Capitolo 1

3440 Words
1 WILDER Gennaio nel Montana era un mese fottutamente freddo. Dopo una giornata a bordo di motoslitte sotto il sole accecante, ma con le temperature vicine allo zero, faceva piacere trovarsi di fronte ad un bel fuoco scoppiettante, whiskey alla mano. Essere amico di Micah e Colt, sarti di abbigliamento da foresta che ci avevano portati a fare una fantastica gita di un giorno nel parco nazionale, aveva i suoi vantaggi. Non c’era niente di meglio che esplorare i fantastici paesaggi là fuori seduti su duecento cavalli vapore, ma quando eravamo tornati ad Hawk’s Landing, dove pernottavamo per il weekend, avevamo scoperto che lì dentro le cose erano altrettanto selvagge. Un uomo in pantaloni di pelle e una maglietta nera attillata teneva una donna al guinzaglio. Lei indossava una minigonna di pelle rossa delle dimensioni di un cerotto e un bustino nero che le alzava il seno contro ogni legge di gravità. Sì, un guinzaglio. Aveva un collare ed era contenta di seguire l’uomo a qualche passo di distanza, gli occhi bassi mentre si dirigevano verso la sala conferenze del resort, convertita per la notte in una prigione b**m. Un gruppo di Billings aveva affittato l’intero resort per il fine settimana – ad eccezione delle nostre due camere. Una dominatrice con indosso degli stivali neri con dei tacchi a spillo letali e un top in lattice aveva un uomo che la seguiva a quattro zampe nella stessa direzione attraverso l’ingresso del resort. Fortuna che il caminetto alto due piani in pietra era acceso e il calore era stato puntato leggermente più alto del solito, perché lui non indossava nulla sull’uccello a parte una gabbia di metallo per il pene. Quella vista mi fece contrarre il viso in una smorfia e mi agitai sul divano in pelle. Non disdegnavo una donna che giocasse un po’ col mio uccello e le mie palle, ma preferivo un approccio più delicato – e la possibilità di venire. Sfortunatamente, l’unica donna che avrei voluto si avvicinasse al mio uccello non avrebbe mai indossato degli abiti fetish. No, lei era troppo dolce, troppo pura. Troppo innocente per qualcosa di tanto selvaggio e spinto come quello che stava accadendo quella notte. Sarah Gandry era la donna che volevo sposare, non quella che mi sarei scopato in una prigione. Be’, volevo scoparmela un po’ ovunque, ma a quanto pareva non eravamo compatibili. Se non altro, era ciò che aveva pensato lei. La trovavo intelligentissima, bellissima e perfetta. Oh, e la amavo. Merda. Mi sistemai l’uccello nei pantaloni al solo pensare a lei. Aveva dei meravigliosi capelli neri e un corpo perfetto e decisamente scopabile. Non mi sarei mai dimenticato delle sue labbra piene. Sì, forse non mi teneva l’uccello in gabbia, ma di certo mi aveva metaforicamente tenuto al guinzaglio per anni. E non solamente me, ma aveva preso per le palle anche King. E non ci eravamo mai nemmeno avvicinati a quella figa. «Quando ho sentito parlare dell’evento di questo fine settimana, sono stato sul punto di cancellare la prenotazione, ma abbiamo immaginato che a voi non avrebbe dato fastidio,» disse Micah, appoggiandosi allo schienale dell’enorme divano in pelle, con i piedi sul tavolino da caffè e il suo bicchiere di whiskey posato sul petto. Fece un cenno del capo in direzione dell’evento fetish che si stava tenendo in una stanza alle sue spalle, i bassi di una canzone dei Nine Inch Nails che ci raggiungevano soffocati. «Per quanto non vi dedichiate più a questo stile di vita, non vi infastidisce. Non parlereste male di quello che vedete.» King fece spallucce dalla poltrona accanto alla mia, sollevando il proprio bicchiere in un cenno di brindisi. L’arredamento era disposto ad U di fronte al caminetto, con Micah direttamente davanti ad esso e noi perpendicolari. King sogghignò. «Infastiditi? Diamine, no. Vorremmo solamente che alla nostra ragazza piacesse tanto quanto a noi, sebbene né io né Wilder prendiamo parte ad un evento di questo genere da un sacco di tempo. E per quanto riguarda il lasciarsi guardare da tutti? A me non importa cosa facciano gli altri, che seguano i loro desideri. Ma se-» «Quando,» dissi io, interrompendolo. «-quando» - si corresse lui - «avremo la nostra ragazza tra noi due, non la condivideremo con altri. Nessuna parte di lei. Non il suo bellissimo corpo, i versi che farà o le sue espressioni durante l’orgasmo.» «Col cazzo,» aggiunsi io, innervosendomi al solo pensiero di qualche bastardo che vedeva Sarah a quel modo. «Quella è roba nostra.» Sì, la nostra ragazza. Io e King eravamo migliori amici sin dall’asilo e avevamo desiderato Sarah per anni, sin da prima ancora che fosse maggiorenne. L’avevamo adocchiata perfino da prima. Avendo sei anni più di lei, avevamo aspettato – potevano anche piacerci le cose spinte e perverse, ma non eravamo dei pedofili – fino a quando non aveva terminato il college ed era tornata a Barlow, per uscire con lei. Separatamente, così da non spaventarla. Cena, film, bowling. Baci casti di fronte alla sua porta di casa. Dio, erano stati dolci, ma era stato quasi impossibile non spingerla contro la porta, infilarle una coscia tra le sue e percepire il calore della sua figa perfino attraverso i jeans, mentre mi prendevo la sua bocca in un bacio infuocato. Ecco cosa avrei voluto farle. Affondare dentro di lei e perdere la testa, farla perdere a lei. Ma non era stata interessata. Non aveva risposto al mio sfiorarle la fronte e l’angolo della bocca con le labbra. Nessun respiro mozzato, niente dita che mi stringevano i bicipiti. Non aveva sollevato il viso verso il mio per ottenere di più. No, non era stata interessata alle dolci attenzioni che nessuno di noi due le aveva dimostrato e alla fine ci aveva rifiutati entrambi, uno dopo l’altro. Strano, perchè eravamo stati certi di piacerle. Ogni volta che l’avevamo incrociata per strada, il suo sguardo si era acceso di interesse, le sue guance si erano arrossate. E, quando ero andata a prenderla a casa sua, si era dimostrata impaziente. Ma alla fine dell’appuntamento, nulla. Solo un sorrisino, un rapido ringraziamento prima di sparire in casa e chiudermi la porta in faccia. King aveva detto che a lui era capitata la stessa cosa. Quel rifiuto aveva fatto male, ne faceva ancora. Mi mandava in confusione, perché fino a quando non l’avevo riaccompagnata a casa ci eravamo divertiti. Stare con Sarah era stato come sentirmi a casa. Era sempre facile, non c’erano silenzi imbarazzati. Ci conoscevamo già così bene. Eppure... nessun desiderio. Nessuna passione, come avevo sperato. Come aveva sperato anche King. Ciò non significava, comunque, che avessimo smesso di desiderarla. No, eravamo uomini abituati ad ottenere ciò che volevamo, e noi volevamo Sarah. Dovevamo solamente avere pazienza e pensare ad un nuovo piano di attacco. Micah sogghignò. «Non sapevo che aveste una ragazza. Congratulazioni.» Il sorriso di King svanì. «Non ce l’abbiamo,» borbottò. «Be’, ce l’abbiamo, ma lei non lo sa ancora.» Bevve un sorso del proprio drink. «Vogliamo una relazione come la tua.» «Cosa?» Micah si accigliò, improvvisamente diffidente. «Con una stella del cinema?» «Cazzo, Micah, ci conosci abbastanza da sapere che non è quello che intendiamo,» gli dissi io. Ovviamente, era protettivo nei confronti di sua moglie. «Non ce ne frega un cazzo del fatto che Lacey sia famosa. Vogliamo una donna da condividere come fate tu e Colt. Come Matt ed Ethan, anche,» aggiunsi, riferendomi ai proprietari del resort. Anche loro condividevano una moglie. Rachel. «Non una donna qualunque, vogliamo condividere Sarah,» chiarì King, sollevando un dito dal bicchiere per puntarglielo contro. «Dobbiamo solamente capire come prendercela.» Esatto, diamine. C’era dell’interesse, nonostante lei avesse detto di non voler più uscire con noi. Il suo sguardo si illuminava quando mi vedeva – ed io mi fermavo in biblioteca per molto più che per i libri – ma ciò non l’aveva persuasa ad accettare un altro appuntamento. Non aveva senso. «Parlatemi di lei,» disse Micah, bevendo un sorso del proprio drink. La sua fede nuziale d’oro brillava alla luce del camino ed io ero fottutamente invidioso di quel semplice segno del suo impegno nei confronti di Lacey. Mi passai una mano sulla faccia, rendendomi conto che probabilmente avrei dovuto radermi, perché l’accenno di barba si stava trasformando in un vero e proprio pizzetto. Eravamo tornati dal giro in motoslitta, ci eravamo fatti la doccia nelle nostre stanze, avevamo mangiato una cena abbondante nella sala da pranzo e adesso ci stavamo rilassando accanto al fuoco. L’unica cosa migliore di quella sarebbe stata avere Sarah con noi. Tra di noi. Sotto di noi. «È cresciuta a Barlow con una madre folle e un fratellastro più giovane. Come sia venuta su normale non ne ho idea,» gli dissi, chiedendomi se sua madre fosse già passata al terzo o quarto marito, ormai. Magari perfino un quinto. Cambiava mariti con la stessa frequenza con cui la gente cambiava l’olio della macchina. Invece di lavorare, si sposava uomini ricchi, divorziava da loro ottenendo un accordo più che favorevole e passava al successivo. «Sarah è andata al college a Bozeman, è tornata e ha ottenuto il posto di bibliotecaria, quando la signora che ci lavorava da sempre è andata in pensione,» aggiunse King. Si chinò in avanti, afferrò la bottiglia di whiskey che avevamo preso dal bar dell’hotel e si riempì il bicchiere con circa due dita del liquido ambrato. Si era cambiato sostituendo la pesante tenuta invernale con una camicia blu di flanella, dei jeans e degli stivali di pelle. I suoi capelli chiari erano stati lisciati all’indietro dopo la doccia, ma le punte si erano arricciate per via del calore del caminetto. «Il sorriso più intelligente e più spettacolare che si possa mai vedere.» Se Micah voleva sapere di Sarah, gliene avremmo parlato. «È minuta, non mi arriva nemmeno alle spalle.» Sollevai una mano come ad indicare la sua altezza. «Capelli neri lisci che le arrivano a metà schiena. Curve in tutti i punti giusti.» Spostai la mano utilizzandola per mimare la forma di una clessidra. «Non dimenticarti di quella maledetta fossetta,» aggiunse King. Lo sguardo di Micah si spostò su di lui, mentre King si indicava la guancia destra. «Quella cazzo di fossetta mette gli uomini in ginocchio.» «Ma lei non è interessata,» ripeté Micah. King sospirò ed io bevvi un lungo sorso del mio drink, lasciando che mi bruciasse fin nello stomaco. «No,» disse lui. «Siamo usciti con lei, separatamente. Non volevamo spaventarla con la nostra intenzione di rivendicarla insieme, nonostante la conoscessimo da sempre. A parte voi qui a Bridgewater, non è che sia normale avere due uomini interessati a qualcuno. Anche un paio di ragazzi che conosciamo a Barlow condividono una donna, ma non è che Sarah lo sappia. Che se lo aspetti. Era interessata. Lo so. L’ho percepito, gliel’ho visto negli occhi, eppure ha rifiutato un terzo appuntamento con me.» «Anche con me,» aggiunsi io. Dovetti chiedermi se avesse avuto paura, se in qualche modo avessimo insistito troppo. Magari per via del fatto che sua madre era così... sfacciata nelle proprie dimostrazioni di affetto verso gli uomini, Sarah si era inibita. Ero disposto a fare le cose con tutta la calma che le fosse servita, fintanto che le fosse servito. Che le fossimo serviti noi. Sospirai. Era fottutamente frustrante, perché la amavo. La desideravo. Avevo bisogno di lei. Avevamo aspettato già abbastanza e adesso... adesso mi stava facendo impazzire. Micah posò il drink su un sottobicchiere sul tavolino. «Se non è interessata a voi, allora perché non andate a vedere se c’è qualche single sottomessa alla festa? Non c’è nulla di male nel togliersi uno sfizio con una donna compiacente, se siete single. Specialmente il bisogno di dominare.» Il suo sguardo si alzò e puntò oltre la testa di King verso la zona della reception. «Vi piacciono le tipe piccole e formose? Coi capelli scuri? Ce n’è una che sta parlando con Rachel che fa al caso vostro.» Mi lasciai sfuggire una risatina. «Sebbene il mio uccello sia stanco della mia mano,» ammisi, «non gli interessa nessuna a parte-» «Ma che cazzo?» borbottò King a bassa voce. Si era girato sul divano per guardare in direzione della reception. Io mi voltai di scatto nel sentire il suo tono e nel vedere il modo in cui gli occhi gli stavano praticamente uscendo dalle orbite. Il mio cervello non riusciva ad elaborare cosa stessi vedendo, tuttavia le parole mi uscirono di bocca. «Non. È. Possibile.» Sarah. In carne ed ossa. E se ne vedeva un sacco. Una gonna nera di lattice catturò la luce e la riflesse. Era ampia, come una... una gonna degli anni cinquanta senza la sottogonna eccessiva. Diamine, non ne sapevo un cazzo di gonne. Questa le arrivava un paio di centimetri sopra il ginocchio. Non era volgare, ma non avevo mai visto le gambe di Sarah così scoperte. Mai. Le scarpe nere che indossava avevano un piccolo cinturino davanti, quasi in stile scolaretta, sebbene i tacchi vi conferissero tutto un altro aspetto. Non facevano altro che mettere ancora più in risalto le gambe toniche. E questa era solamente la parte inferiore. Sopra indossava una pudica camicetta bianca, ma era abbastanza corta da mettere in mostra una piccola striscia del suo addome pallido e si annodava in vita. La vedevo solamente di profilo, mentre parlava con una donna dietro al bancone della reception, Rachel, dedussi, ma mi era chiaro che diversi bottoni fossero aperti. Troppi. I capelli lisci erano raccolti in una semplice treccia, come se l’avesse fatta per farsi afferrare da qualcuno, mentre si faceva sollevare la gonna per farsi scopare da dietro. Mi alzai di scatto dal divano, aggirandolo di gran carriera. Sentii dei passi alle mie spalle e capii che King mi stava seguendo. «Sarah,» dissi. Quella parola mi uscì di bocca come un proiettile e la fece girare di colpo. Sgranò quei bellissimi occhi, spalancò la bocca e la sua pelle pallida divenne quasi bianca prima di arrossire della stessa tonalità del rossetto che le dipingeva le labbra piene. Ora che era girata verso di me, vedevo meglio i suoi vestiti. Sebbene la gonna la coprisse, il top non lo faceva affatto. Era come se avesse preso una delle sue camicette da bibliotecaria puritana, avesse lasciato perdere i bottoni e l’avesse annodata al fondo per tenerla chiusa. Al di sotto, tra i due lembi di stoffa bianca, si riusciva ad intravedere un bustino nero di pizzo. Ma non era tutto. Dal momento che la camicetta era sottile, era palese che il suo reggiseno fosse a mezza coppa e non le coprisse i capezzoli, perché riuscivo ad intravederne il colore scuro e quanto fossero duri attraverso la stoffa. E se riuscivo a vederli io, allora- Serrai la mascella, mentre mi si induriva l’uccello nelle mutande. «Wilder,» esalò lei. Si guardò a destra e a sinistra, come a valutare le vie di fuga. Percepii, più che vedere, King arrivarmi accanto. «King,» aggiunse lei, la lingua rosa che saettava fuori a leccarle le labbra. Incrociai le braccia al petto. «Che ci fate qui?» ci chiese, la sua voce un misto tra un gemito ansimante da seduttrice e uno squittio di Minnie. Si portò le mani alla gonna, lisciandola, per quanto non ce ne fosse bisogno, poi corse alla camicetta, avvicinandone i due lembi. «Siamo gli unici a cui non vuoi far vedere i capezzoli?» domandai io, facendo un cenno col mento per indicare la sua improvvisa modestia. Mi faceva incazzare, perché tutta quella bella pelle, quelle curve floride, dovevano essere mie e di King. E lei le stava mettendo bene in mostra per chiunque. Sarah assottigliò lo sguardo e picchiettò un piede a terra. «Sono qui per la serata BDSM.» Fu il turno di King di guardarsi attorno. Vidi il modo in cui la sua mandibola ebbe uno spasmo. «Sei qui con qualcuno? Il tuo dominatore?» Non aveva un collare al collo, segno palese che non fosse stata rivendicata. L’idea che avesse un uomo accanto... un cazzo di dominatore, mi faceva vedere rosso. Sebbene fossimo solamente usciti un paio di volte, io – entrambi – ci aspettavamo una completa e totale monogamia. Ma non uscivamo assieme, al momento. Era successo mesi prima. Ero felice che King le avesse posto quella domanda, perché tutto ciò che avrei voluto fare io era gettarmela in spalla, portarmela in camera e mostrarle come due uomini potessero montarsela. Ma lei non voleva. O forse sì? La desideravo, e per più che una sveltina. Volevo tutto di lei. I suoi sorrisi, le sue lacrime. Le sue gioie e i suoi dolori. Il pacchetto completo, cazzo. Ma lei si era nascosta da noi, a quanto pareva. Ci aveva tenuto nascoste un sacco di cose, cazzo, e non intendevo quelle enormi tette che mi avrebbero più che riempito i palmi delle mani. Ci eravamo tenuti alla larga perché avevamo pensato che fosse, tipo, una verginella timida troppo imbarazzata per gestire le nostre oscure necessità, ma adesso? Decisamente no. Sembrava avere necessità più oscure. Grandi