1.

1550 Words
1. Quando Methral rientrò, Danais stava finendo di riordinare i boccali sul ripiano del salone. Nessuno li usava, tranne occasioni speciali. Erano puramente decorativi. Eppure, chissà come, alla sera Danais li trovava sempre in disordine. Forse la semplice vibrazione provocata dai passi degli avventori sull’assito li faceva spostare di pochi millimetri per volta. Era un mistero. Il Gorilla Danzante era una vecchia locanda annidata nel centro della Daron vecchia come una volpe nella sua tana. Era fatta di legno lucido e cigolante, otri di coccio, finestre a fondo di bottiglia, vecchio cuoio e muri di pietra. Era la tipica locanda aperta dalla tarda mattinata alla sera, con qualche camera per i viaggiatori al primo e al secondo piano. La camera subito sopra la cucina era quella di Danais. Nella torretta, infine, c’era un’ulteriore, piccola stanza, occupata in pianta stabile da Methral. Quando rientrò, Danais aveva appena finito di riordinare i boccali. I suoi stivali fecero cigolare l’assito. «Ah, Dana. Speravo proprio che fossi ancora in circolazione» disse Methral, vedendola. Danais sospirò. «Sì?» Lui le rivolse uno dei suoi mezzi sorrisi. Sorrisi storti e, purtroppo, efficacissimi. «Già. Sarebbe troppo tardi per un bagno?» Danais sospirò di nuovo. Un bagno, certo. A quell’ora della sera, dopo che la ragazza se n’era già andata e che il disimpegno della cucina era già stato riordinato. «Se mi dai una mano con l’acqua» cedette lei. Cedeva sempre. «È naturale. E tiro giù io la tinozza». Danais si appoggiò con un gomito al tramezzo della cucina, aspettando che lui facesse la sua parte. Methral era un’ex Guardia Reale, il corpo scelto che si occupava della sicurezza del re Nyche Baed e del palazzo. Erano tutti ragazzoni. Alti, in forma, si diceva che fossero gli uomini più belli del regno. Avevano le braccia coperte da tatuaggi intricati. Tatuaggi magici che li vincolavano a una completa fedeltà al re. Quando invecchiavano, o scalavano la gerarchia, o si riciclavano nel settore privato. Methral non era il tipo da scalare le gerarchie e una ferita in servizio gli aveva lasciato una leggera zoppia che in una guardia di pattuglia non sarebbe stata accettabile. Si era dimesso. A quarantatré anni, la sua spada era servizio del miglior offerente. O al servizio della sua mancanza di buon senso. Danais lo guardò prendere la tinozza dal chiodo a cui era appesa e piazzarla al centro del disimpegno. Poi azionò la pompa del lavatoio fino a riempire un secchio d’acqua, lo versò nella tinozza e così via fino a riempirla. Il fuoco nel camino era già spento, la stufa era appena tiepida, ma la serata non era fredda e Danais ricordava ancora qualche piccolo incantesimo. Ne usò uno per scaldare l’acqua e andò a prendere il sapone e un telo da bagno. Quando tornò, Methral era già in ammollo e i suoi vestiti formavano una pila disordinata sul pavimento. Danais posò la saponetta sul piattino di legno e gli passò la brocca. «Quindi ti sei azzuffato con Latimer» disse. Methral le lanciò uno sguardo rassegnato. «Lo sai già, eh?» «Lo sanno già tutti. Mezza città parla del duello tra le rovine dell’antica Daron. Protagonisti, il conte Leander Latimer e una ex guardia reale senza cervello». Methral si versò dell’acqua sui capelli. Sogghignò. «Le ha prese lui, però». «Sì, mi hanno detto anche questo. E umiliare un tizio con un mago privato alle proprie dipendenze ti sembra molto furbo, sì?» Methral si insaponò i capelli e se li tirò indietro con le dita. Capelli folti e scuri, che sfumavano in una barba corta e altrettanto scura. Spalle larghe e braccia muscolose. Avambracci tatuati. Sì, Methral era un bell’uomo come tutte le Guardie Reali, e lo sapeva anche. Persino l’andatura diseguale gli donava, il modo in cui le spalle ondeggiavano a ogni passo. «Conosco il suo mago. Eliphas Aura. È uno molto corretto, non si presterebbe mai». «A incenerirti per aver fatto fare la figura del fesso al suo datore di lavoro? Lo spero». Lui finì di risciacquarsi la testa. «È uno ligio alle regole, te l’ho detto». Danais sospirò ancora. «Quello che non hai detto è come siete finiti a duellare tu e il conte. Ma so anche quello, non temere». «Era più che altro una questione di— «Sh-sh» interruppe le sue giustificazioni lei. Posò il telo sul bordo della tinozza. «Me ne vado a dormire. Qua lascia tutto com’è, a svuotare la tinozza ci penserà Nesala domattina». Lui le lanciò un’altra occhiata pensierosa. «Ai tuoi ordini». Methral alloggiava al Gorilla Danzante da quattro anni, da quando si era congedato dalla Guardia Reale con una pensione puramente simbolica, una gamba malridotta e una decorazione permanente sulle braccia. Oh, potevi rimuovere i tatuaggi, pagando un mago per disfare la magia. Ma sarebbe stato come dire che non volevi più essere fedele al re, no? Nessuno lo faceva. Privo di un posto dove dormire, dopo un paio di giorni di bisboccia Methral era approdato al Gorilla Danzante. Aveva chiesto da bere e la stanza nella torretta, quella da cui si poteva tenere d’occhio tutto il vicolo. La stanza, poi, non l’aveva più mollata. Danais salì al primo piano. La sua camera era in fondo al corridoio, sopra la cucina. D’estate era troppo calda, ma d’inverno era perfetta. Ora, all’inizio della primavera, alla sera era ancora piacevolmente tiepida. Danais si sedette sul letto, si liberò degli stivaletti, della gonna e della camicia. Finì di spogliarsi, si diede una lavata usando l’acqua del bacile e andò a sedersi davanti allo specchio. Pettinò con cura i lunghi capelli ramati. Mentre lo faceva, si esaminò nel riflesso. I seni non erano più alti come una volta. Il mento era ancora fermo, ma Danais si stava avvicinando ai quaranta. Non sarebbe rimasto così per sempre. Si infilò la camicia da notte andò alla porta. Esitò un attimo con la mano vicino alla chiave, ma alla fine non chiuse. Era una sconfitta, chiaramente. Methral si era azzuffato con un nobile per un’altra donna e lei non chiudeva nemmeno la porta a chiave. Autostima, non pervenuta. Diede una scrollata di spalle e si infilò tra le lenzuola. Spense la lampada. Si addormentò, perché restare sveglia sarebbe stato troppo. Se Methral avesse salito le scale senza neanche provare a girare la maniglia, Danais preferiva non saperlo. Preferiva svegliarsi al mattino e iniziare una nuova giornata. Fare la lista della spesa con il cuoco e mandare la ragazza, Nesala, a comprare il necessario per il pranzo e per la cena. Cambiare la biancheria nelle due camere occupate del secondo piano. Usare la tinozza per lavarla. Si addormentò prima di arrivare a pianificare di stendere le lenzuola nel cortile sul retro. Era stanca, aveva lavorato come un mulo. La svegliò il materasso che si incurvava. Odore di sapone e di Methral. Lui scivolò sotto le coperte e la cinse con un braccio. «Sei sveglia?» «Una specie». Le sue labbra sul collo. La sua barba che le pungeva la pelle. Il suo corpo dietro il proprio. Danais sospirò piano, voltandosi a metà. La mano con cui Methral le stringeva la vita salì fino a uno dei suoi seni. Lo palpò. Danais si sentì percorrere da un brivido. Opporsi a quella sensazione non aveva senso. Era una delle poche cose buone che potesse darle Methral. Lui le fece risalire la camicia da notte sulle gambe. Le salì sopra e Danais lo sentì che spingeva per entrare. Lei era già pronta, era sempre pronta per lui. Piegò le ginocchia e se lo guidò dentro. Methral le affondò nella fica con un lieve grugnito. Grosso. Dicevano che fossero anche tutti grossi là sotto, i soldati della Guardia Reale. Le ragazze li assalivano. A Daron la gente aveva pochi passatempi, le giovani donne ancora meno. Chi se lo poteva permettere buttava i soldi nell’antro dell’ultimo mago alla moda, le altre cercavano uno stallone della guardia che le sbattesse un paio di volte alla settimana. Methral era troppo vecchio per trovarsi ancora le ragazze appese alle parti basse, ma volendo avrebbe potuto attingere a un vasto bacino di signore tra i trenta e i quaranta. Sfortunatamente, quella che gli piaceva era troppo in alto per uno spadaccino prezzolato e zoppo come lui. Dama Medeia Le Doux. Non gli avrebbe mai concesso niente, men che meno la sua aristocratica susina. Ma c’era pur sempre Danais, giusto? Lei gliela dava e Methral l’accettava graziosamente. Le affondò dentro, facendola gemere sottovoce. La riempì tutta. Grosso. Duro. Spinte impazienti dei fianchi. La bocca sul suo collo, le mani strette sul suo culo. Ancora. Ancora. Ogni affondo uno sfregamento delle pelvi sulle pelvi. La sua bocca che scendeva, le succhiava un capezzolo attraverso la sottile camicia da notte. I suoi denti che la mordevano. A Danais sfuggì un gemito, mentre il godimento la faceva contrarre forte attorno all’asta di lui. Methral grugnì. Cambiò ritmo. Le martellò dentro fino a svuotarsi. Danais chiuse gli occhi e si abbandonò all’orgasmo, al piacere di sentirselo sopra, di sentirselo tra le cosce. «Hai finito?» ansimò lui, puntellandosi su un gomito. Bontà sua, lo chiedeva sempre «Già». «Brava la mia ragazza». Restò fermo ancora per un attimo, riprendendo fiato. Erano così vicini che la punta dei suoi capelli sfiorava le guance di Danais. Alla fine rotolò da un lato, una mano ancora sullo stomaco di lei. Si addormentò così, dopo pochi minuti.
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