Prologo
Prologo
Daphne
«Alzate i bicchieri, vorrei fare un brindisi» annuncio seduta al tavolo del bar, sollevando il mio calice di vino e incitando gli amici che abbiamo riunito a fare lo stesso. Mi schiarisco la voce, e comincio: «A Tabitha, la nostra amica autrice che oggi siamo qui a festeggiare! Si è fatta il culo per anni prima di riuscire ad arrivare a questo punto. Ha corso un rischio e ha lasciato il suo lavoro per scrivere a tempo pieno. E ora sta per pubblicare con orgoglio il suo secondo, sì, il secondo! romanzo.» Mi avvicino una mano alla bocca e parlo al nostro piccolo gruppo a voce bassa, come se stessi raccontando loro un pettegolezzo: «E anche se all’inizio ce l’ha tenuto nascosto, siamo tutti fieri di lei.»
Accanto a me, Tabitha emette un gemito tra le risate. Io continuo il mio discorso: «Il suo primo libro è stato nella Top 100 per nove settimane, e ci aspettiamo che il secondo vada altrettanto bene, perché la mia migliore amica è un genio della scrittura.»
«Siamo così orgogliosi di te!» grida Samantha.
«Tanto orgogliosi!» fa eco Greyson, la ragazza del fratello di Tabitha, alzando il suo bicchiere ancora più in alto. «Sul serio, Tab, siamo così felici per te... anche se hai usato mio fratello come musa per il secondo romanzo, trauma che non riesco a superare.» Grey ha un tremito. «Soprattutto quando i protagonisti arrivano al dunque. Era necessario che fosse tutto così descrittivo? Non riuscivo a non immaginare te e mio fratello, che orrore. Non dimenticherò mai quella scena, e per questo ti sarò per sempre ingrata.»
Tabitha ride, i suoi occhi blu si illuminano maliziosi. «Sì, ma sappiamo tutti che le idee migliori imitano la vita vera.»
Alzo gli occhi al cielo e abbasso il bicchiere. «Ma dobbiamo per forza saperlo? Dico davvero. Ne avremmo potuto fare a meno.» Lo dico nonostante il suo ragazzo sia uno schianto, con un corpo da urlo e un sorriso che uccide. A nessuna di noi dispiacerebbe davvero immaginarlo nudo a letto, se costrette.
Ma chiaramente non posso dirlo ad alta voce.
Sarebbe di cattivo gusto.
Tabitha ha la decenza di arrossire. Solleva le mani sconfitta. «Vi giuro che ho usato Collin solo per creare il personaggio maschile! Non ho sfruttato la nostra relazione per la trama del libro!»
Non riesce neanche a guardarci negli occhi mentre lo dice, l’impostora.
La fissiamo tutti e Samantha sta chiaramente chiedendo con lo sguardo: “Chi cavolo pensi di prendere in giro?” «Ti aspetti che la gente ci creda? Il secondo romanzo parla di due persone che si incontrano in un negozio: siete voi. Poi si rivedono a una festa. Voi. Poi lui scopre il suo segreto. Ancora voi. Voi, voi e voi. La vostra storia. Ammettilo e basta così possiamo terminare questo brindisi al tuo successo.»
Un sorriso sognante increspa le labbra di Tabitha. «D’accordo. Lo ammetto. Mi stavo innamorando di lui perciò, sì, potrei non averlo fatto di proposito ma è la nostra storia.»
«Finalmente. Ora, dicevamo: a Tabitha, sapevamo tutti che avresti creato qualcosa di spettacolare. Grazie per averci dimostrato che avevamo ragione. Ti vogliamo bene e siamo molto orgogliosi di te. Alla salute!»
«A Tabby!»
«Ehi» Bridget, una vecchia compagna di stanza del college che si trova in città per il fine settimana, si intromette. «Quando riusciremo a vedere la famosa lettera d’amore di cui non si fa altro che parlare?»
Si riferisce alla lettera che il ragazzo della mia amica le ha scritto durante un brutto momento della loro relazione. Tabitha non l’ha mai fatta vedere a nessuno, ma ne ha parlato nel nuovo libro.
Il che, ovviamente, ha scatenato la curiosità di tutti.
Tabitha butta la testa all’indietro, dandosi uno schiaffo sulla fronte. «Oh merda. Avevo dimenticato di averla menzionata nel libro.» Poi ride in un modo che farebbe innamorare un ragazzo come Collin con annesse lettere d’amore. Delicata, spensierata e carica di umorismo. «Scusate, signore. Il contenuto è privato.»
«È sconcia?» Greyson arriccia il naso. «Ti prego, dimmi di no.»
«No! È dolce. Estremamente dolce. Forse un giorno ve la farò leggere, per ora la terrò per me.»
«Dannazione a te e ai tuoi segreti!» protesto. «Ti ho anche mostrato la poesia che Kylie Hammond mi ha scritto l’anno scorso.»
Metà della tavolata si lamenta apertamente, mentre Bridget sogghigna. «Mi prendi in giro? Prima di tutto, Kyle Hammond è uno stalker che lavora nel tuo ufficio. Secondo, ha copiato quella poesia da internet. Terzo, non era una poesia d’amore, era un poema su un uomo che ha una relazione con una donna sposata.»
Io rispondo indignata: «È il pensiero che conta.»
«È talmente adorabile che riesco a malapena a sopportarlo» sospira Tabitha contro il bicchiere di vino.
«Chi, Kyle?»
«Collin.» La mia migliore amica sospira di nuovo sognando a occhi aperti, con i gomiti poggiati al tavolo.
«Collin? Adorabile?» Greyson ride. «Sì, va bene, mio fratello potrebbe definirsi in un certo senso attraente. Ma ricordo chiaramente lui e i suoi amici del liceo fare stronzate tipo lanciare la carta igienica sulle case dei loro amici o lasciare all’ingresso animali morti che avevano trovato sul ciglio della strada. Disgustoso.»
«Cosa?» strilla Samantha, bloccandosi con il bicchiere sollevato vicino alle labbra. «Un attimo. Cosa hai detto?»
Greyson annuisce autoritaria. «Già. Morire Investito Caffè. Lui e i suoi amici dell’hockey lo definivano così. Tutto quello che trovavano per strada, lo prendevano e lo lasciavano sul portico di qualcuno.»
«È così disgustoso che ho bisogno di bere» aggiunge Bridget, sollevando il bicchiere di vino e puntando un dito in direzione di Tabitha. «Sei tu che baci quella bocca.»
Greyson continua: «Puzzole, opossum, scoiattoli: praticamente tutto quello che era morto per strada. Chi mai lo farebbe?»
«Non so nemmeno se ho più voglia di bere.» Bridget storce il naso e abbassa lo sguardo sul suo bicchiere di vino. «Credo di aver perso l’appetito.»
«Non dire così, io sono affamata.» Tabitha riesce con successo a cambiare argomento, e fa roteare la testa alla ricerca di un menù. «Penso che questo posto serva anche del cibo. Dovremmo ordinare qualcosa.»
Il mio stomaco brontola in quel preciso momento. «Probabilmente serviranno porzioni microscopiche da accompagnare al vino. Formaggio, frutta secca e altra roba.»
«Qualunque cosa servano, la ordineremo doppia.»
Non vedendo menù disponibili, scendo dallo sgabello dirigendomi al bar per recuperarne qualcuno, torno al tavolo e li distribuisco. «Dateci dentro signore.»
Ne apro uno. «Okay, questo sembra buono: formaggio e composta calda di lamponi.»
«Prendiamo anche la salsa ai carciofi e le bruschette.»
Bridget si sfrega le mani allegra. «Sì e sì. E, guardate, hanno i tortini di granchio. Ma te ne danno solo tre, quindi ne ordineremo due porzioni.»
«Sembreremo delle zoticone» dico, poi chiudo il menù e faccio un cenno con la mano alla barista, osservando dubbiosa il nostro tavolo rotondo. «Questo tavolo sarà abbastanza grande per tutto quel cibo?»
«Ti importa?»
Scrollo le spalle, e il maglione scollato color lavanda che indosso scivola lasciandomi le spalle scoperte. «Beh, no...»
Samantha mi punzecchia con l’angolo di uno dei menù. «Perché non vedo nessun ragazzo nei paraggi pronto a dichiararti il suo amore. Possiamo fare quello che vogliamo. È una serata tra donne.»
Io arriccio il naso contrariata. «Siete tutte fidanzate o in una relazione seria. Essere single fa schifo. Dovete per forza farmi notare le mie carenze?»
«Mi dispiace, non era quello che intendevo. Dico solo...»
Bridget solleva le mani in aria per fermare le nostre chiacchiere. «Aspettate un attimo. Riavvolgiamo! Un gruppo di ragazzi è appena entrato nel locale, ore tre.» Allunghiamo il collo per avere una visuale migliore. Bridget, l’unica tra noi a essere prossima al matrimonio, ce la mette tutta per dare un’occhiata. «Uno di loro è piuttosto attraente.»
«Ehm... che stai facendo?» domanda Greyson, scuotendo la sua bella testolina bionda con un ghigno stampato in faccia.
Bridget le fa l’occhiolino e si porta indietro i lunghi capelli marroni. «Li sto esaminando, naturalmente. Per Daphne.»
La barista si avvicina con il pennino appoggiato sul tablet, pronta a prendere le ordinazioni, e Greyson ripete velocemente le nostre scelte, aggiungendo altri due antipasti insieme a un giro di drink.
«Questo dovrebbe bastarci per un po’» dice restituendo i menù. «Grazie.» La barista dà qualche colpetto al tablet con le dita prima di annuire e allontanarsi.
Gli occhi di Bridget sono fissi sull’altro lato della stanza, e tiene il bicchiere di vino appoggiato alle labbra. «Cosa credete che direbbero quei tizi se vedessero una tonnellata di cibo servita a questo tavolo minuscolo?»
«Quali tizi? Quei tizi?» Gli occhi nocciola di Greyson si spalancano per la sorpresa, e sporge la testa osservando il locale scarsamente illuminato. «Perché continui a fissarli? Sei fidanzata.»
Se c’è qualcuno che dovrebbe adocchiarli, quella sono io.
«Gesù, non guardate tutte insieme!» dice Samantha. «Sì, parlo dei tizi che sono entrati poco fa. Sono al bar adesso e ci stanno decisamente squadrando.»
Lanciamo delle occhiate furtive verso il bar. In effetti, dall’altro lato della stanza un gruppo di ragazzi ci osserva senza neanche provare a nascondere il proprio interesse.
Uno di loro prende addirittura a indicarci.
Faccio dei conti veloci: loro sono quattro. Noi siamo in cinque. Purtroppo per loro, io sono l’unica single del gruppo. Beh, immagino che anche Samantha si potrebbe definire tecnicamente single, perché ha rotto con il suo ragazzo da pochi giorni; quindi il suo status potrebbe essere quello di single ma a livello emozionale non è ancora pronta a rimorchiare ragazzi in un bar, nonostante la clientela sofisticata.
Abbiamo pensato che facendola uscire con noi stasera, e riempiendola di alcool, l’avremmo distratta dal pensiero di Ben & Jerry.
«Merda, credo che stiano per venire qui» si lamenta Greyson infelice; se c’è una cosa che ho imparato riguardo a Grey, è che nonostante sia socievole ed estroversa (e nonostante la sua incredibile bellezza) è una ragazza modesta, riservata... e detesta quando la gente ci prova con lei.
Tuttavia, lo stesso non vale per me. E a quanto pare, nemmeno per...
«Samantha continua a fissarli!» la accusa Bridget accigliata. «Gli darai false speranze se non la smetti.»
«Non li stavo fissando!» sbuffa lei. «D’accordo, anche se fosse? Non c’è nulla di male a dare un’occhiata alle vetrine.»
Mentre loro continuano a discutere, i miei occhi verdi vagano, scrutano il gruppo di ragazzi seduti al bar. Non è numeroso, ma sono chiassosi e agitati, e una fila di bicchieri di vino è allineata sul bancone come si fa con gli shottini.
Hanno più o meno la mia età.
Alcuni di loro raccolgono i rispettivi calici e puntano nella nostra direzione. Io mi allungo più in alto, valutando.
Il ragazzo in testa si trova qualche passo più avanti rispetto al resto del gruppo, e il suo sguardo è determinato a raggiungerci per primo. Tattica senza dubbio necessaria ad avere la situazione sotto controllo, o a poter fare la prima scelta. O entrambe le cose. So che la sua spavalderia e quel sorriso sghembo servono a renderlo più attraente ai nostri occhi, con quella maglietta bianca aderente e i grossi muscoli che si intravedono e può aver ottenuto solo trascorrendo ore e ore in palestra. Come se non bastasse, un tatuaggio gli serpeggia su un lato del collo, sparendo dietro l’attaccatura dei capelli. Un ghigno arrogante mostra una serie di denti bianchi che completano lo sgradevole pacchetto.
Wow. Chi si crede di essere questo tizio?
Gli altri tre gli stanno dietro come se fossero scarti. Degli Yes Men, con indosso l’uniforme ufficiale da “Una botta e via”: magliette aderenti, denti sbiancati e sorrisetti compiaciuti. Scommetto che due su tre hanno dei tatuaggi sulle costole.
Fatta eccezione per il ritardatario.
Affascinata, inchiodo lo sguardo sul tizio che si trascina dietro di loro: non solo si attarda deliberatamente in coda al gruppo, ma sembra essere a disagio. È l’opposto dei suoi amici.
Capelli scuri e arruffati. Il ritardatario indossa, noncurante, una camicia a quadri, infilata per bene sotto un gilet blu, e dei pantaloni color cachi con la cintura.
Il suo unico dettaglio informale: le maniche della camicia sono arrotolate sui gomiti.
Gli manca solo il papillon.
Sinceramente? Il poveretto sembra essere appena tornato dall’ufficio; ipotizzo che sia un commercialista. O che lavori in un cubicolo per un’azienda tecnologica. Sì, un programmatore informatico.
O magari si occupa di vendite assicurative.
No, un momento. Un agente fiscale.
Scommetto che è un ispettore del fisco; sembra noioso.
Non voglio essere cattiva, ma il tizio indossa dei pantaloni color cachi e un gilet in un bar durante il fine settimana, per l’amor del cielo. Mi sta praticamente implorando di giudicarlo.
Per un uomo in carriera, indossare un gilet in un bar durante la settimana non sarebbe un problema; ma non di sabato. A meno che, è ovvio, non sia originario del Sud, magari della Georgia o del South Carolina? Lì non indossano sempre i papillon? Sì. Lo fanno.
Continuo a studiarlo, e dopo una lunga contemplazione stabilisco che il ritardatario, nonostante la sua aria antiquata, è messo bene.
E ho già parlato dei suoi occhiali?
Tenerissimi.
Spinge la montatura di tartaruga più in alto, sul naso dritto di un viso comune, incrocia le braccia comuni al suo petto comune, e lo guardo sollevare la testa verso il soffitto mormorando qualcosa tra sé.
Con il pomo d’Adamo che fa su e giù, leggo il labiale: «Sono all’inferno.»
No, non sto adocchiando quel tipo perché sono interessata: lo sto adocchiando perché è palesemente infelice.
È da malati il fatto che mi stia godendo il suo disagio? Dio, cos’ho che non va?
Faccio un sorriso, e per nasconderlo mi porto il calice alle labbra mentre i ragazzi si avvicinano con sicurezza, come uno stormo di avvoltoi. Trattenendo una risata, deglutisco il vino.
«Ehi, credo di conoscere quel tizio» dice Tabitha strizzando gli occhi in direzione del ritardatario, e facendo schioccare le dita. «Ah! Sì, lo conosco. Sono piuttosto sicura che quello sia l’amico di Collin, Dex. Dexter Ryan? Credo di sì.» Dexter.
Mi rigiro il nome in testa, facendo delle prove.
Da vero nerd.
Ma è appropriato.
E mi piace.