segreti. La amavo e avrei scoperto la vera Sarah, perversioni e quant’altro. E se avesse già avuto un uomo, qualcuno a darle ciò di cui aveva bisogno, allora... bene. No, non andava un cazzo bene. Ma se non altro avrei saputo la verità. Non eravamo i suoi amanti, ma mi piaceva pensare che fossimo amici. Ci meritavamo quanto meno onestà. «No... Sono amica di Rachel.» Sarah si indicò alle spalle con un pollice in direzione della donna che ci stava osservando con attenzione. Rachel ci rivolse un piccolo sorriso e agitò le dita. «Mi ha detto dell’evento e ho deciso di, uhm... darci un’occhiata.» Niente uomo. Niente dominatore. Grazie al cielo. Sospirai tra me, ma non era finita. Voleva dare un’occhiata ad una serata b**m? Questo significava- «Principessa, se volevi degli uomini che ti dominassero, bastava chiedere. Non dovevi guidare fino a qui a Bridgewater.» Lei aprì e chiuse la bocca un paio di volte come se non avesse saputo cosa dire. La chiamavamo Principessa da anni, ma in quel momento, significava qualcosa di diverso, qualcosa di più. Rachel, alle sue spalle, rise. Sebbene il mio sguardo non si spostò da Sarah, intravidi Micah appoggiarsi al bancone della reception. Non ero certo che si fosse messo lì per tenere sott’occhio Sarah – anche se sapeva che non le avremmo mai messo le mani addosso per rabbia – o per impedire a Rachel di aggirarlo per proteggere la sua amica, anche se non sembrava preoccupata. In ogni caso, ero felice che ci fosse. Era arrivato il momento di giungere al fondo di... tutto, e Micah ci conosceva, conosceva le regole dei giochi b**m. Gli occhi scuri di Sarah passarono dai miei a quelli di King e viceversa. «Uomini. Intendi- cosa?» Io sorrisi, avvicinandomi. La sua presa si strinse sulla camicetta e dovette piegare la testa all’indietro per guardarmi. «Uomini. Io e King. Per quanto ti conosciamo da una vita, sembra ci siano alcune cose che dobbiamo chiarire.» Come il fatto che la nostra donna volesse una cosa spinta. Non voleva una storia docile, come quella che le avevamo offerto. Adesso era fottutamente palese. Stava indossando un cazzo di reggiseno a coppa aperta. «Ma-» La interruppi. Ci aveva già presi in giro abbastanza. Era il momento di cambiare le cose. «Hai paura di noi?» Lei si accigliò. «Di te e King? Vi conosco da sempre. Certo che no.» «Ti fidi di noi?» aggiunse King. Lo sguardo scuro di lei si spostò sul suo. «Sì.» La sua risposta fu immediata, senza esitazioni o ripensamenti. «Micah, hai sentito?» chiesi io, guardando Sarah. «Sì,» rispose lui. «Bene.» Micah aveva sentito la fiducia che Sarah riponeva in noi, il fatto che sarebbe stata al sicuro con noi. Sebbene non le avremmo mai torto un capello, eravamo finiti nel b**m senza aspettarcelo e dovevamo seguire un certo protocollo. Micah sapeva che Sarah era con noi, che aveva condiviso verbalmente con lui e Rachel il fatto di fidarsi di noi, di non avere paura a stare con noi. Fatto. Così feci ciò che avrei voluto fare da... sempre: mi chinai e me la gettai in spalla. Mi voltai, dirigendomi verso le scale al centro della stanza che portavano alle stanze degli ospiti al secondo piano. Le sue mani mi battevano sulla schiena, mentre io le bloccavo le cosce per tenerla ferma. «Wilder!» Mi fermai a metà percorso verso la scala. «Qual è la tua parola di sicurezza, principessa?» Lei si immobilizzò e rimase in silenzio. Io attesi. Attesi ancora un po’. Non avrei fatto nulla fino a quando non avesse saputo di essere anche lei consenziente, che le avremmo dato esattamente ciò che voleva, ciò di cui aveva bisogno e nulla più. «Rosso.» Con quella singola parola, venni pervaso da un senso di sollievo. Continuando in direzione della mia stanza, con King alle calcagna, capii che nulla sarebbe mai più stato lo stesso. Avevo Sarah tra le mie braccia e non l’avrei mai più lasciata andare. Poteva dire rosso e sarebbe finito tutto, ma per una volta, avevamo chiarito le cose. E fino a quando non avesse detto quella singola parola di sicurezza, ci sarebbe appartenuta. Avrebbe fatto ciò che le avremmo detto o si sarebbe presa una bella sculacciata. L’avremmo fatta nostra, nel modo più perverso che avrebbe voluto.
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