Capitolo 1

1107 Words
Capitolo 1 L’Agente Speciale Riley Paige restò immobile, scioccata da quello che vedeva. Davanti a lei, sul suo letto c’era una manciata di ciottoli, che non avrebbero dovuto essere lì. Qualcuno doveva essersi intrufolato in casa sua, per posizionarli, qualcuno che intendeva certamente farle del male. Capì all’istante che i sassolini erano un messaggio e riconobbe la firma di un vecchio nemico, che le stava facendo sapere di non essere morto. Peterson è vivo. Sentì il suo corpo tremare al solo pensiero. Lo aveva sospettato a lungo ed ora ne era assolutamente certa. Ma ora c’era qualcosa di peggio: era entrato in casa sua. Questo pensiero le fece venire voglia di vomitare. Ma era ancora lì ora? La paura le mozzò il respiro. Riley era consapevole di non essere in grande forma. Nelle ultime ore era già sopravvissuta ad un terrificante incontro con un killer sadico e ne portava ancora i segni: la testa era fasciata, aveva graffi ovunque sul corpo. Sarebbe stata in grado di affrontare Peterson, se si fosse trovato all’interno della sua casa? Riley mise immediatamente mano alla fondina della pistola ed estrasse l’arma. Con mani tremanti, si avvicinò all’armadio e lo aprì. Non c’era nessuno all’interno. Controllò sotto il letto. Anche lì nulla. La donna restò lì, costringendosi a pensare con lucidità. Era rimasta in camera da letto da quando era rincasata? Sì, aveva riposto la fondina sul comò vicino alla porta. Ma non aveva acceso la luce, e non si era nemmeno guardata intorno. Era semplicemente entrata, aveva poggiato l’arma sul comò, poi era andata in bagno, a indossare la camicia da notte. Il suo nemico poteva essere rimasto nascosto in casa per tutto il tempo? Dopo che lei ed April erano tornate a casa, avevano chiacchierato e guardato la televisione fino a notte fonda. Poi, la figlia era andata a letto. In una casa piccola come la sua, restare nascosti richiedeva un’incredibile abilità. Ma non poteva escludere questa possibilità. Poi, una nuova paura la assalì. April! Riley afferrò la torcia che teneva sul comodino. Con la pistola nella mano destra e la torcia in quella sinistra, uscì dalla camera da letto e accese la luce del corridoio. Non sentendo nessuno strano rumore, corse verso la camera di April e aprì la porta. La stanza era immersa nel buio. Riley accese la luce centrale. La ragazza era già a letto. “Che cosa succede, mamma?” April chiese, strizzando gli occhi, sorpresa. La madre entrò nella stanza. “Non alzarti dal letto” le raccomandò. “Resta dove sei.” “Mamma, mi stai spaventando” April rispose con voce tremante. Non poteva farne a meno, pensò Riley, che era a sua volta molto spaventata. Ed April aveva tutti i motivi di esserlo quanto lei. Raggiunse l’armadio di April, puntò la torcia e controllò all’interno: nulla. Neppure sotto il letto della figlia c’era la minima traccia. Che cosa doveva fare ora? Controllare ogni nicchia ed ogni angolo della casa, pensò. Riley sapeva quello che il vecchio partner, Bill Jeffreys, avrebbe detto. Dannazione Riley, chiama aiuto. Di solito cercava di fare le cose da sola e questo aveva sempre fatto infuriare Bill. Ma stavolta, avrebbe seguito il suo consiglio. Con April in casa, Riley non poteva fare diversamente “Metti un accappatoio e un paio di scarpe” disse alla figlia. “Ma non lasciare questa stanza — non ancora.” Riley tornò nella propria camera e prese il telefono dal comodino. Digitò il numero della linea diretta dell’Unità d’Analisi Comportamentale. Non appena sentì una voce in linea, sibilò: “Sono l’Agente Speciale Riley Paige. Qualcuno si è introdotto in casa mia. Potrebbe essere ancora qui. Ho bisogno di supporto prima possibile.” Pensò per un secondo, poi aggiunse: “E mandate la scientifica.” “Provvediamo immediatamente” fu la secca risposta. Riley interruppe la telefonata, e uscì di nuovo nel corridoio. Ad eccezione delle due camere da letto e del corridoio, la casa era ancora buia. Peterson poteva essere ovunque, nascosto, in attesa di attaccare. Quell’uomo l’aveva colta di sorpresa una volta ed era quasi morta per mano sua. Riley iniziò ad ispezionare la casa con efficienza professionale: man mano che avanzava, accendeva le luci, tenendo sempre la pistola pronta a sparare, puntava la torcia in ogni angolo buio ed ispezionava ogni mobile. Infine, alzò lo sguardo al soffitto del corridoio. La botola sopra di lei portava alla soffitta ma occorreva abbassare la scala che conduceva al suo interno. Avrebbe osato salire lassù a dare un’occhiata? In quel momento, Riley sentì le sirene delle auto della polizia e sospirò di sollievo. L’Agenzia doveva aver allertato la polizia locale, il quartier generale era a più di un’ora di distanza da casa sua. Andò in bagno, indossò un paio di scarpe e la vestaglia, poi tornò in camera di April. “Vieni con me. E stammi vicina” le raccomandò Sempre con la pistola in pugno, Riley passò il braccio sinistro intorno alle spalle della figlia. La povera ragazza tremava per la paura. Riley la condusse alla porta d’ingresso, e l’aprì nel momento in cui numerosi agenti di polizia, in uniforme, si stavano avvicinando al marciapiede. Il comandante entrò in casa, con la pistola in mano. “Qual è il problema?” chiese. “C’era qualcuno in casa” Riley rispose. “Potrebbe essere ancora dentro.” Il poliziotto guardò la pistola che lei aveva in mano, con imbarazzo. “Sono dell’FBI” disse Riley, rispondendo alla domanda che ancora non era stata formulata. “Gli agenti del BAU saranno qui presto. Ho già perquisito la casa, tranne la soffitta.” Aggiunse, facendo un cenno alle sue spalle. “C’è una botola nel soffitto, lì nel corridoio.” Il poliziotto chiamò: “Bowers, Wright, venite qui e andate a controllare la soffitta. Gli altri cerchino fuori, sul retro e davanti alla casa.” Bowers e Wright andarono dritti nel corridoio e tirarono giù la scala. Entrambi impugnavano le pistole. Uno aspettò in fondo alla scala, mentre l’altro salì in alto e accese la luce. In pochi momenti, l’uomo sparì nella soffitta. Presto, si sentì gridare: “Non c’è nessuno qui.” Riley avrebbe voluto sentirsi sollevata alla notizia. Ma la verità era che aveva sperato con tutta se stessa che Peterson fosse stato lì. Avrebbero potuto arrestarlo lì, immediatamente — o, meglio ancora, ucciderlo. Dubitava molto che si trovasse in cortile o sul retro. “Ha una cantina?” chiese il capo. “No, solo un tunnel di servizio” Riley rispose. Il poliziotto chiamò fuori: “Benson, Pratt, controllate sotto la casa.” April, spaventatissima, era ancora aggrappata alla madre. “Che cosa succede, mamma?” chiese. Riley esitò. Per anni, aveva evitato di raccontare ad April il brutto del suo lavoro. Ma di recente si era resa conto di essere diventata iperprotettiva. Perciò, aveva raccontato alla figlia di come fosse stata imprigionata da Peterson e delle sofferenze che aveva subito — o, almeno, le aveva confidato quello che aveva pensato April fosse in grado di gestire. Le aveva anche rivelato che dubitava della morte di quell’uomo. Ma che cosa avrebbe dovuto dire ad April ora? Non lo sapeva. Prima che Riley riuscisse a formulare una risposta, April disse: “E’ Peterson, non è vero?” Riley strinse forte sua figlia, provando a nascondere il tremore che avvolgeva tutto il corpo della ragazza. “Lui è ancora vivo.”
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