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2413 Words
1. La villa di Talisman era in cima alla collina, ma dalla città era impossibile vederla a causa del bosco che la circondava. Il bosco era perlopiù un castagneto. Demanio privato, ma non recintato. Talisman sembrava accontentarsi che nessuno potesse costruire attorno a casa sua, non aveva nulla contro chi andava con la famiglia a raccogliere funghi o castagne, in autunno, o semplicemente a passeggiare. Si limitava a tenere il bosco pulito come prescrivevano le norme forestali, e a non vendere un terreno che si faceva più prezioso di giorno in giorno per la sua vicinanza alla città. Eppure, come facevano notare gli speculatori edilizi delusi, il parco privato della villa sarebbe bastato da solo a rendere la sua residenza seclusa come piaceva a lui. Talisman non aveva mai ribattuto a questi commenti. D’altronde non ne aveva bisogno. Queste furono le prime cose che dissero a Maggie Honeyville sul loro benefattore quando lei iniziò a lavorare alla Cornwell Children’s Clinic. La CCC, come tutti la chiamavano familiarmente, era una specie di paradiso, se si poteva definire paradiso un luogo che ospitava decine di bambini sofferenti. Ma era un paradiso perché era stato creato per alleviare le loro sofferenze e per curarli se era possibile. Era un paradiso perché, pur essendo una struttura privata, godeva delle generose donazioni di Talisman, cosa che consentiva di ricoverare anche i bambini più poveri e senza un’assicurazione. Infine era un paradiso perché il personale aveva sempre la strumentazione più all’avanguardia, i turni erano modulati sulle tue necessità, l’ambiente era arioso e moderno, tanto da non sembrare neppure un ospedale, e le persone erano rilassate, bendisposte le une verso le altre. Maggie veniva da un grosso ospedale di Chicago, uno dei migliori. Là i turni erano massacranti e tutti sfogavano la frustrazione sugli interni e sui tirocinanti, spesso per fare un esame servivano ore e se i pazienti non avevano una buona assicurazione venivano accompagnati alla porta. Entrare alla CCC non era stato facile. Come molte cliniche senza problemi di budget, voleva che il suo personale avesse un curriculum impeccabile. Maggie era stata una dei migliori della sua specialità, anestesia e rianimazione, e la sua storia professionale era senza macchia, ma come si era presto resa conto alla CCC quelli erano considerati i requisiti minimi per venir presa in considerazione. Cornwell, il direttore, aveva una sua visione della medicina e voleva che tutti quelli che lavoravano nella sua clinica, dai primari ai barellieri, comprendessero che i loro giovani pazienti e le loro famiglie erano la cosa più importante. Cornwell non voleva che per te i sintomi fossero intriganti enigmi: voleva che fossi il tipo di persona che si preoccupa per i suoi assistiti. Voleva che ti importasse. Voleva che ci mettessi il cuore. Maggie aveva capito quasi subito di adorare quell’uomo. Sì, la CCC era una specie di paradiso, anche se il modo in cui dipendeva dai soldi di Talisman, quando iniziavi a capire l’entità degli stanziamenti, era un po’ inquietante. Se il filantropo che li teneva a galla fosse morto senza lasciare alla clinica nulla? Se avesse cambiato idea? Se i suoi eredi fossero stati di un altro avviso? Maggie continuò a farsi queste domande in silenzio finché la responsabile medica non la chiamò per comunicarle che Talisman sarebbe diventato suo paziente. E molto presto. +++ «Domani o dopodomani il Oliver opererà un paziente molto particolare» andò subito al punto Katherine Eddowes. Alla CCC i medici e gli infermieri si chiamavano tutti per nome: Oliver era il dottor Oliver Tsasinski, un chirurgo di riconosciuta bravura. «Talisman». Ora, la loro era una clinica pediatrica, quindi Maggie fece un’espressione piuttosto perplessa. «Verrà qua per motivi di riservatezza. Tutti sanno che è una specie di recluso». «Io no, non lo sapevo» ammise Maggie. «Lo sento sempre nominare – e so che è uno dei principali sostenitori della clinica – ma non so chi sia. Talisman è il suo cognome?». «Mh-mh. Eli Talisman. Nessuno lo chiama “signor Talisman”, ovviamente, ma nessuno lo chiama neppure “Eli”». «Be’, sì, “signor Talisman” ha un suono bizzarro. D’altronde “dottoressa Honeyville”...» Risero entrambe, perché il cognome mieloso di lei era regolarmente oggetto di ilarità tra i loro piccoli pazienti. «Sì, è una specie di recluso» confermò Kathy. «Sono anni che non mette il naso fuori di casa, o così dicono. Magari va in spiaggia tutti i fine settimana, ma nessuno ne sa nulla». «Sì, anch’io ho sentito dire che non esce. Forse è malato». «Forse ha qualche disabilità. O deformità. Si suppone che sia per questo che non vuole vedere nessuno, a parte il riservatissimo personale della sua villa». «Oppure è agorafobico». «Possibile». «È anziano?». Per qualche motivo pensava che fosse anziano. «Talisman? No, avrà al massimo una quarantina d’anni. I suoi genitori sono morti quando era piuttosto giovane... loro non se ne stavano tappati in casa, erano sempre sui giornali. Lui no, assolutamente. Tutto il contrario. Non credo di aver mai visto una sua fotografia». «Misterioso». Aveva delle altre domande, ma non sapeva se fosse il caso di farle a quella che, in fondo, era la sua responsabile. «Dai, chiedi» sorrise Kathy. «Almeno eviterai gaffe». «Eviterò... oh, sarò la sua anestesista, eh?». «Già». «Allora, senti... da dove gli vengono tutti i soldi che ha?». «Famiglia, ovviamente. In origine avevano il petrolio. Poi una banca. Le ultime due generazioni avevano solo la grana investita nei posti giusti, suppongo. E per quel che ne so non la distribuivano a destra e a manca. Certo, qualche donazione per motivi fiscali, ma non come lui». «Sì, so che è un filantropo». «Ogni anno dona milioni e milioni. Meno di quanto guadagna, si presume, ma comunque delle cifre immense. E non mette mai il naso fuori di casa per dare un’occhiata a quello che ha regalato alla gente». «Chissà perché. Dev’essere infelice, poverino». Kathy si strinse nelle spalle. «Non voglio essere superficiale, ma con tutti i soldi che ha che cosa può renderlo tanto infelice?». «Avrà davvero una deformità. A questo proposito, per che cosa si opera?». Kathy prese una cartella. «Ernia diaframmatica. Mark l’ha visitato a domicilio stamattina e gli ha fatto un’ecografia con l’ecografo portatile. Come abbiamo già chiarito, Talisman esce di casa molto malvolentieri e con tutti i soldi che dona al nostro ospedale... be’». «Capisco». «In realtà io no» ammise lei, passandosi una mano tra i capelli grigio ferro. «In città ci sono altri ospedali – ospedali per adulti – e sono sicura che sarebbero più che felici di dargli tutta la privacy che desidera, ma a quanto pare Talisman ha scelto il nostro perché è il più vicino alla sua villa». «Dev’essere agorafobico» ripeté Maggie. «Forse. Di sicuro ha un’ernia diaframmatica acquisita. Mark me l’ha descritto come “laconico”, ma sai quanto sia laconico anche Mark. Non sono riuscita a sapere come si sia procurato l’ernia». «E lo opera Oliver domani o dopodomani». «Sarebbe meglio domani, ma dipende da te. Oggi pomeriggio dovresti fargli una visita a domicilio e capire se ci sono problemi a operarlo in anestesia generale. Massima riservatezza. Neppure i nostri colleghi devono sapere della cosa». «Wow. Quindi lo vedrò, eh?». Kathy le rivolse un sorriso divertito. «Già. Fammi sapere se ha qualche strana deformità». +++ Maggie e Chandraj erano sulle spine. Chandraj era il tecnico che avrebbe effettuato un elettrocardio a quel paziente così particolare con l’elettrocardiografo portatile. «È tutto stranissimo, no?» disse, mentre Maggie guidava verso la cima della collina. «Direi. Anche se in fondo è solo una visita preoperatoria a domicilio». «Ecco... hai mai fatto una visita preoperatoria a domicilio?». «Be’, no. No, se il paziente non può muoversi di solito lo portano da noi in ambulanza. Ma sono anni che non faccio una preoperatoria neppure su un paziente adulto». Chandraj deglutì. «Può essere un problema?». «No. Controllerò solo con più attenzione i dosaggi» lo rassicurò Maggie. Si fermò davanti al cancello di ferro battuto della recinzione esterna della villa. Avevano attraversato il bosco ed erano ormai quasi arrivati. In effetti dalla clinica era molto vicino. Un po’ stranita, Maggie stava per scendere dalla macchina e cercare un citofono (non sembrava esserci), quando il cancello iniziò ad aprirsi davanti a loro. «Ci avranno visti arrivare. Ci saranno delle telecamere» disse Chandraj, in tono incerto. «Vero?». «Sono sicura di sì. Ma, okay... il cancello che si apre da solo fa un po’ castello di Dracula». In realtà nulla assomigliava al castello di Dracula, dopo il cancello. Non la strada ben curata che serpeggiava tra gli alberi, non il parco della villa, o il giardino fiorito, o la villa stessa. Quest’ultima era un edificio di inizio Novecento a ferro di cavallo, con la facciata chiara decorata da bassorilievi Art Nouveau. La strada passava davanti all’edificio principale per poi costeggiarlo, ma fu davanti al grande portone che un giovanotto in livrea fece segno a Maggie di fermarsi. «La parcheggio io, dottoressa. Entrate pure. Siete attesi». E poi, sulla porta stessa comparve quello che sembrava nettamente un maggiordomo. +++ Talisman andò loro incontro nella balconata del primo piano. L’interno della villa sembrava uscito da un film sulla nobiltà europea. Il salone principale, al centro del pian terreno, occupava in altezza due elevazioni ed era circondato da un balcone o roba del genere. Su quel balcone, loggiato o quel che era si aprivano le porte di varie stanze e diversi corridoi. Maggie non fece caso a niente di tutto questo, colpita invece dal loro ospite. Anche lui sembrava uscito da un film sulla nobiltà europea. Il viso delicato, patrizio, alabastrino, dalla fronte alta e dal naso tagliente, sottilissimo e un po’ aquilino... i capelli tirati all’indietro, grigi nonostante la giovane età (non doveva arrivare ai quaranta)... l’atteggiamento eretto, la costituzione snella, l’altezza... per non parlare della veste da camera di raso che indossava sopra un pigiama di seta, la prima bordeaux, il secondo blu, e delle pantofole di pelle bordeaux finemente lavorate. Se aveva una deformità, in quel momento non era visibile. «Grazie per essere venuti» disse, con un inconfondibile accento da scuola privata. E con gentilezza, notò Maggie, e un certo calore. Dopo averlo detto prese silenziosamente aria, segno che aveva i problemi polmonari tipici delle ernie diaframmatiche. «Sono Eli Talisman» disse, tendendo la mano prima verso di lei. «Piacere di conoscervi». «Maggie Honeyville. Sarò la sua anestesista, signor...» «Niente “signor”, per favore» la interruppe lui, con un sorriso mite. Poi chiuse gli occhi e prese di nuovo aria. Maggie si chiese se non provasse dolore. La risposta più probabile era “sì”, ma riusciva a non dimostrarlo in alcun modo. «Sarò la sua anestesista, Talisman. Ho portato con me il signor Narayan perché ho bisogno di farle un elettrocardiogramma, oltre che qualche domanda». «Certo». Un lento respiro. «Da questa parte, prego». Li precedette appunto lungo uno dei corridoi. Camminava con una certa fatica, in modo rigido, ma il portamento si intuiva lo stesso. Era dritto come un fuso. Li guidò attraverso una serie di ambienti elegantissimi, fino a una camera altrettanto elegante, dominata a un letto di legno intagliato, coperto da un copriletto color avorio con ricamato un motivo a onde. «Se preferisce il signor Narayan può farle l’elettrocardiogramma e io posso intervistarla dopo» disse Maggie, cercando di dimostrarsi rispettosa della sua privacy. Talisman le rivolse un sottile sorriso. «Non sono un amish». Un lungo respiro. «Il mio senso del pudore è del tutto normale». «Mi scusi, non intendevo...» borbottò lei. «Ma è stato un pensiero gentile». Un lungo respiro. «Posso sdraiarmi?». Chandraj iniziò a preparare l’elettrocardio portatile, collegandolo a una presa di corrente e tirando i sensori fuori dalla loro valigetta. Spiegò al loro paziente che era sufficiente che si denudasse il torace e Talisman si sfilò lentamente la vestaglia, si sbottonò il pigiama e posò entrambi sul letto. Poi si stese con movimenti lenti e cauti. Sul torace e sulle braccia erano visibili diverse ecchimosi, tra cui una particolarmente estesa all’altezza del diaframma. Aveva senso. Un’ernia diaframmatica acquisita implicava che il suo diaframma si fosse bucato in qualche modo e che uno degli organi interni al di sotto (di solito lo stomaco) si fosse in parte infilato nell’apertura, togliendo spazio ai polmoni. A giudicare dal suo stato generale doveva essere una piccola ernia, altrimenti non sarebbe stato in grado di muoversi e parlare. Chandraj lo preparò per l’elettrocardiogramma disponendogli i sensori sul petto e gli elettrodi a pinza ai polsi. Nel frattempo Maggie prese il suo taccuino. «Talisman, ora le farò alcune domande per decidere che farmaci usare per anestetizzarla durante l’intervento». Lui annuì una volta, spostando gli occhi grigi su di lei. «Ha o ha avuto problemi a cuore, polmoni – a parte quello attuale – o fegato? Ictus?». «No». «Diabete, pressione alta, itterizia... be’, quest’ultima direi di no». Un lieve sorriso. «No». «Ha subito trasfusioni di recente? Ha delle allergie?». «No». Poi una piccola ruga sulla fronte. «Non tollero bene i latticini». Maggie lo annotò. Nel frattempo Chandraj aveva finito e stava rimettendo via i sensori. «Qua tutto okay, Maggie» disse, mostrandole il pollice. «Grazie, Chandraj. Puoi aspettarmi qua fuori». Talisman aggrottò la fronte, ma non obiettò. Rimase steso sul letto, guardandola. Maggie si sedette sulla poltrona lì accanto, accavallò le gambe e riprese il taccuino. «Quali farmaci ha assunto nelle ultime due settimane, signore?». La fronte dell’altro si spianò. «Ah. Uhm. Antidolorifici fin da stamattina. Ritalin». Maggie prese nota. «Sostanze stupefacenti?». Talisman ci pensò per qualche secondo. Poi emise una risatina. «No. Non sono un tipo... da festa». Sorrise anche lei. «Dovevo chiedere. Come anche: ha usato in modo prolungato farmaci anticonvulsivanti, oppiacei, tranquillanti o cocaina?». Lui socchiuse gli occhi. «Tutti questi, anni fa. Tranne gli anticonvulsivanti». «Okay. Ha o ha sofferto di disturbi psichiatrici? Depressione? Altri disturbi trattati farmacologicamente?». «No». Un lungo respiro. «O meglio, suppongo di sì». Un altro respiro. «Ma non trattati farmacologicamente». Respiro. «E non sono depresso». Maggie capì che avrebbe fatto bene ad accontentarsi. «Beve alcolici?». «Sì. Vino, un paio di bicchieri a pasto». «Ha mai subito interventi chirurgici importanti? O anche meno importanti?». «Appendicite». «Quindi un intervento in anestesia totale. Ha avuto problemi?». «No». «Che lei sappia nella sua famiglia c’è qualcuno che abbia avuto reazioni avverse a un’anestesia?». «Non che io sappia». Maggie chiuse il taccuino e lo mise via. «Non vedo motivo per non operarla domani mattina. Dovrebbe digiunare ed evitare di bere per le otto ore precedenti all’intervento». Lui annuì. «Va bene». Maggie lo guardò. Aveva una lieve pelle d’oca. «Vuole che la aiuti a rivestirsi?» gli chiese, gentilmente. «Se non le dispiace». «Non è un problema» sorrise lei. E non lo era davvero. Talisman era... serico, pulitissimo, senza la minima traccia di sudore. La sua pelle alabastrina copriva fasci muscolari ben disegnati e sottili, sulle braccia si vedevano le vene azzurre e in rilievo, una lievissima peluria scura... era come una cera anatomica ben chiusa: gradevole, ma quasi asettico. Maggie lo aiutò ad alzarsi e indossare la casacca del pigiama. A quel punto dava per scontato che se l’allacciasse da solo, ma lui si limitò a guardarla e Maggie capì che si aspettava che ci pensasse lei. Chissà, forse alla mattina c’era un servitore che lo vestiva come fosse un principe rinascimentale. Mentre gli abbottonava il pigiama le sue narici furono solleticate da un odore sottile, di una qualche colonia, dopobarba o bagno schiuma. Era un odore molto buono, per nulla lezioso, ma neppure particolarmente maschile. «Che cos’è questo?» chiese, alzando il naso verso di lui. Talisman inarcò un sopracciglio scuro e ben disegnato. «Un pigiama?». Maggie rise. «Intendevo il profumo». «Ah. Gel doccia Bulgari. Potrebbe interferire con l’anestesia?». A Maggie servì un istante per capire che la stava prendendo in giro, dato che l’aveva detto in tono mite, ma serio. «Scusi, sono stata indiscreta». Lui aspettò che tornasse a guardarlo. «Scusi, sono stato scortese». Un lento respiro. «Fa parecchio... male». «Già, lo supponevo. Penso che potrebbe distendersi e restare disteso fino a domattina. Possiamo mandare un’ambulanza a prenderla, se crede». «Per carità, no» disse lui, senza cambiare espressione. «Seguirò il suo consiglio». Ma chiaramente intendeva seguirlo, se intendeva seguirlo davvero, solo dopo aver accompagnato fuori lei e Chandraj.
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