Capitolo III-2

2432 Words
«Io però, fratello, continuo a non capire» osservò pensieroso il generale alzando alquanto le spalle e allargando un po' le braccia. «Anche Nina Aleksandrovna quando è venuta, pure pochi giorni fa, ti ricordi?, gemeva e sospirava. “Che avete” le domando, e viene fuori che pare che abbiano un disonore. Ma di che disonore si tratta, permettetemi di domandare. Chi può rimproverare qualche cosa a Nastas'ja Filippovna, o soltanto dire qualcosa su di lei? Di certo non che è stata con Tockij, perché è proprio una cosa da poco, soprattutto date le circostanze! “Voi - dice - le permettereste di frequentare le vostre figlie?” Be'! Guarda un po'! Ah, questa Nina Aleksandrovna! Però come non capire, come non capire...» «La sua situazione?» suggerì Ganja al generale in difficoltà. «Lei capisce; non prendetevela con lei. Del resto io quella volta le feci una lavata di capo, perché non s'immischiasse negli affari altrui, e tuttavia finora in casa nostra tutto si regge soltanto perché non è ancora stata detta l'ultima parola, però minaccia tempesta. Se oggi dirò l'ultima parola, allora sarà detto tutto.» Il principe aveva udito tutta quella conversazione mentre se ne stava seduto nel suo cantuccio, intento al saggio calligrafico. Terminò, poi si avvicinò al tavolo e consegnò il foglio. «E così questa sarebbe Nastas'ja Filippovna?» chiese osservando con curiosità e attenzione il ritratto. «Straordinariamente bella!» aggiunse subito con calore. Nel ritratto era raffigurata una donna di bellezza davvero straordinaria. Era stata fotografata con un vestito di seta nera, di foggia eccezionalmente semplice ed elegante. I capelli, che evidentemente erano castano scuro, erano acconciati con semplicità, alla buona, gli occhi scuri, profondi, la fronte pensosa, l'espressione appassionata e quasi altera. Era piuttosto magra di viso, forse, e pallida... Ganja e il generale guardarono stupiti il principe... «Come, Nastas'ja Filippovna! Forse conoscete già anche Nastas'ja Filippovna?» chiese il generale. «Sì, sono in Russia solo da un giorno e conosco già questa bellezza» rispose il principe, e subito si mise a raccontare del suo incontro con Rogožin e di tutto il racconto che questi gli aveva fatto. «Ecco un'altra novità» si spaventò di nuovo il generale, che aveva ascoltato con attenzione straordinaria e guardò Ganja con aria interrogativa. «Probabilmente si tratta soltanto di una bravata» borbottò Ganja, anche lui alquanto imbarazzato, «il figlio del mercante che fa baldoria. Anch'io ne avevo sentito parlare.» «Anch'io fratello, ne ho sentito parlare» confermò il generale, «Nastas'ja Filippovna proprio allora, subito dopo la faccenda degli orecchini, raccontò tutto l'aneddoto, ma qui la faccenda è ormai diversa, qui forse si tratta davvero d'un milione e... d'una passione, di una passione incontrollata, poniamo, ma tuttavia ci si sente la passione, e si sa cosa sono capaci di fare questi signori quando sono completamente ubriachi!... Mm!... Che non ne venga fuori un qualche scandalo!» concluse il generale pensieroso. «Vi fa paura il milione?» fece Ganja scoprendo i denti. «A te no, naturalmente.» «Cosa vi è sembrato, principe» disse d'un tratto Ganja, «che si tratti di una persona seria o solo di uno scapestrato? In sostanza, qual è la vostra opinione?» Mentre Ganja faceva questa domanda, in lui accadeva qualche cosa di particolare. Pareva che una qualche idea nuova e particolare gli si fosse accesa nel cervello, e gli brillasse impaziente negli occhi. Il generale, invece, che si era schiettamente e sinceramente preoccupato, sbirciò il principe, ma come se non si aspettasse molto dalla sua risposta. «Non so come dirvi» rispose il principe, «mi è sembrato che in lui ci fosse molta passione, e persino una passione morbosa. Anche lui, del resto, ha ancora l'aria d'essere malato. È possibilissimo che, fin dai primi giorni del suo soggiorno a Pietroburgo, abbia una ricaduta, specialmente se si darà ai bagordi.» «Come? Vi è sembrato così?» chiese il generale aggrappandosi a quest'idea. «Sì, m'è sembrato così.» «E tuttavia, faccende di questo genere possono accadere non in alcuni giorni, ma anche prima di sera, oggi stesso forse qualche cosa può cambiare» sorrise Ganja rivolto al generale. «Mmm!... Certo... Può essere, ma allora tutto dipende da ciò che le passerà per la testa» disse il generale. «Sapete bene com'è lei a volte.» «Cioè?» sbottò di nuovo il generale che aveva raggiunto un turbamento estremo. «Ascolta Ganja, oggi, per favore, non contraddirla troppo e cerca di, sai, di essere... in una parola di andarle a genio... Mmm... Perché storci la bocca così? Ascolta, Gavrila Ardalionyè, sarà opportuno, anzi sarà molto opportuno dire: perché ci diamo tanto da fare? Capisci che, per quanto riguarda il mio personale interesse in questa faccenda, è garantito già da un po'. Io in un modo o nell'altro risolverò la cosa a mio vantaggio. Tockij ha preso una decisione irrevocabile, per cui anch'io dovrei essere assolutamente sicuro. È per questo che se io adesso desidero qualche cosa, è unicamente il tuo vantaggio. Giudica tu stesso. Perché, non mi credi? Inoltre sei un uomo... un uomo... in una parola, un uomo intelligente, e io ho riposto in te le mie speranze, e questo, nel caso presente, questo... questo...» «Questa è la cosa essenziale» dichiarò Ganja venendo nuovamente in aiuto al generale in difficoltà e contraendo le labbra in un sorriso velenosissimo che non desiderava più nascondere. Con lo sguardo acceso fissava il generale negli occhi, quasi desideroso che questi vi leggesse tutto il suo pensiero. Il generale si fece paonazzo e s'infuriò. «Sì, l'intelligenza è la cosa essenziale!» confermò gettando a Ganja un'occhiata tagliente. «E tu sei una persona ridicola, Gavrila Ardalionyè! Tu infatti sei proprio contento, mi par di notare, dell'arrivo di questo giovane mercante, quasi fosse una scappatoia per te. Ma qui, fin dall'inizio bisognava riuscire grazie all'intelligenza, qui bisogna per l'appunto capire e... e comportarsi da ambedue le parti in maniera onesta e diretta, sennò... bisognava avvertire prima, per non compromettere gli altri, tanto più che c'è stato abbastanza tempo per questo, e anche adesso ne rimane abbastanza (il generale alzò i sopraccigli in maniera significativa), nonostante rimangano soltanto alcune ore... Hai capito? Hai capito? Vuoi o non vuoi, in conclusione? Se non vuoi dillo, e tanti saluti. Nessuno vi trattiene, Gavrila Ardalionyè, nessuno vi trascina per forza in una trappola, sempre che voi ci vediate una trappola.» «Lo voglio» proferì Ganja, a mezza voce ma con fermezza, poi abbassò gli occhi e tacque con aria cupa. Il generale era soddisfatto. Il generale si era scaldato, ma evidentemente s'era già pentito d'aver trasceso. D'un tratto si volse verso il principe e parve che sul suo viso passasse un pensiero inquieto e improvviso, per il fatto, cioè, che il principe era lì presente e aveva udito tutto. Ma si tranquillizzò immediatamente: una sola occhiata al principe fu sufficiente per farlo sentire completamente tranquillo. «Oho!» esclamò il generale, guardando la prova calligrafica che il principe gli aveva presentato. «È un vero modello! Sì, proprio un modello raro! Guarda un po' qua, Ganja, che talento!» Su uno spesso foglio di carta velina, il principe aveva scritto in carattere russo medievale la frase: «L'umile igumeno Pafnutij firmò di sua mano.» «Ecco, questa» prese a spiegare il principe straordinariamente soddisfatto e animato, «è la firma autentica dell'igumeno Pafnutij, presa da un facsimile del quattordicesimo secolo. Facevano delle firme superbe tutti questi nostri vecchi igumeni e metropoliti, e a volte con che gusto, con che impegno! Per caso, generale, non avete almeno l'edizione di Pogodin? Poi ecco, vedete, qui ho scritto con un altro carattere: è il carattere francese, rotondo e pieno, del secolo scorso. Alcune lettere le scrivevano persino diversamente, la scrittura di piazza, quella degli scrivani pubblici, riprodotta dai loro modelli (io ne possedevo uno) - convenite che non è senza pregi. Guardate la rotondità di queste d e di queste a. Io ho trasfuso il carattere francese nelle lettere russe, il che è molto difficile, ma mi è riuscito bene. Ecco ancora un carattere stupendo e originale. Ecco questa frase: “Lo zelo viene a capo di tutto”. Questo è un carattere russo, da scrivano, o, se volete, da scrivano militare. Così si scrive un documento ufficiale a un personaggio importante, pure con carattere rotondo, splendido, nero, scritto in brutta copia ma con un gusto notevole. Un calligrafo non ammetterebbe questi svolazzi, o per meglio dire questi tentativi di svolazzo, ecco, guardate queste mezze code incompiute, ma nel complesso, guardate, costituisce un carattere e, a dire il vero, qui si rivela tutta l'anima dello scrivano militare: ci si vorrebbe sbizzarrire, e il talento cerca di manifestarsi, ma il colletto militare è strettamente agganciato, la disciplina si manifesta anche nella scrittura, che meraviglia! Un simile saggio di scrittura mi colpì di recente: l'avevo trovato per caso, e sapete dove? In Svizzera. Be', ecco, questo è un semplice, comunissimo e puro carattere inglese: qui l'eleganza non può andare oltre, qui è tutto incanto, lustrini e perle; questo è rifinito, ma ecco una variante, anche questa francese; l'ho presa da un commesso viaggiatore francese: è lo stesso carattere inglese, ma la linea nera è un pochino più scura e spessa che in quello inglese, ah! l'armonia del colore è rotta! E notate ancora: l'ovale è mutato, è un tantino più rotondo e per di più è ammesso lo svolazzo, e lo svolazzo è una cosa pericolosissima! Lo svolazzo esige un gusto straordinario, ma se soltanto si riesce a trovare la proporzione, è un carattere non paragonabile a nessun altro, tanto che ci se ne può anche innamorare.» «Oho! In che finezze vi addentrate!» rise il generale. «Ma voi, batjuška, non siete semplicemente un calligrafo, siete un artista, vero Ganja?» «Sorprendente» disse Ganja, «e per di più con la consapevolezza della propria vocazione» aggiunse ridendo in tono canzonatorio. «Ridi, ridi, ma qui c'è una carriera» disse il generale. «Sapete, principe, a quale personaggio vi faremo scrivere adesso? Tanto per cominciare vi si possono assegnare subito trentacinque rubli al mese. Però sono già le dodici e mezzo» concluse dando un'occhiata all'orologio, «veniamo al dunque, principe, perché ho fretta, e oggi forse non ci potremo incontrare di nuovo. Sedetevi un momento. Vi ho già spiegato che non sono in grado di ricevervi molto spesso, ma desidero sinceramente aiutarvi un pochino, un pochino, s'intende, cioè per le cose più indispensabili, poi farete come vi pare. Vi troverò un posticino in una cancelleria, non gravoso, ma che richiede diligenza. E ora vengo al resto: in casa, cioè nella famiglia di Gavrila Ardalionoviè Ivolgin, cioè questo mio giovane amico, col quale vi prego di far conoscenza, la mammina e la sorella hanno a disposizione nel loro appartamento due o tre stanze ammobiliate, e le danno a inquilini ottimamente raccomandati, con pensione e servizio. Sono sicuro che Nina Aleksandrovna accetterà la mia raccomandazione. Per voi, principe, questo sarà addirittura più di un tesoro, prima di tutto perché non sarete solo ma, per così dire, in seno a una famiglia, e dal mio punto di vista non dovete trovarvi solo fin dal primo momento in una città come Pietroburgo. Nina Aleksandrovna, la mammina, e Varvara Ardalionovna, la sorella di Gavrila Ardalionoviè, sono signore che stimo profondamente. Nina Aleksandrovna è la consorte di Ardalion Aleksandroviè, generale a riposo, mio ex compagno nei primi anni di servizio, ma con cui io, per certe circostanze, ho interrotto ogni rapporto, il che non mi impedisce di stimarlo, a modo mio. Vi spiego questo, principe, perché comprendiate che io vi raccomando, per così dire, personalmente, e di conseguenza rispondo di voi. La spesa è molto contenuta, e io spero che il vostro stipendio fra poco sarà pienamente sufficiente. A dire il vero un uomo ha bisogno anche di un po' di denaro in tasca, ma non prendetevela, principe, se vi faccio notare che sarà meglio per voi se eviterete di avere soldi per i piccoli piaceri, e in generale sarà meglio che non teniate denaro in tasca. Vi dico così per il concetto che mi sono fatto di voi. Ma, siccome adesso il vostro borsellino è completamente vuoto, per l'inizio permettetemi di offrirvi questi venticinque rubli. Certo, faremo i conti, e se voi siete quella persona sincera e cordiale che sembrate a sentirvi parlare, fra noi non potranno sorgere difficoltà. Se mi interesso tanto a voi, è perché ho certe mire che vi riguardano. Le conoscerete in seguito. Vedete, vi parlo in tutta semplicità. Spero che tu, Ganja, non abbia nulla in contrario ad accogliere il principe nel vostro appartamento.» «Oh, al contrario. Anche mammina sarà molto contenta...» confermò Ganya con premurosa cortesia. «Infatti mi pare che abbiate soltanto una camera occupata. Si tratta di, come si chiama, Ferd... Fed...» «Ferdyscenko.» «Ah, sì. Non mi piace questo vostro Ferdyscenko, è uno sconcio buffone, e non capisco perché Nastas'ja Filippovna lo sostenga tanto. È proprio vero che è un suo parente?» «Oh, no! Si tratta di uno scherzo. Non è suo parente neanche alla lontana.» «Be', che il diavolo se lo porti! Ebbene, principe, siete soddisfatto o no?» «Vi ringrazio, generale. Vi siete comportato con me come un uomo straordinariamente buono, tanto più che io non ve lo avevo nemmeno chiesto. Non lo dico per orgoglio, davvero non sapevo dove sbattere la testa. Poco fa, a dire il vero, Rogožin mi aveva invitato.» «Rogožin? No, no, vi consiglierei paternamente, o se preferite, amichevolmente, di dimenticare il signor Rogožin, e parlando più in generale vi consiglierei di limitare le vostre conoscenze alla famiglia in cui state per entrare.» «Dal momento che siete tanto buono» cominciò il principe, «mi capita un'altra faccenda: ho ricevuto una comunicazione...» «Be', scusate» lo interruppe il generale, «adesso non ho un solo minuto di più; ora parlerò di voi a Elizaveta Prokof'evna: se vorrà ricevervi subito (cercherò di raccomandarvi in tal senso) vi consiglio di approfittare dell'occasione e piacerle, perché Lizaveta Prokof'evna può esservi molto utile. Infatti portate lo stesso cognome. Se non vorrà, non abbiatevene a male, sarà per un'altra volta. E tu, Ganja, dai intanto un'occhiata a questi conti, poco fa ci siamo spremuti il cervello io e Fedoseev. Non bisogna dimenticare di includerli...» Il generale uscì, e così il principe non fece in tempo a raccontargli della faccenda di cui aveva iniziato a parlare forse per la quarta volta. Ganja si accese una sigaretta, e ne offerse una al principe. Il principe l'accettò, ma poiché non voleva disturbare, non attaccò discorso e si mise ad osservare lo studio, ma Ganja dette appena un'occhiata al foglio di carta pieno di cifre indicatogli dal generale. Era distratto: il sorriso, lo sguardo, l'espressione pensierosa di Ganja divennero ancora più penose per il principe quando rimasero soli. D'un tratto si avvicinò al principe, che in quel momento stava di nuovo davanti al ritratto di Nastas'ja Filippovna, intento ad osservarlo. «E allora vi piace questa donna, principe?» chiese improvvisamente fissandolo con uno sguardo penetrante, proprio come se avesse una qualche sua straordinaria intenzione. «Un viso stupendo!» rispose il principe. «E sono sicuro che il suo destino non è dei più comuni. È un viso allegro, ma ha sofferto terribilmente, vero? Lo dicono i suoi occhi, queste due piccole sporgenze, questi punti sotto gli occhi, dove cominciano le guance. È un viso orgoglioso, terribilmente orgoglioso, e non so se sia buona. Ah, se fosse buona! Tutto sarebbe salvo!» «Ma voi sposereste una donna simile?» continuò Ganja senza distogliere da lui lo sguardo febbrile. «Non posso sposare nessuno, sono malato» disse il principe. «E Rogožin la sposerebbe? Che ne pensate?» «Che dite? Penso che la sposerebbe anche domani, la sposerebbe, e poi forse di lì a una settimana la sgozzerebbe.» Appena il principe ebbe pronunciato quelle parole, Ganja fece un tale sussulto che il principe per poco non mandò un grido. «Che avete?» domandò, afferrandolo per un braccio. «Vostra Grazia! Sua eccellenza vi prega di favorire dalla signora» annunciò il lacchè che era apparso sulla porta. Il principe si avviò dietro al domestico.
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