NOVEMBRE-2

2131 Words
Mia madre 10, giovedì In presenza della maestra di tuo fratello tu mancasti di rispetto a tua madre! Che questo non avvenga mai più, Enrico, mai più! La tua parola irriverente m'è entrata nel cuore come una punta d'acciaio. Io pensai a tua madre quando, anni sono, stette chinata tutta una notte sul tuo piccolo letto, a misurare il tuo respiro, piangendo sangue dall'angoscia e battendo i denti dal terrore, ché credeva di perderti, ed io temevo che smarrisse la ragione; e a quel pensiero provai un senso di ribrezzo per te. Tu, offender tua madre! tua madre che darebbe un anno di felicità per risparmiarti un'ora di dolore, che mendicherebbe per te, che si farebbe uccidere per salvarti la vita! Senti, Enrico. Fissati bene in mente questo pensiero. Immagina pure che ti siano destinati nella vita molti giorni terribili; il più terribile di tutti sarà il giorno in cui perderai tua madre. Mille volte, Enrico, quando già sarai uomo,forte, provato a tutte le lotte, tu la invocherai, oppresso da un desiderio immenso di risentire un momento la sua voce e di rivedere le sue braccia aperte per gettarviti singhiozzando, come un povero fanciullo senza protezione e senza conforto. Come ti ricorderai allora d'ogni amarezza che le avrai cagionato, e con che rimorsi le sconterai tutte, infelice! Non sperar serenità nella tua vita, se avrai contristato tua madre. Tu sarai pentito, le domanderai perdono, venererai la sua memoria; - inutilmente, - la coscienza non ti darà pace, quella immagine dolce e buona avrà sempre per te un'espressione di tristezza e di rimprovero che ti metterà l'anima alla tortura. O Enrico, bada: questo è il più sacro degli affetti umani, disgraziato chi lo calpesta. L'assassino che rispetta sua madre ha ancora qualcosa di onesto e di gentile nel cuore, il più glorioso degli uomini, che l'addolori e l'offenda, non è che una vile creatura. Che non t'esca mai più dalla bocca una dura parola per colei che ti diede la vita. E se una ancora te ne sfuggisse, non sia il timore di tuo padre, sia l'impulso dell'anima che ti getti ai suoi piedi, a supplicarla che col bacio del perdono ti cancelli dalla fronte il marchio dell'ingratitudine. Io t'amo, figliuol mio, tu sei la speranza più cara della mia vita; ma vorrei piuttosto vederti morto che ingrato a tua madre. Va', e per un po' di tempo non portarmi più la tua carezza; non te la potrei ricambiare col cuore. TUO PADRE Il mio compagno Coretti 13, domenica Mio padre mi perdonò; ma io rimasi un poco triste, e allora mia madre mi mandò col figliuolo grande del portinaio a fare una passeggiata sul corso. A metà circa del corso, passando vicino a un carro fermo davanti a una bottega, mi sento chiamare per nome, mi volto: era Coretti, il mio compagno di scuola, con la sua maglia color cioccolata e il suo berretto di pelo di gatto tutto sudato e allegro, che aveva un gran carico di legna sulle spalle. Un uomo ritto sul carro gli porgeva una bracciata di legna per volta, egli le pigliava e le portava nella bottega di suo padre, dove in fretta e in furia le accatastava. - Che fai, Coretti? - gli domandai. - Non vedi? - rispose, tendendo le braccia per pigliare il carico, - ripasso la lezione. Io risi. Ma egli parlava sul serio, e presa la bracciata di legna, cominciò a dire correndo: - Chiamansi accidenti del verbo... le sue variazioni secondo il numero... secondo il numero e la persona... E poi, buttando giù la legna e accatastandola: - secondo il tempo... secondo il tempo a cui si riferisce l'azione... E tornando verso il carro a prendere un'altra bracciata: - secondo il modo in cui l'azione è enunciata. Era la nostra lezione di grammatica per il giorno dopo. - Che vuoi, - mi disse, - metto il tempo a profitto. Mio padre è andato via col garzone per una faccenda. Mia madre è malata. Tocca a me a scaricare. Intanto ripasso la grammatica. È una lezione difficile oggi. Non riesco a pestarmela nella testa. Mio padre ha detto che sarà qui alle sette per darvi i soldi, - disse poi all'uomo del carro. Il carro partì. - Vieni un momento in bottega, - mi disse Coretti. Entrai: era uno stanzone pieno di cataste di legna e di fascine, con una stadera da una parte. - Oggi è giorno di sgobbo, te lo accerto io, - ripigliò Coretti; - debbo fare il lavoro a pezzi e a bocconi. Stavo scrivendo le proposizioni, è venuta gente a comprare. Mi son rimesso a scrivere, eccoti il carro. Questa mattina ho già fatto due corse al mercato delle legna in piazza Venezia. Non mi sento più le gambe e ho le mani gonfie. Starei fresco se avessi il lavoro di disegno! - E intanto dava un colpo di scopa alle foglie secche e ai fuscelli che coprivano l'ammattonato. - Ma dove lo fai il lavoro, Coretti? - gli domandai. - Non qui di certo, - riprese; - vieni a vedere; - e mi condusse in uno stanzino dietro la bottega, che serve da cucina e da stanza da mangiare, con un tavolo in un canto, dove ci aveva i libri e i quaderni, e il lavoro incominciato. - Giusto appunto, disse, - ho lasciato la seconda risposta per aria: col cuoio si fanno le calzature, le cinghie... Ora ci aggiungo le valigie. - E presa la penna, si mise a scrivere con la sua bella calligrafia. - C'è nessuno? - s'udì gridare in quel momento dalla bottega. Era una donna che veniva a comprar fascinotti. - Eccomi, - rispose Coretti; e saltò di là, pesò i fascinotti, prese i soldi, corse in un angolo a segnar la vendita in uno scartafaccio e ritornò al suo lavoro, dicendo: - Vediamo un po' se mi riesce di finire il periodo. - E scrisse: le borse da viaggio, gli zaini per i soldati. - Ah il mio povero caffè che scappa via! - gridò all'improvviso e corse al fornello a levare la caffettiera dal fuoco. - È il caffè per la mamma, - disse; - bisognò bene che imparassi a farlo. Aspetta un po' che glie lo portiamo; così ti vedrà, le farà piacere. Son sette giorni che è a letto... Accidenti del verbo! Mi scotto sempre le dita con questa caffettiera. Che cosa ho da aggiungere dopo gli zaini per i soldati? Ci vuole qualche altra cosa e non la trovo. Vieni dalla mamma. Aperse un uscio, entrammo in un'altra camera piccola: c'era la mamma di Coretti in un letto grande, con un fazzoletto bianco intorno al capo. - Ecco il caffè, mamma, - disse Coretti porgendo la tazza; - questo è un mio compagno di scuola. - Ah! bravo il signorino, - mi disse la donna; - viene a far visita ai malati, non è vero? Intanto Coretti accomodava i guanciali dietro alle spalle di sua madre, raggiustava le coperte del letto, riattizzava il fuoco, cacciava il gatto dal cassettone. - Vi occorre altro, mamma? - domandò poi, ripigliando la tazza. - Li avete presi i due cucchiaini di siroppo? Quando non ce ne sarà più darò una scappata dallo speziale. Le legna sono scaricate. Alle quattro metterò la carne al fuoco, come avete detto, e quando passerà la donna del burro le darò quegli otto soldi. Tutto andrà bene, non vi date pensiero. - Grazie, figliuolo, - rispose la donna; - povero figliuolo, va'! Egli pensa a tutto. Volle che pigliassi un pezzo di zucchero, e poi Coretti mi mostrò un quadretto, il ritratto in fotografia di suo padre, vestito da soldato, con la medaglia al valore, che guadagnò nel '66, nel quadrato del principe Umberto; lo stesso viso del figliuolo, con quegli occhi vivi e quel sorriso così allegro. Tornammo nella cucina. - Ho trovato la cosa, - disse Coretti, e aggiunse sul quaderno: si fanno anche i finimenti dei cavalli. - Il resto lo farò stasera, starò levato fino a più tardi. Felice te che hai tutto il tempo per studiare e puoi ancora andare a passeggio! E sempre gaio e lesto, rientrato in bottega, cominciò a mettere dei pezzi di legno sul cavalletto e a segarli per mezzo, e diceva: - Questa è ginnastica! Altro che la spinta delle braccia avanti. Voglio che mio padre trovi tutte queste legna segate quando torna a casa: sarà contento. Il male è che dopo aver segato faccio dei t e degli l, che paion serpenti, come dice il maestro. Che ci ho da fare? Gli dirò che ho dovuto menar le braccia. Quello che importa è che la mamma guarisca presto, questo sì. Oggi sta meglio, grazie al cielo. La grammatica la studierò domattina al canto del gallo. Oh! ecco la carretta coi ceppi! Al lavoro. Una carretta carica di ceppi si fermò davanti alla bottega. Coretti corse fuori a parlar con l'uomo poi tornò. - Ora non posso più tenerti compagnia, - mi disse; - a rivederci domani. Hai fatto bene a venirmi a trovare. Buona passeggiata! Felice te. E strettami la mano, corse a pigliar il primo ceppo, e ricominciò a trottare fra il carro e la bottega, col viso fresco come una rosa sotto al suo berretto di pel di gatto, e vispo che metteva allegrezza a vederlo Felice te! egli mi disse. Ah no, Coretti, no: sei tu il più felice, tu perché studi e lavori di più, perché sei più utile a tuo padre e a tua madre, perché sei più buono, cento volte più buono e più bravo di me, caro compagno mio. Il Direttore 18, venerdì Coretti era contento questa mattina perché è venuto ad assistere al lavoro d'esame mensile il suo maestro di seconda, Coatti, un omone con una grande capigliatura crespa, una gran barba nera, due grandi occhi scuri, e una voce da bombarda; il quale minaccia sempre i ragazzi di farli a pezzi e di portarli per il collo in Questura, e fa ogni specie di facce spaventevoli; ma non castiga mai nessuno, anzi sorride sempre dentro la barba, senza farsi scorgere. Otto sono, con Coatti, i maestri, compreso un supplente piccolo e senza barba, che pare un giovinetto. C'è un maestro di quarta, zoppo, imbacuccato in una grande cravatta di lana, sempre tutto pieno di dolori, e si prese quei dolori quando era maestro rurale, in una scuola umida dove i muri gocciolavano. Un altro maestro di quarta è vecchio e tutto bianco ed è stato maestro dei ciechi. Ce n'è uno ben vestito, con gli occhiali, e due baffetti biondi, che chiamavano l'avvocatino, perché facendo il maestro studiò da avvocato e prese la laurea, e fece anche un libro per insegnare a scriver le lettere. Invece quello che c'insegna la ginnastica è un tipo di soldato, è stato con Garibaldi, e ha sul collo la cicatrice d'una ferita di sciabola toccata alla battaglia di Milazzo. Poi c'è il Direttore, alto, calvo con gli occhiali d'oro, con la barba grigia che gli vien sul petto, tutto vestito di nero e sempre abbottonato fin sotto il mento; così buono coi ragazzi, che quando entrano tutti tremanti in Direzione, chiamati per un rimprovero, non li sgrida, ma li piglia per le mani, e dice tante ragioni, che non dovevan far così, e che bisogna che si pentano, e che promettano d'esser buoni, e parla con tanta buona maniera e con una voce così dolce che tutti escono con gli occhi rossi, più confusi che se li avesse puniti. Povero Direttore, egli è sempre il primo al suo posto, la mattina, a aspettare gli scolari e a dar retta ai parenti, e quando i maestri son già avviati verso casa, gira ancora intorno alla scuola a vedere che i ragazzi non si caccino sotto le carrozze, o non si trattengan per le strade a far querciola, o a empir gli zaini di sabbia o di sassi; e ogni volta che appare a una cantonata, così alto e nero, stormi di ragazzi scappano da tutte le parti, piantando lì il giuoco dei pennini e delle biglie, ed egli li minaccia con l'indice da lontano, con la sua aria amorevole e triste. Nessuno l'ha più visto ridere, dice mia madre, dopo che gli è morto il figliuolo ch'era volontario nell'esercito; ed egli ha sempre il suo ritratto davanti agli occhi, sul tavolino della Direzione. E se ne voleva andare dopo quella disgrazia; aveva già fatto la sua domanda di riposo al Municipio, e la teneva sempre sul tavolino, aspettando di giorno in giorno a mandarla, perché gli rincresceva di lasciare i fanciulli. Ma l'altro giorno pareva deciso, e mio padre ch'era con lui nella Direzione, gli diceva: - Che peccato che se ne vada, signor Direttore! - quando entrò un uomo a fare iscrivere un ragazzo, che passava da un'altra sezione alla nostra perché aveva cambiato di casa. A veder quel ragazzo il Direttore fece un atto di meraviglia, - lo guardò un pezzo, guardò il ritratto che tien sul tavolino e tornò a guardare il ragazzo, tirandoselo fra le ginocchia e facendogli alzare il viso. Quel ragazzo somigliava tutto al suo figliuolo morto. Il Direttore disse: - Va bene; - fece l'iscrizione, congedò padre e figlio, e restò pensieroso. - Che peccato che se ne vada! - ripeté mio padre. E allora il Direttore prese la sua domanda di riposo, la fece in due pezzi e disse: - Rimango.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD