CAPITOLO UNO

1990 Words
CAPITOLO UNO Avery Black uscì dal parcheggio con la sua nuova e vistosa auto, una Ford nera a quattro porte da agente in borghese, e sorrise tra sé e sé. L’odore di macchina nuova e la sensazione del volante sotto le mani le davano un senso di gioia, come di un nuovo inizio. La vecchia BMW bianca che aveva comprato quando era avvocato, un ricordo costante della sua vita precedente, era finalmente sparita. Evvai! esultò dentro di sé, come faceva quasi ogni volta che si sedeva dietro al volante. La nuova auto aveva finestrini oscurati, cerchioni neri e sedili in pelle, ed era persino dotata di una fondina per il fucile, un computer integrato nel cruscotto e luci della polizia nella griglia, ai finestrini e negli specchietti retrovisori. Per di più, quando i lampeggianti erano spenti, sembrava un veicolo come tutti gli altri in strada. L’invidia di ogni poliziotto, pensò. Alle otto in punto andò a prendere il suo partner, Dan Ramirez. Come sempre, lui era perfetto sotto ogni punto di vista: capelli neri pettinati all’indietro, pelle abbronzata, occhi scuri e agghindato con abiti eleganti. Una camicia giallo canarino spuntava sotto la giacca cremisi. Indossava pantaloni rossi, una cintura marrone chiaro e scarpe della stessa tinta. “Dovremmo fare qualcosa stasera,” attaccò lui. “È l’ultima notte in cui siamo di turno. Sarà anche un mercoledì, ma è come se fosse venerdì.” Le fece un sorriso caloroso. A sua volta Avery sbatté le ciglia sugli occhi azzurro ghiaccio e gli lanciò un sorrisetto rapido e affettuoso, ma poi la sua espressione tornò subito impassibile. Si concentrò sulla strada e dentro di sé si domandò cosa avrebbe fatto della sua relazione con Dan Ramirez. Non che il termine ‘relazione’ fosse del tutto accurato. Da quando aveva fatto fuori Edwin Pesh, uno dei serial killer più strani nella storia di Boston, il suo partner le aveva espresso i suoi sentimenti e Avery gli aveva lasciato capire di provare un interesse simile. Le cose non erano procedute oltre. Avevano cenato insieme, si erano scambiati sguardi amorosi e si erano tenuti per mano. Ma Avery era preoccupata per lui. Sì, era affascinante e rispettoso. Le aveva salvato la vita durante il fiasco con Edwin Pesh e le era quasi sempre rimasto a fianco durante la sua convalescenza. E tuttavia era il suo partner. Si vedevano cinque giorni alla settimana se non di più, dalle otto del mattino alle sei, le sette o anche oltre, a seconda dei casi. E Avery non aveva una relazione da anni. L’unica volta che si erano baciati, le era sembrato di essere con Jack, il suo ex marito, e si era immediatamente ritratta. Controllò l’orologio del cruscotto. Erano in macchina da neanche cinque minuti e già Ramirez parlava di una cena. Devi parlargliene, capì. Ugh. Mentre si dirigevano verso l’ufficio, Avery ascoltava la frequenza della polizia alla radio, come faceva ogni mattina. All’improvviso Ramirez mise su una stazione radiofonica che dava del jazz e per qualche isolato viaggiarono ascoltando musica mescolata a un operatore della polizia che descriveva le varie attività che stavano avendo luogo a Boston. “Fai sul serio?” chiese Avery. “Che cosa?” “Come faccio a godermi la musica e ad ascoltare le chiamate? Mi confonde. Perché dobbiamo sentirli tutti e due allo stesso tempo?” “Va bene, d’accordo,” rispose lui con finto disappunto, “ma sarà meglio che riesca ad ascoltare anche la mia musica, oggi. Mi fa sentire calmo e sereno, capisci?” No, pensò Avery, non lo capisco. Odiava il jazz. Fortunatamente alla radio arrivò una chiamata che la salvò. “Abbiamo un dieci-sedici, dieci-trentadue in atto sulla East Fourth Street vicino a Broadway,” disse una stridente voce femminile. “Non sono stati esplosi colpi. Ci sono delle auto nelle vicinanze?” “Violenza domestica,” disse Ramirez, “e il tizio ha una pistola.” “Siamo vicini,” rispose Avery. “Occupiamocene noi.” Girò l’auto, accese le luci e prese la ricetrasmittente. “Qui parla la detective Black,” disse, dando il suo numero di distintivo. “Siamo a circa tre minuti da lì. Rispondiamo alla chiamata.” “Grazie, detective Black,” rispose la donna, per poi darle l’indirizzo, il numero dell’appartamento e le informazioni di base. Uno dei vari aspetti di Boston che piaceva di più ad Avery erano le sue case, dei piccoli palazzetti, la maggior parte alti due o tre piani e con una struttura uniforme che dava alla città un distintivo senso di comunità. Svoltò a sinistra su Fourth Street e si avvicinò lentamente alla loro destinazione. “Questo non significa che oggi possiamo evitare le scartoffie,” sottolineò lei. “Nah, certo che no.” Ramirez scrollò le spalle. Il tono della sua voce però, insieme al suo atteggiamento e alle pile disordinate che aveva sulla scrivania, spinsero Avery a chiedersi se quella deviazione di prima mattina fosse stata una buona idea. Non servì molto lavoro investigativo per trovare la casa in questione. Un’auto della polizia, insieme a una piccola folla di persone al riparo dietro qualcosa, circondavano un edificio dipinto di blu, con le imposte dello stesso colore e il tetto nero. In piedi nel giardino davanti alla casa c’era un uomo ispanico, in boxer e canottiera. In una mano stringeva i capelli di una donna inginocchiata e piangente. Con l’altra agitava una pistola verso la folla, la polizia e la donna. “State indietro, cazzo!” gridò. “Tutti quanti! Ti vedo, laggiù.” Puntò l’arma verso una macchina parcheggiata. “Allontanati da quella cazzo di auto! Smettila di piangere!” urlò alla donna. “Continua e ti faccio saltare la testa, così impari a farmi incazzare.” Due agenti erano ai lati del cortile. Uno gli puntava contro la pistola. L’altro aveva una mano sulla cintura e un palmo sollevato. “Signore, per favore, metta già l’arma.” L’uomo prese di mira il poliziotto con la pistola spianata. “Cosa? Vuoi provarci?” disse. “Allora sparami! Sparami, figlio di puttana, e vedi cosa succede. Merda, non mi importa. Moriremo tutti e due.” “Non sparare, Stan!” gridò l’altro poliziotto. “State tutti calmi. Nessuno morirà oggi. Signore, per favore…” “Smettila di parlarmi, cazzo!” ruggì l’uomo. “Lasciatemi in pace. Questa è casa mia e questa è mia moglie. Stronza traditrice,” abbassò la voce e le spinse la canna della pistola contro una guancia. “Dovrei dare una lezione a questa lurida boccaccia del cazzo.” Avery spense le sirene e si avvicinò al marciapiede. “Un’altra poliziotta?!” fremette l’uomo. “Siete peggio degli scarafaggi. Va bene,” disse con tono calmo e determinato. “Oggi qualcuno morirà. Non mi riporterete in prigione. Potete tornarvene tutti a casa, o qualcuno ci rimetterà la pelle.” “Non morirà nessuno,” disse il primo agente, “per favore. Stan! Abbassa la pistola!” “Neanche per sogno,” gridò il suo partner. “Maledizione, Stan!” “Rimani qui,” disse Avery a Ramirez. “Col cazzo!” affermò. “Sono il tuo partner, Avery.” “Va bene, ma ascolta,” disse lei. “Altri due poliziotti e questo posto si trasformerà in un bagno di sangue. Stai calmo e fai quello che ti dico.” “E cioè?” “Seguimi e basta.” Avery uscì dall’auto. “Agente,” ordinò al poliziotto con l’arma puntata, “metti giù la pistola.” “Chi cazzo sei?” chiese lui. “Già, chi cazzo sei tu?” volle sapere l’aggressore ispanico. “Tutti e due, allontanatevi dalla zona,” disse Avery ai due agenti. “Sono la detective Avery Black dell’A1. Qui ci penso io. Vale anche per te,” ordinò a Ramirez. “Mi hai detto tu di seguirti!” gridò lui. “E ora ti sto dicendo di allontanarti. Torna alla macchina. Tutti quanti, via di qui.” L’agente con la pistola sputò e scosse la testa. “Maledetta burocrazia,” disse. “Cosa vuoi? Solo perché sei apparsa in qualche giornale credi di essere una super poliziotta o qualcosa del genere? Beh, lo sai che c’è? Non vedo l’ora di vedere come te la cavi, super poliziotta.” Con lo sguardo sull’aggressore, sollevò la pistola e indietreggiò fino a quando non svanì dietro un albero. “Fai pure.” Il suo partner lo seguì. Non appena Ramirez fu di nuovo sull’auto e gli altri agenti furono abbastanza lontani, Avery si fece avanti. L’uomo ispanico sorrise. “Guarda qua,” disse e puntò la pistola. “Sei la poliziotta dei serial killer, giusto? Ottimo lavoro, Black. Quel tizio era fuori di testa. Lo hai conciato per le feste. Ehi!” gridò alla donna in ginocchio. “Piantala di agitarti. Non vedi che sto cercando di parlare?” “Che cosa ha fatto?” chiese Avery. “La maledetta puttana si è scopata il mio migliore amico, ecco cosa ha fatto. Non è vero, troia?” “Accidenti,” commentò Avery. “Che crudeltà. Ha mai fatto una cosa del genere prima?” “Sì,” ammise lui. “In effetti ha tradito il suo ultimo uomo per me, ma merda, io questa puttana l’ho sposata! Questo dovrebbe valere qualcosa, giusto?” “Certo,” confermò Avery. Lui era di corporatura snella, con un volto lungo e senza denti. Lanciò un’occhiata all’audience crescente, poi guardò Avery come un bambino colpevole e sussurrò: “Non è una bella situazione, vero?” “No,” rispose Avery. “Proprio no. La prossima volta è meglio se te ne occupi dentro casa tua. E senza fare rumore,” disse piano facendo un passo in avanti. “Perché ti stai avvicinando?” chiese lui con un sopracciglio inarcato. Avery scrollò le spalle. “È il mio lavoro,” disse come se fosse un compito sgradevole. “Per come la vedo io tu hai due possibilità. La prima: vieni con me tranquillamente. Hai già sbagliato. Troppo rumore, troppo pubblico, troppi testimoni. Nel peggiore dei casi, lei sporge denuncia e ti devi trovare un avvocato.” “Lei non denuncerà proprio nessuno,” disse. “Non lo farà, piccolo. Non lo farò!” promise lei. “Se lei non ti denuncia, si tratta comunque di aggressione aggravata, resistenza all’arresto e qualche altra piccola infrazione.” “Finirò in prigione?” “Sei già stato arrestato prima?” “Sì,” ammise lui. “Cinque anni per tentato omicidio colposo.” “Come ti chiami?” “Fernando Rodriguez.” “Sei ancora in libertà vigilata, Fernando?” “Nah, è finita due settimane fa.” “Ok.” Lei rifletté per un momento. “Allora probabilmente dovrai stare dietro le sbarre fino a quando la situazione non sarà conclusa. Forse un mese o due?” “Un mese?!” “O due,” ripeté. “Andiamo, diciamoci la verità. Dopo cinque anni non è niente. La prossima volta, tieni la cosa per te.” Lei gli era proprio davanti, abbastanza vicino da disarmarlo e liberare la vittima, ma l’uomo si stava già calmando. Avery aveva già visto gente come lui quando aveva avuto a che fare con certe gang di Boston, uomini che erano stati frustrati tanto a lungo da esplodere per il minimo problema. Ma alla fine dei conti, quando veniva data loro la possibilità di rilassarsi e di fare il punto della situazione, la loro storia era sempre la stessa: volevano solo essere rassicurati, aiutati e che qualcuno li facesse sentire come se non fossero stati soli al mondo. “Eri un avvocato, vero?” chiese l’uomo. “Sì.” Lei scrollò le spalle. “Ma ho fatto uno stupido errore e la mia vita è andata in malora. Non fare come me,” lo avvisò. “Chiudiamola qui.” “E lei?” indicò la moglie. “Perché vuoi stare con una come lei?” chiese Avery. “La amo.” Avery strinse le labbra e gli lanciò uno sguardo di sfida. “Questo ti sembra amore?” La domanda sembrò turbarlo sinceramente. Con le sopracciglia aggrottate, spostò lo sguardo da Avery alla moglie e poi di nuovo ad Avery. “No,” disse, e abbassò la pistola. “Non è così che si ama.” “Ti dico una cosa,” disse Avery. “Dammi la pistola e lascia che questi ragazzi ti portino dentro con calma, e ti faccio una promessa.” “Che promessa?” “Prometto che verrò a vedere come stai e mi accerterò che tu sia trattato bene. A me non sembri una cattiva persona, Fernando Ramirez. Sembri solo qualcuno che ha avuto una vita difficile.” “Non ne hai idea,” disse. “No,” fu d’accordo lei. “Non ce l’ho.” Gli tese una mano. Lui lasciò andare l’ostaggio e le consegnò la pistola. Immediatamente la moglie scattò attraverso il cortile e corse verso la salvezza. Il poliziotto aggressivo che era stato pronto ad aprire il fuoco si avvicinò con un’espressione rabbiosa di gelosia malamente trattenuta. “Ora me ne occupo io,” sbuffò. Avery lo guardò fisso negli occhi. “Fammi un favore,” sussurrò. “Smettila di comportarti come se fossi migliore della gente che arresti e trattalo come un essere umano. Potrebbe esserti d’aiuto.” Il poliziotto arrossì per la collera e sembrò pronto ad avanzare e a distruggere l’atmosfera tranquilla che Avery aveva creato. Fortunatamente il secondo agente aveva raggiunto l’uomo ispanico e lo stava trattando con gentilezza. “Ora la ammanetterò,” disse piano. “Non si preoccupi. Mi accerterò che venga trattato come si deve. Deve leggerle i suoi diritti, va bene? Ha il diritto di rimanere in silenzio…” Avery indietreggiò. L’aggressore ispanico alzò lo sguardo. I due si fissarono negli occhi per un istante. Lui le fece un cenno di gratitudine con il capo e Avery rispose allo stesso modo. “Prima dicevo sul serio,” ribadì, per poi girarsi e andarsene. Ramirez aveva un grande sorriso sul volto. “Merda, Avery, è stato davvero sexy.” Quel flirt turbò Avery. “Mi fa schifo quando i poliziotti trattano i sospettati come animali,” disse, e si voltò per guardare l’arresto. “Scommetto che si potrebbero evitare metà delle sparatorie di Boston con un po’ di rispetto.” “Forse se ci fosse un commissario donna come te al comando,” scherzò lui. “Forse,” rispose, e rifletté seriamente sulle implicazioni. Il suo walkie-talkie si attivò. Sopra i rumori di fondò si udì la voce del capitano O’Malley. “Black,” disse. “Black, dove sei?” Lei gli rispose. “Sono qui, Capitano.” “D’ora in avanti tieni il telefono acceso,” disse lui. “Quante volte te lo devo dire? E vai al Boston Harbor Marina su Marginal Street, a East Boston. Abbiamo un problema.” Avery si accigliò. “East Boston non è il territorio dell’A7?” chiese. “Non importa,” rispose il capitano. “Molla qualsiasi cosa tu stia facendo e vai là il più in fretta possibile. C’è stato un omicidio.”
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD