Schizofrenia

3338 Words
Schizofrenia Joseph finì di bisbigliare le sue istruzioni a Bob, il vicino di cella. Sentiva distintamente i singulti, rapidi e pesanti, di un uomo che si sta abbandonando ad un pianto disperato. Bob, un omaccione peloso di centoventi chili, stava piangendo da alcuni minuti come un bambino. Non erano però lacrime di dolore, ma di riconoscenza. Tra un singulto e l’altro Bob bisbigliava “grazie, grazie”, in modo sempre più accorato, quasi commosso. Joseph attese ancora qualche minuto, lasciando che i singhiozzi diminuissero, quindi riprese a parlare «Ora basta piangere, Bob. Ricordati quello che ti ho detto. È tutto chiaro?» Bob sembrò calmarsi, i singulti sostituiti da sospiri pesanti e frequenti. «Sì» bisbigliò in risposta. «Hai chiara la strada di fronte a te?» «Sì» ancora un bisbiglio soffocato. «Presto ci incontreremo di nuovo, amico mio» Joseph sorrise mentre pronunciava quelle parole «Sì» Bob tirò rumorosamente su con il naso. Forse stava inalando tonnellate di muco. «Ah, Joseph…» «Sì, Bob» «Grazie Joseph» In quel momento la porta del corridoio si aprì con un rumore metallico. I due secondini arrivarono accompagnati dal suono delle loro scarpe nere e lucide che scricchiolavano sul pavimento di linoleum. Si fermarono di fronte alla sua cella. «Hai la visita di controllo, Wasser. Non dare problemi» il più giovane dei due accarezzò il manganello che portava attaccato alla cintura. Sorrideva e il suo volto non riusciva a nascondere la ferocia repressa tipica di tutti gli squallidi individui che godono nell’abusare del loro piccolo potere. L’altro secondino, un grasso idiota con i capelli rossi, rimase due metri più indietro. Era la procedura. Una volta aveva chiesto alla dottoressa quale fosse la procedura in caso di incendio. Lei gliel’aveva spiegata, un po’ sorpresa dalla domanda. Joseph aveva ascoltato con attenzione, poi aveva scosso la testa e con un sorriso le aveva detto «Ma io intendevo la procedura medica nel caso in cui un uomo vada a fuoco» Non aveva fatto una grande impressione e il trasferimento in un istituto di igiene mentale era stato rimandato a data da destinarsi. Ma quelle erano state le prime sedute. Da allora erano passati sei mesi. I suoi progressi erano stati, per ammissione della stessa dottoressa, incoraggianti e continui, anche se non ancora sufficienti a garantirne il trasferimento. Ma stava imparando. Il secondino gli mise due paia di manette a polsi e caviglie, sotto lo sguardo vigile del collega. Joseph non oppose alcuna resistenza. Non aveva senso. Non si può fuggire con la violenza da un carcere di massima sicurezza. Solo gli stupidi ci provano. Le catenelle tintinnarono quando iniziò a muoversi. Mentre passava di fronte alla cella di Bob, sorrise e annuì impercettibilmente con la testa. L’omaccione, gli occhi ancora lucidi, annuì di rimando nella sua direzione. Il volto, rotondo come la luna piena, mostrava gratitudine. Lo lasciarono nella stanza delle visite, mani e piedi stretti dalle manette. Seduto su una sedia, osservò per l’ennesima volta la stanza. L’arredamento era essenziale, quasi spartano: solo una scrivania di legno e due sedie dello stesso materiale. Anche senza voltarsi sapeva che l’armadietto dei medicinali era nell’angolo dietro di lui, vicino alla porta. L’odore del disinfettante era così pungente da fargli quasi lacrimare gli occhi. Era l’unica cosa a cui non riusciva ad abituarsi. L’attesa durò solo pochi minuti, poi la porta si aprì. La dottoressa Bianchi entrò e si sedette sulla sedia di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo. Sorrise. “Che gran pezzo di gnocca” pensò Joseph. Labbra carnose e lunghi capelli neri sciolti sulle spalle. Gli occhi, scuri e intelligenti, lo scrutarono per qualche istante. Il camice era leggermente sbottonato e lasciava intravedere qualche centimetro di pelle chiara. Somigliava in modo sorprendente a sua madre, o almeno a come se la immaginava Joseph. L’ultima volta che l’aveva vista aveva appena compiuto tre anni e non possedeva nemmeno una sua foto. «Buongiorno Joseph, come ti senti oggi?» la dottoressa sorrise. Così bella. Così delicata. «Benissimo dottoressa. Di cosa vogliamo parlare oggi? È qualche settimana che non faccio più brutti sogni, lo sa?» «Molto bene, sono contenta. E i brutti pensieri? Ti capita ancora di farne?» lo fissò con attenzione. «No, nessun brutto pensiero» «Bene» la dottoressa Bianchi sorrise di nuovo. Uno sprazzo di paradiso «ma non è di questo che voglio parlare, oggi» «Ah no? E di cosa allora?» Joseph inarcò le sopracciglia. «Voglio parlare dei tuoi amici» Joseph sentì un ticchettio dentro la testa. La saliva evaporò dalla bocca lasciandogli un sapore amaro. Cercò di controllare la deglutizione mentre il pomo di Adamo saltellava come impazzito. Si impose si restare calmo e respirò profondamente. Quando parlò, la voce uscì sicura, più di quanto si sarebbe aspettato. «Di quali amici sta parlando dottoressa? Di Bob forse?» Sempre sorridendo, la dottoressa Bianchi fissò un punto alla sua destra. «No sto parlando di quella bella ragazza di fianco a te, Joseph. Come si chiama?» A Joseph sembrò che qualcuno gli stesse aprendo la testa dall’interno. Aveva un cavatappi conficcato nell’osso occipitale e il dolore era insopportabile. Le parole della dottoressa avevano azionato un martello pneumatico che lo trivellava con furia selvaggia. Sempre più in profondità. Sempre più violento. Voleva urlare, ma la voce gli si strozzò in gola. Poi, all’improvviso come era arrivato, il dolore scomparve. «Chi cazzo è questa puttana?» la voce lo aggredì all’orecchio. Una voce roca. Da fumatore. O meglio, da fumatrice. Joseph si voltò verso destra facendo tintinnare le catenelle delle manette. Lucy era lì. Indossava una minigonna di jeans che lasciava vedere molto di più di quanto è consentito e un top rosa shocking. I capelli neri, tagliati a caschetto, incorniciavano un viso affilato. Gli occhi erano azzurri e leggermente socchiusi, penetranti. Gli angoli della bocca si piegarono in un sorriso cattivo; in mano aveva una di quelle sigarette sottili che fanno tanto signora. «Ciao Joseph» Lucy soffiò una sottile nuvola di fumo «ti ho chiesto chi è quella puttana, tesoro» Joseph deglutì a fatica. Era sicuro che fosse scomparsa per sempre. E invece eccola lì, sottile e provocante. Volgare e femminile. «Non vuoi dirmi come si chiama la tua amica? O forse è la tua ragazza?» La dottoressa Bianchi indicò di nuovo in direzione di Lucy. Joseph ignorò la domanda e, guardando di fronte a sé, parlò alla ragazza «Che cosa vuoi da me? Credevo di averti detto di non farti più vedere» ringhiò tra i denti. «Ma caro, ti sembra il modo di parlare a una ragazza? Lo sai che sono qui per il tuo bene. E poi non hai sentito la dottoressa? Quella troia crede che siamo fidanzati» ridacchiò mentre espirava un’altra nuvola di fumo pestilenziale. «Joseph, hai sentito la mia domanda? Chi è quella ragazza?» Joseph inspirò profonde boccate d’aria, ma il fumo della sigaretta lo fece tossire. «Lei…» iniziò a dire. «Non dire chi sono, stupido!» Lucy si era abbassata e ora gli sussurrava all’orecchio «Lei è…» continuò cercando di ignorare la voce che lo martellava «Non dire il mio nome!» «Lei è Lucy» «Idiota, piccolo stupido escremento di topo! Ti avevo detto di non dirlo!» La dottoressa Bianchi sorrise. Joseph sospirò. Pronunciare quel nome gli era costato una fatica enorme. «Bene Joseph, molto bene» incrociò le mani di fronte al viso, poi continuò «E chi c’è insieme a Lucy? Mi sembra che non sia da sola, vero?» Joseph avvertì un nuovo tremito che, dalla testa, si estese al resto del corpo. Chiuse gli occhi, cercando di ignorare il dolore che montava nuovamente. Lucy continuava a insultarlo, ma si fermò per un attimo alla vista delle sue convulsioni. «No! Non far venire fuori anche lui!» Lucy sgranò gli occhi e gettò la sigaretta a terra schiacciandola con il tacco della scarpa. Sembrava spaventata, ma riprese subito a insultarlo. Non appena il dolore scomparve, Joseph aprì gli occhi e mise a fuoco la dottoressa. Percepiva una nuova presenza alle sue spalle, oltre a Lucy. Si voltò a guardare. Accanto alla ragazza, c’era un uomo dai capelli bianchi che teneva lo sguardo puntato sulla dottoressa. I suoi denti battevano incessantemente gli uni sugli altri. Era insopportabile. Stringeva in mano una bibbia da due soldi rilegata in finta pelle rossa e sdrucita in più punti. Sulla copertina era stampata una croce dorata con caratteri scritti in rilievo dello stesso colore, in parte scoloriti e scollati. Joseph fissò la figura vestita di nero. Chiuse gli occhi sperando che scomparisse. Ma anche con gli occhi chiusi continuava a sentire il suono dei denti che battevano in continuazione come una di quelle dentiere di plastica azionate da una carica. Quando riaprì le palpebre, il reverendo era sempre lì, a fissare la dottoressa. Sembrava trapassarla con lo sguardo, mentre i suoi denti ticchettavano in modo sempre più rapido. Joseph si coprì le orecchie con le mani, ma non servì a niente. Stava perdendo lucidità. Quando sentì il contatto delle mani che toglievano delicatamente le sue dalle orecchie ebbe un sussulto. Aprì gli occhi. La dottoressa Bianchi era di fronte a lui. Sorrideva gentile e premurosa. «Va tutto bene Joseph» la voce era sommessa, come quella di una mamma amorevole che consola il figlio affranto «sono qui per aiutarti» «Si, è qui per aiutarti, quella puttana. Non ascoltarla Jos, lei ti vuole solo rinchiudere in cella e buttare via la chiave» Lucy si accese un’altra sigaretta. «Zitta donna, peccatrice impura» il reverendo interruppe il suo tic ringhiando all’indirizzo di Lucy, poi si rivolse a Joseph puntandogli contro l’indice come se fosse una pistola «lascia stare ragazzo, non dare ascolto alle donne. Sono creature immonde e pericolose. Sono interessate solo al sesso e al denaro. Creature demoniache! Ricorda che devi combatterle, purificarle…» «Che cosa ti stanno dicendo Joseph? Vogliono che io me ne vada?» la dottoressa Bianchi era rimasta in piedi, di fronte a lui. Era così vicina che riusciva a sentirne il profumo, un delicato aroma floreale che evocava prati verdi e soli tristi. Rimase per alcuni istanti immobile, mentre il reverendo continuava la predica e Lucy rispondeva con insulti e improperi indirizzati agli uomini, alla chiesa e ai preti. «Si, vogliono che lei se ne vada» era stanco. Gli sembrava di avere dei macigni sulle spalle e ogni momento che passava si sentiva sempre più debole. «E perché? Sto forse facendo qualcosa di male?» «Certo che sta facendo qualcosa di male! Diglielo alla strega che noi siamo parte di te. Che non puoi fare a meno di noi! Siamo la tua forza!» Lucy si era di nuovo avvicinata al suo orecchio, sussurrando rabbiosamente, quasi per non farsi udire dal predicatore che aveva ripreso l’insopportabile ticchettio. «Non dare ascolto alle donne, ragazzo. Sono creature del demonio! Questa poi, una donna istruita, quale sacrilegio! Ti vuole confondere, indebolire, per poi rinchiuderti nuovamente!» il reverendo si era avvicinato e gli parlava nell’altro orecchio, dalla parte opposta di Lucy. «No, ma loro… loro hanno paura di lei» ogni parola gli costava uno sforzo immane. Era così stanco. «Stupido, io non ho paura di nessuno! Io sono la tua forza, idiota» Lucy sbuffava, ma si ritrasse di qualche passo. Il reverendo invece rimase dov’era. «Ragazzo, ti ricordi quando abbiamo purificato quella ragazza nel vicolo, a Roma? Ricordi come brillava nel fulgore divino del fuoco? Non vorresti purificare anche questa dottoressa? Lei è infida, non può aiutarti. Devi essere tu a intervenire prima che lei versi il suo liquido mieloso nelle tue orecchie. Liberala ragazzo, liberala» Joseph alzò lo sguardo. La dottoressa era sempre di fronte a lui. Lo osservava in silenzio. Il sorriso era scomparso, sostituito da un’espressione assorta. «Bene Joseph. Chi è l’uomo?» «Non dirglielo! Lei ci vuole separare! Non permetterglielo, Non permetterglielo!» Inspirò prima di rispondere. Una profonda boccata d’aria che sembrò restituirgli un minimo di lucidità. «Lui è il reverendo» «Il reverendo…» la dottoressa Bianchi si passò la lingua sulle labbra «e il reverendo non ha un nome?» «Sì, lui non ha un nome, è solo uno svitato che lo aiuta a ripulire i suoi casini» Joseph sentì Lucy ridacchiare. Il reverendo si voltò a guardarla sibilando come un serpente, i denti che battevano con sempre maggiore frequenza. «No…lui è … è il reverendo» «Capisco. E lui è un tuo amico, non è vero?» «Sì, credo di sì» «Credo, credo figliolo? Io ti ho sempre aiutato! Che cosa saresti diventato se io non ti avessi mostrato la via? Se non ti avessi fatto vedere quanto era sbagliato il tuo atteggiamento verso le donne?» «Sei solo un vecchio bacchettone. Jos si divertiva un sacco prima che arrivassi tu. Eravamo una bella coppia» Lucy continuava a fumare soffiando il vapore in lente volute verso il soffitto. «Sesso promiscuo, sodomia, era solo un peccatore prima che io arrivassi a salvarlo! Ora è un uomo» il reverendo mostrò i denti ringhiando. «Ascoltami Joseph, il reverendo ti ha aiutato anche l’ultima volta, quando ti hanno preso a quella festa?» «Non dirglielo! Non dirglielo! Ti vuole ingannare!» «Si, lui era con me» «Ma se è un tuo amico, Joseph, come mai ti ha fatto rinchiudere? Un amico non ti lascia nei guai e se ne va» «Maledetta sgualdrina! Figlia del peccato, tu brucerai tra le fiamme dell’inferno! Non dargli ascolto ragazzo…» «Ma…ma lui mi ha sempre aiutato… mi ha difeso… lui…» «Lui ti ha fatto finire in galera Joseph, ti ha fatto fare cose che non avresti mai fatto. E ti ha abbandonato nel momento del bisogno» «Non è vero. Io ti ho sempre aiutato Joseph. Sempre! Dove saresti se io non ti fossi stato vicino?» Mentre ascoltava lo scambio di battute, Lucy ridacchiava. Il reverendo, invece, era trasfigurato: il viso congestionato, le vene del collo gonfie, la voce stridula. «Lui ti ha fatto del male, Joseph. Lo devi mandare via. Lui non è tuo amico» la dottoressa Bianchi continuava a parlargli, calma e pacata. «Sì, Joseph, fallo andare via. Non hai bisogno del vecchio bacchettone. Torneremo a essere solo io e te» Lucy era tornata a sussurrargli nell’orecchio. Il reverendo pareva essere sul punto di esplodere da un momento all’altro. Batteva i denti in modo frenetico e sembrava non essere più in grado di parlare in modo coerente. Dalle sue labbra uscivano solo balbettii incomprensibili e un rivolo di bava scendeva da un angolo della bocca, fino al mento ispido di barba. La rabbia, scomparsa nel corso dei mesi trascorsi in prigione, tornò a crescergli dentro. Adesso vedeva tutto con chiarezza. Il reverendo l’aveva tradito. Lo aveva illuso. Non c’era mai stata nessuna missione. Aveva usato le sue debolezze e la sua insicurezza per i suoi scopi. Maledetto. Maledetto. Sentì la rabbia crescere e la stanchezza svanire. Si girò verso il reverendo, maledetto becchino travestito da amico, e chiuse gli occhi, concentrandosi sul ticchettio dei suoi denti. Un istante dopo il rumore scomparve. Joseph riaprì gli occhi. Il reverendo non c’era più. Scomparso. Si sentiva meglio, come se si fosse tolto un peso dal petto. Guardò la dottoressa, che annuì, e sorrise. «Bravo Joseph, se n’è andato vero?» «Sì» Lucy sogghignava. Iniziò ad applaudire con enfasi. Poi lo abbracciò da dietro le spalle. «Bravo, bravissimo Jos. Ora siamo di nuovo soli. Io e te. E ti prometto che ci divertiremo un sacco» «Siamo a metà del lavoro Joseph. Parlami di Lucy. Anche lei è una tua amica?» «Ci puoi scommettere che sono una sua amica, troia con il camice. Sono l’unica amica che ha. E non puoi farci niente» alzò il dito medio sventolandolo in direzione della dottoressa «Io… si Lucy è mia amica» «A te piacciono le donne, Joseph?» «Certo che gli piacciono le donne, sciacquetta. Non è mica uno dei cazzi mosci che piacciono tanto a te» ringhiò Lucy. «Sì» rispose Joseph «E gli uomini? Sei mai stato attratto da un uomo?» Joseph sentì Lucy che iniziava a imprecare. Scorrevano immagini in cui lui e Lucy si trovavano in mezzo a un mucchio di donne. No, c’erano anche degli uomini, tra loro. Deglutì con difficoltà mentre un sapore acido gli affiorava alle labbra. «Allora Joseph, sei mai stato con un uomo?» «Su non fare il santarellino Jos, digli quello che vuole sentirsi dire e andiamocene. Ho voglia di stare un po’ da sola con te» Lucy lo baciò sulla guancia, leccandogli il lobo dell’orecchio con la punta della lingua «Io…io, sì. Sono stato con degli uomini» gli veniva da vomitare. Ora ricordava con chiarezza le orge e gli amplessi con Lucy e altri uomini. Rivedeva i loro volti, e sentiva i loro gemiti di piacere. Le mani che lo toccavano. Sentì la nausea aumentare di intensità. «E ti è piaciuto Joseph? Ti piaceva avere rapporti sessuali con altri uomini?» «Certo che gli piaceva, stronza pervertita. Io e Jos ci divertivamo un sacco, prima che arrivasse quel maledetto prete a romperci i coglioni. Su, diglielo Jos, quanto ci divertivamo insieme» Lucy gli soffiò una nuvola di fumo in faccia. Joseph iniziò a tossire. Sentì lo stomaco rovesciarsi, ma riuscì a trattenere il conato. «No!» urlò ansimando «no…non mi è piaciuto» «Ma che cazzo stai dicendo zuccherino? Certo che ti è piaciuto. Ti è sempre piaciuto» Lucy gli carezzò la guancia «Allora perché l’hai fatto, Joseph?» la dottoressa Bianchi gli prese una mano tra le sue «Ehi troia, non lo toccare! Lui è mio, mio hai capito?» Lucy allungò una mano in direzione della dottoressa, le lunghe unghie dipinte di rosa contratte in un artiglio, come a volerla ghermire. «Io… io… non lo so» La dottoressa annuì «Forse perché era Lucy che te lo faceva fare. Forse era a lei che piaceva. E ti imponeva di farlo, anche se tu non volevi» «Ehi ma che cazzo stai dicendo? Io e lui ci siamo divertiti un sacco, e ora arrivi tu e provi a metterti tra di noi, strizzacervelli del cazzo? io..» «Sì, era lei che me lo faceva fare. Io… io non volevo» «Ma amore, cosa stai dicendo» «Fallo Joseph, per il tuo bene» la dottoressa Bianchi gli strinse le mani tra le sue. Joseph sentì di nuovo la rabbia risvegliarsi. Questa volta non chiuse gli occhi. Si girò verso Lucy e la osservò sogghignando «Che cosa credi di fare tesoro?» ma adesso la sua voce sembrava un po’ meno roca, un po’ meno sicura. «Sparisci, tesoro» ringhiò tra i denti. Lucy lasciò scivolare la sigaretta sul pavimento. Un attimo dopo Joseph si ritrovò a fissare il muro. Di Lucy non c’era più alcuna traccia. Se n’era andata. Svanita insieme alle parolacce, ai giochetti sessuali e alle sigarette puzzolenti. Per un attimo sentì una stretta allo stomaco. Non li avrebbe più visti. Né Lucy, né il reverendo. Non sarebbero più stati al suo fianco. Non lo avrebbero più consigliato, e neppure aiutato. Gli sarebbero mancati? «Ora sei libero, Joseph» la dottoressa Bianchi gli strinse di nuovo le mani tra le sue «Ora ci sono io e andrà tutto bene» Joseph guardò la donna di fronte a sé e sorrise debolmente «Si, andrà tutto bene» «Tu ti fidi di me, Joseph?» «Si, dottoressa, mi fido di lei» La donna sorrise, soddisfatta «D’ora in poi puoi chiamarmi Marta» Non fece in tempo a rispondere, che la porta della stanza si aprì. Marta scivolò accanto mettendosi al suo fianco. Mentre Joseph si voltava a guardare chi fosse entrato, gli sussurrò all’orecchio «Lascia che sia io a parlare. Per trattare con un dottore ci vuole un altro dottore» «Ciao Joseph come va oggi? Mi dispiace per il ritardo ma sono stata trattenuta. C’è stato…» sembrò che la donna non trovasse le parole «c’è stato un brutto incidente che ha coinvolto il tuo vicino di cella» la donna assunse un’espressione triste “Bob” pensò Joseph. «Gli hai mostrato la via, vero caro?» gli sussurrò Marta all’orecchio Annuì. «Purtroppo Bob si è tolto la vita» la dottoressa assunse un’espressione addolorata, le labbra leggermente increspate. Joseph si mise comodo e lasciò che fosse Marta a dare voce al suo dolore per la perdita dell’amico. Così come la lasciò rispondere a tutte le altre domande della dottoressa Scricciolo. Sentiva che il giorno del suo trasferimento era vicino. In fondo ci vuole un dottore per trattare alla pari con un dottore.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD