di Arkas. Una tenue energia blu avvolgeva lo stregone mentre si accingeva a scagliare un'altra delle sue magie.
Riguardò avanti attraversando rapidamente il cancello che portava all'uscita della reggia. Le porte erano aperte e i soldati di guardia giacevano a terra ai piedi delle mura.
‒ Non lasciatelo scappare! Catturate il ragazzo! Sentiva urlare da voci sempre più lontane. Aggrappandosi saldamente al dorso del cavallo continuò a galoppare per alcune centinaia di metri.
Era appena entrato nel bosco che circondava la reggia, sulla strada che conduceva a nord, verso Korades, quando udì un altro fragore provenire dal castello. Un acuto e prolungato fischio lo seguì subito dopo. Randet continuò a guardare avanti, infastidito; per un attimo gli parve di non sentire altro che quel suono, poi, che gli alberi e il terreno perdessero colore facendosi via via più opachi, infine si rese conto di non riuscire più a distinguere le forme degli oggetti né la loro distanza.
‒ Che diavolo sta... ‒ pensò poco prima che anche l'udito lo abbandonasse del tutto.
Ormai troppo tardi per reagire, i suoi occhi si chiusero del tutto. Anche abbandonato al torpore, la magia di Yabut lo mantenne comunque ben saldo al destriero che, invece, proseguiva senza sosta tra la bruna vegetazione della foresta.