I-2

2344 Words
Voleva Marianna e Marianna dovette uscire nello spiazzo per consultarsi con lui. — Tuo padre mi ha fatto ammazzare una pecora: dimmi cosa devo cuocere, e se devo preparare anche il sanguinaccio. Ti avverto però che non ho il mentastro; ho solo due foglie d'alloro, eccole. Gliene fece vedere fra le dita insanguinate, e lei andò a prendere anche il sale, il cacio e un poco di pane di orzo triturato. Il tutto fu mischiato al sangue raccolto nel ventricolo della pecora, pulito come una borsa di velluto: e il ventricolo fu poi cucito con un ago di canna e messo a cuocere sotto un mucchio di cenere calda. Intanto gli uomini discutevano sul prezzo del sughero, e il padre diceva, guardando per terra poiché non sapeva mentire, che i mercanti ozieresi avevano offerto mille scudi; ma Sebastiano rideva, con gli occhi neri brillanti nel viso giallognolo, e guardava Marianna ammiccando. — Zio Berte, sapete vantarla la vostra roba! — Non è mia perché è di mia figlia! — È vostra perché è mia, — ribatté Marianna, e il padre ne fu tutto felice anche perché gli pareva che Sebastiano si beffasse un poco di lui. Marianna intanto, china sul focolare, aiutava il servo a preparare la cena; aveva sollevato rigettandole al sommo della testa le cocche del fazzoletto nero, lasciando liberi il collo bianco e la gola rosea; al riflesso del fuoco i bottoni d'oro della sua camicia, uniti da un nastrino verde, rosseggiavano come due fragole non bene mature, ed ella ogni tanto se li guardava come paurosa che si slacciassero, ma in realtà perché si accorgeva dello sguardo di Simone fisso su di lei, e ne provava un turbamento oscuro. Aveva quasi soggezione a rivolgersi a lui, che pure era stato il suo servetto; le pareva ch'egli tornasse da un viaggio in altre terre, dove era cresciuto, dov'era diventato uomo e aveva appreso tutte le cose cattive e anche le cose buone della vita, come gli emigrati che tornano dalle Americhe. Appunto per questo, però, provava anche piacere ch'egli la guardasse: era finalmente uno sguardo d'uomo che vedeva in lei solo la donna senza ricordarne il denaro. Quando la cena fu pronta ella sedette in mezzo agli uomini intorno al desco imbandito per terra davanti alla porta spalancata. Il desco era una lastra di sughero, una intera scorza spaccata e spianata di un albero; e anche i vassoi e i recipienti erano di sughero e le tazze di corno incise dai pastori; il grande servo impassibile faceva da scalco, spezzando le ossa dell'arrosto con le sue dita forti: quando ebbe fatte le porzioni spinse il tagliere davanti a Marianna dicendole con voce grave: — Metti il sale. E lei prese il sale fra le dita, e con la stessa gentilezza con cui aveva mischiato le foglie dell'alloro al sangue, lo sparse pensierosa, a testa china, sull'arrosto fragrante. Mangiavano in silenzio. La luna rossa sorgeva come un fuoco tranquillo fra i soveri laggiù in fondo alla radura, illuminando i prati con un chiarore sanguigno; la donna, col suo corsetto di scarlatto reso più vivo dalla luce della fiamma del focolare, splendeva in mezzo alle figure degli uomini come la luna fra i tronchi. Dopo l'arrosto il servo tolse il sanguinaccio di fra la cenere, lo pulì un poco, lo spaccò, e di nuovo porse il tagliere a Marianna. — Metti il sale. Pareva compiessero un rito, il servo rigido, con la barba nera quadrata di sacerdote egiziano, lei pallida e fina nel fiore di melagrano del suo corsetto. Simone fu il primo ad essere servito. — Non ti capita tutte le sere a dividere il tuo pane con donna, — disse zio Berte versandogli da bere nella tazza di corno. — E che donna! — rispose pronto Simone bevendo e guardandola; e a lei parve che il vino brillasse attraverso la tazza opaca. — Eppure anche ieri notte Simone ha mangiato con donne, e belle anche, non ignorando Marianna! — disse Sebastiano geloso. Marianna sollevò gli occhi. — Erano mie sorelle sì: sono stato a casa perché mia madre è malata. Un momento di silenzio, grave e triste: poi Marianna domandò, quieta: — Come sta adesso tua madre? — Mah, il solito male suo, al cuore. Sorelle mie sono brave, per conto loro, ma si spaventano facilmente per gli altri; così mi mandarono a chiamare, perché vedessi la madre. Il guaio è che se io vado a vederla c'è pericolo di peggio: e lei lo sa bene! La scorsa notte io non osava entrare nella sua camera; lei però disse: "il mio Simone dev'essere vicino, lo sento: fatelo entrare". Allora entrai, e lei mi pose la mano sulla testa e poi mi pregò di andarmene subito via. Mah, cose del mondo! — concluse, scuotendo un po' la testa sul collo con un gesto infantile che Marianna gli aveva osservato da ragazzo. — Mah! — sospirò anche Berte Sirca; e Sebastiano non insisté nei suoi scherzi. Solo il servo rimaneva duro, impassibile, come se nulla, tranne il suo servizio, lo riguardasse; eppure fu lui a dissipare l'ombra caduta intorno, domandando a Simone: — Tu avevi un compagno: che ne è stato? È dentro? — Dentro? — protestò Simone quasi offeso. — Finché starà con me non sarà mai preso. Tuttavia si mise a ridere, fra sé e sé, ricordando il compagno. — Un piccolo frate, così Dio mi aiuti! E come crede in Dio quello! Prega sempre e tiene un mucchio di reliquie sul petto. Vista la chiesa, di lontano, s'inginocchia, e il bello, fratelli cari, è che prega per me, non per lui! Eppoi è ricco, figlio unico: la madre è la donna più benestante di Ottanta, e gli dà tutto quello che lui vuole. Ma egli vive come un povero, e digiuna fino a farsi venire la febbre. — Così Dio mi assista, a quanto tu racconti egli è un sagrista, non un bandito, — disse Sebastiano, che guardava sempre Marianna, facendole dei cenni come per invitarla ad aiutarlo nella sua beffa; — e che ha fatto, di grazia, per uscire nel bosco? Ha ucciso un gatto? Simone non permetteva però che si burlassero del compagno; volse in giro gli occhi divenuti metallici e raccontò gravemente. — Sua madre aveva una lite; doveva vincerla e la perdette; e non contenti di questo, gli avversari ogni notte andavano sotto le sue finestre a cantare canzoni oscene e la offendevano nel suo onore. Era vedova, non aveva nessuno che la difendesse, tranne Costantino, che era ancora un ragazzo, allora, e religioso, attaccato alla madre come una figlia femmina. E una notte si alzò e sparò un colpo di archibugio contro gli offensori di sua madre: uno di essi cadde morto. Il mio compagno voleva presentarsi alla giustizia; la madre lo consigliò a fuggire, a tenersi la sua libertà. Ed egli fuggì. Fece bene, perdio! Parlando, il petto gli si gonfiava, qualcosa di felino gli rendeva il viso più bello: gli uomini lo fissavano, approvando col capo. Solo Marianna osò replicare. — Dio solo ha il diritto di uccidere. Ma tosto fu di nuovo il servo a sviare la conversazione. — Questa mattina, saranno state le cinque, ho veduto una donna a cavallo, giù verso Funtana 'e litu: aveva un lungo cappotto d'uomo, era alta, bella: ma questo non importa. Era armata: e quando mi vide spronò il cavallo e si nascose. Credi tu, Simone, che fosse Paska Devaddis, la donna che va coi banditi di Orgosolo? Tu, la conosci? Simone non la conosceva; non aveva mai fatto parte della banda Corraine, i banditi di Orgosolo, e poneva anzi una certa cura a vivere libero, solo col giovine compagno che gli si era attaccato come un cane fedele; tuttavia era amico e ammiratore dei Corraine, e cominciò a parlarne con rispetto; e fu allora un grave discutere sul fato tragico di questa famiglia divorata dall'odio: parenti contro parenti, vecchi che vivevano solo ancora per vendicarsi, donne e fanciulli travolti dal turbine fatale; madri che vigilavano il focolare aspettando nella notte il grido che annunziava la morte d'uno dei figli e all'alba il canto del gallo che apriva una nuova giornata di sangue. — E perché tutto questo poi, — disse Marianna con la sua voce placida; — per poche monete vili! La causa prima dell'inimicizia della famiglia è stata questa: pochi denari male partiti, una eredità divisa con ingiustizia. Ahi, eppure non sono i denari a far la gente felice! Simone ribatté irritato: — Tu parli così perché stai comoda in casa tua e il bene lo hai, e tuo zio ti ha lasciato un letto di rose! Ma prova a sapere cos'è il bisogno; prova a sapere cos'è l'ingiustizia! Marianna, l'uomo ha diritto ad avere il suo: e l'uomo vero dice: il mio è mio, e guai a chi lo tocca! — Nulla è nostro sulla terra perché siamo di passaggio. Allora Sebastiano le riprese il lembo del grembiale e tirandolo e scuotendolo esclamò: — Sembri il canonico quando predicava, Marianna, cugina mia! Allora, giacché siamo di passaggio dammi gratis il sughero della tua tanca di soveri! Ah, da quell'orecchio non ci senti, fiore mio bello! — Anche il canonico, buon'anima, predicava bene, ma le chiavi le teneva strette nel pugno, — riprese Simone. — Sì, sì, Dio mi salvi, i ricchi siete tutti come i mercanti alle feste, che mettono la loro mercanzia per terra e pare la disprezzino, ma poi la vendono a più caro prezzo del solito. Che doveva rispondere, Marianna? Lasciò dire, ma di tanto in tanto guardava Simone e incontrava sempre gli occhi di lui come attenti ad aspettare il suo sguardo. Adesso egli raccontava di essere stato ultimamente a conferire appunto coi banditi di Orgosolo, per un affare che non spiegava quale; ma questo non importava; l'interessante era la narrazione del viaggio, su per il monte Santu Janne, per chine, borre, dirupi, labirinti, passaggi sotterranei, grotte e nascondigli misteriosi. — Costantino mi seguiva ansando come un cane: ci trovammo in una caverna tutta bianca che pareva di marmo; la volta era bucata e il sole entrava dentro come in un vaglio; il bello è che c'è, in fondo, un altare, un vero altare, con una croce, e un Cristo di pietra naturale, così ben fatto che sembrava vero. Ebbene, Costantino s'inginocchiò; e anch'io, dico la verità, sentii freddo alle giunture. Più sopra si attraversò una gola con un torrente profondo che d'un tratto sparisce entro un burrone come un filo d'acqua dentro un bicchiere: lassù ci aspettava Corraine. Era venuto in fretta e aveva sete; si curvò a bere e, così Dio mi salvi, parve volesse bersi tutta l'acqua di quel bicchiere profondo. — Dicono che è molto bello, Corraine, com'è? — domandò Marianna, e Simone a sua volta parve un poco geloso. — Bello?... È alto e serio. Quello piacerebbe a te, Marianna. — Perché? Non è la bellezza che fa l'uomo. Sebastiano cominciò a contare sulle dita. — Ricchezza no, bellezza no, superbia no, che cosa vuoi dunque, tu, cugina? Così lasci cadere i tuoi giorni, come quel torrente, senza sapere dove finiscono. — E a te che importa? Seguita a raccontare, Simone: quando Corraine bevette... — Quando Corraine bevette si asciugò la bocca! — E Costantino aveva paura? — Costantino non aveva paura. Di che doveva aver paura? — disse vivamente Simone, sempre pronto a burlarsi del compagno ma più pronto ancora a difenderlo dalle beffe altrui. — E allora bevi! Pare che tu, però, abbi paura più di questo piccolo che di quel grande bicchiere. Bevi, Simò! — disse bonariamente zio Sirca. Per dimostrare che neppure il vino, che è uno dei peggiori nemici del bandito, gli faceva paura, Simone bevette: e continuava a fissare Marianna, al disopra della tazza. — Marianna, e che è accaduto di te in tutto questo tempo? Non pensi a prendere marito? — Sceglie, — rispose per lei Sebastiano, — li sceglie come si scelgono le pere selvatiche in cerca di quella matura! Lei non rispose: raccolse nel cestino il pane, i piatti, il tagliere e porse tutto al servo perché sparecchiasse: poi si alzò e ripose qualche oggetto; e poiché Sebastiano scherzava dicendo che zio Berte avrebbe dovuto sposarsi con Fidela la serva del canonico, poiché era questa a impedire col suo esempio a Marianna di sposarsi, ella uscì nello spiazzo e fece alcuni passi. La notte era calda e chiara; le stelle rasenti al bosco parevano così vicine da poterle toccare, e tutto, erbe, foglie, fiori, odorava dolcemente. Marianna non si sentiva offesa per gli scherzi del cugino; solo le dispiaceva che egli parlasse così in presenza di Simone. Sebastiano uscì fuori a cercarla mentre il padre e il servo andavano di là nel recinto ov'era chiuso il bestiame, e le disse avvicinandole il viso al viso: — Non fare il broncio a Simone: tientelo amico, Marianna... — Io non ho bisogno di amici, — rispose lei aspra, tuttavia rientrò e per qualche momento si trovò sola con Simone: e gli notò sul viso e in tutta la persona, che s'era alquanto piegata, un'aria di stanchezza e di tristezza. — Bevi, Simone. Egli le afferrò il polso della mano che gli porgeva la tazza. — Marianna, così Dio mi assista, ti sei fatta bella! — mormorò: e gli occhi gli lampeggiavano felini eppure tristi, quasi supplichevoli. — Marianna, ti ricordi quando mi davi da bere, quando tornavo assiderato dall'ovile? — Pensavo appunto a questo, Simone! — Che hai pensato di me, in questo tempo? Tante volte mi passò in mente il pensiero di venirti a trovare; ma, ti dico la verità, avevo soggezione. — Soggezione di me? — Di te, perché tu sei superba. Anche allora eri superba: con me, no, però, allora, e neppure adesso. — Né allora né adesso: non ho ragione di essere superba. Bevi, dunque! — Marianna, — egli disse, prendendo la tazza con l'altra mano, senza lasciarle il polso; — sì, quando mi dissero: "Marianna è alla Serra", pensai subito: "voglio andare a trovarla". Contenta sei, di vedermi? Marianna si mise a ridere, ma tosto si rifece seria, perché lui, bevendo, non cessava di stringerle il polso; e con le dita sottili gli afferrò le forti dita aprendogliele ad una ad una per liberarsi. — Lasciami, — impose, corrugando le sopracciglia. Egli obbedì, come quando era servo. D'improvviso però ella lo vide fissare le dita al suolo come artigli, quasi volesse abbrancare la terra, e poi tendere l'orecchio ai rumori di fuori e balzare in piedi scuotendosi tutto come per liberarsi d'un mantello pesante; e di nuovo le parve un altro, – il servo affrancato che la guardava da pari a pari, spoglio della schiavitù passata. Ma rientravano gli uomini ed egli non le disse più una parola.
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