TRE
Hotel Eldorado, Shreveport, Louisiana
15 agosto 2012
Mi svegliai con violenti postumi da sbornia, da imputare tanto all’umiliazione quanto alla Amstel Light e al vino del minibar, e mi ricordai di Nick nella mia camera, e di come mi ero comportata. Era difficile immaginare uno scenario peggiore di quello, ma almeno non l’avevo trovato nudo alla mia porta con una rosa tra i denti. Mi sarei alzata e mi sarei rimessa in sesto. Avrei sfoggiato il mio maglioncino verde muschio di Ellen Tracy. Avrei sistemato le cose.
Ma prima avrei controllato i messaggi, perché il mio telefono stava esplodendo. A quell’ora del mattino?
‘Dove CAVOLO sei?’ Era Emily.
‘Mi sto preparando’.
Una verità un po’ distorta, ma la regola fondamentale dei messaggi di testo era la concisione, per questo omisi qualche dettaglio.
‘Abbiamo iniziato. Muovi il sedere!’
Forse non era presto come pensavo. ‘Sto arrivando’.
Beh, farmi bella e riprendermi allo stesso tempo era ormai fuori questione, anche se non pensavo ci sarei riuscita comunque, date le circostanze, indipendentemente dalla fretta. Mi rimisi in sesto in conformità con le norme igieniche ed estetiche di base e mi unii alla conferenza di team building, giorno due. Speravo di riuscire a fingere abbastanza bene da ingannare i colleghi.
Mi fermai davanti alla porta aperta della sala riunioni e mi misi ad ascoltare il moderatore. Lo studio aveva assunto uno sdolcinato consulente per aiutarci a risolvere gli attriti fra di noi in modo positivo e costruttivo.
Buona fortuna, pensai. Mi chiesi se potesse aiutarmi a risolvere il mio ‘voglio andare a letto con il mio forse ancora sposato collega che, oh sì giusto, tra l’altro mi odia’.
Quella non era però una conferenza stile new age: il consulente era in realtà molto bravo. Quel giorno avremmo imparato come richiedere uno sforzo maggiore o minore a un collega. Ci chiese di fare coppia con il collega con cui avevamo più bisogno di costruire una relazione di lavoro efficace.
Feci la mia entrata nella sala riunioni a tema floreale. Nel giro di pochi secondi, le coppie erano formate. Analizzai la stanza per individuare i pomposi capelli biondi alla texana di Emily, sperando che mi avesse aspettato, ma era già accoppiata con il capo dei consulenti legali, prendendo l’attività troppo sul serio. Le lanciai un’occhiataccia e lei scrollò le spalle, alzando le sopracciglia, come per dire ‘non è colpa mia se mi dai buca e poi non riesci ad alzarti dal letto prima di mezzogiorno’. Sbuffai e mi misi a cercare un partner.
Mentre scrutavo la stanza, lo sguardo imperturbabile di Nick incontrò lentamente il mio. Non era una cosa positiva. Anch’io non lasciavo trasparire alcuna emozione, uno sforzo considerevole dal momento che gli snack del minibar della notte scorsa cercavano di tornare fuori. Iniziai a rivolgermi altrove, poi mi resi conto che stava venendo verso di me. Mi aspettavo che mi oltrepassasse, ma non lo fece.
Non disse nulla, così fui io a parlare. Non riuscii a trattenermi. Conducevo sempre io il gioco. Non c’era da stupirsi se mio fratello maggiore mi diceva che allontanavo gli uomini.
“Quindi, non ne hai avuto abbastanza di me?” Azzardai un sorrisetto di autocritica.
Lui non rispose al sorriso. “Sembra il modo migliore per risolvere ‘questa cosa’, così possiamo chiarirci prima di tornare in ufficio.” Agitava la mano indicando prima lui e poi me. Mi ricordava la notte appena trascorsa, e non in senso buono.
Ci sedemmo. I fiori sulla carta da parati e a terra non mi stavano risollevando il morale. I viticci della fantasia del tappeto iniziarono improvvisamente ad arrampicarsi e ad incatenarmi alla sedia per le caviglie. No, testa di rapa, è il frutto della tua immaginazione e del troppo alcol. Bleah. Snervante. Sfregai le mani sulle braccia, cercando di far sparire la pelle d’oca.
Nick lesse le istruzioni a voce alta. Dovevamo svolgere una lista di esercizi a turno. Per prima cosa dovevamo dirci a vicenda le cose che apprezzavamo l’uno dell’altra; poi, le cose di cui avevamo più o meno bisogno da parte dell’altro; e infine, cosa volevamo impegnarci a fare di più o di meno. In caso ci fossimo scordati le istruzioni, erano state stampate a caratteri cubitali e affisse a tutte le pareti. Grazie, poster, per smorzare questo incubo floreale, pensai.
“Inizia tu, Nick. Credo tu abbia bisogno di ricordare cosa ti piace di me,” dissi, in tono giocoso.
Non ricambiò, né esitò. “Apprezzo che tu sia una professionista che lavora bene e con impegno. Sei importante per lo studio.” Un commento non proprio affettuoso.
“Grazie, Nick. Nient’altro? Puoi andare avanti quanto vuoi con i complimenti.” Provai a sfoggiare un altro sorriso, con la testa inclinata a destra. Il mio lato migliore.
“Ho finito.”
La cosa stava andando alla grande.
Mentre lui aveva scelto un atteggiamento puramente professionale, io mi rifiutai di essere così impersonale. “D’accordo, allora, di te apprezzo… la creatività e il sesto senso, e l’ottima riuscita del lavoro che abbiamo svolto sul caso Burnside.” Gli risparmiai le banalità di cui trasudava l’atmosfera, come in una versione giuridica di un brutto episodio del Dr. Phil. “E apprezzo che tu non abbia con te un tovagliolo da bar, oggi.” Suggerimento, suggerimento… Forza Nick, lasciamocelo alle spalle.
Impossibile. “Adesso passiamo alla seconda parte… Più o meno bisogno di?” Si passò le mani tra i capelli. Oh oh. “Ciò che vorrei tu facessi di più è informare Gino di quando hai bisogno di aiuto da parte mia, per potercene occupare io e lui. Ciò che vorrei tu facessi di meno è…” Esitò, e poi proseguì. “… mettermi all’angolo.”
Avevo sentito male o Nick mi aveva appena scaricato? E accusato di stalking? In altre parole. Anche dopo la fine infelice della nostra serata, le ricadute professionali sembravano esagerate. Stava forse insinuando che l’avessi molestato sessualmente? In meno di un secondo, passai da zero a sessanta sulla scala della rabbia.
“Non vuoi più lavorare con me? Ti metto all’ANGOLO? Abbiamo una conversazione difficile a livello personale e tu ti rifiuti di lavorare con me?”
“Puoi abbassare la voce, per favore?” sibilò. Gettai le braccia in aria. Lo prese come un sì e continuò. “Voglio solo minimizzare i contatti,” disse. La sua voce rifletteva lo sguardo.
“Assurdo.” Nick alzò la mano, e io aumentai di nuovo il volume. “Siamo un’ottima squadra. Quando lavoriamo insieme portiamo grandi benefici allo studio. Non capisco perché lo stai facendo. Tutto a causa di ieri notte?”
Cento occhi mi stavano guardando mentre cadevo a pezzi emotivamente. No, è solo paranoia. Portai le mani al colletto per cercare di allentarlo.
“Non intendo parlare del perché. Ho solo bisogno di spazio. Se hai un problema con me, devi rivolgerti a Gino.”
Tempo di decisioni e autocontrollo. Se avessi fatto una scenata, l’avrei messo in imbarazzo e non sarei mai riuscita a rimettere le cose a posto. Avevo passato metà della notte prima a fare pace con il fatto che non ci sarebbe mai stato un ‘noi’, un ‘Nick e Katie’. Non mi piaceva l’avvocatura, ma nell’ultimo anno avevo amato avere Nick al mio fianco. Lavorare con lui era meglio di niente. Forse era anche abbastanza. Ma se me l’avesse impedito, mi sarebbero rimasti solo pensieri che volevo continuare ad ignorare.
Dovevo anche essere realistica. Ero davvero importante per lo studio. Ma il futuro ex suocero di Nick era il nostro maggior cliente. Questo screzio doveva rimanere tra di noi. Non mi sarei ‘rivolta a Gino’. Inoltre, cosa gli avrei detto? ‘Gino, Nick non vuole lavorare con me perché pensa che voglia andare a letto con lui. Fai in modo che sia gentile con me o faccio la matta’.
Misurai le mie parole. “Immagino di non avere scelta. Rispetterò le tue richieste, ma lasciami essere chiara al cento per cento: questa è una tua decisione. Non la capisco e non è ciò che voglio. Inoltre, prometto di essere sincera con te. Iniziando da adesso.” Sembrava un bell’inizio, dato che gli avevo mentito la sera prima e lui lo sapeva. “Questo mi ferisce. Mi tratti come se mi odiassi. Abbiamo avuto un momento spiacevole questo fine settimana. Penso ne dovremmo riparlare in ufficio.”
“Non la penserò diversamente,” disse Nick. Fece per alzarsi, ma lo fermai.
“Aspetta. Devo ancora dire cosa vorrei tu facessi di più e di meno.”
Si rimise a sedere. Ignorai il dolore lancinante allo stomaco e cominciai. “Vorrei che tu offrissi una mente più aperta, giudicassi meno e prendessi meno decisioni impulsive.”
“D’accordo.”
“Significa che ti impegnerai a farlo?”
“Sì, ho capito.”
Ci guardammo negli occhi per molti altri secondi. Poi Nick si alzò. Le gambe della sua sedia emisero un orribile criiiic sfregando contro il pavimento in resina. Rabbrividii. Probabilmente al momento sbagliato, a giudicare da come aggrottò la fronte e serrò le labbra. Se ne andò.
Rimasi inchiodata alla mia sedia.
Un po’ di tempo dopo – secondi? minuti? – Emily interruppe la mia imitazione di un blocco di ghiaccio.
“Terra chiama Katie. C’è la pausa. Vieni?” chiese. Il suo tono era nervoso, ma non quanto i messaggi di quella mattina.
Rivolsi lo sguardo verso di lei. Con le sue gambe lunghissime, aveva messo degli stivaletti texani e un paio di jeans, che aveva poi abbinato a una giacca in denim della Gap e a una camicetta di cotone viola. “Ehm, no, grazie. Ci rivediamo dopo qui,” dissi.
Emily uscì dalla sala riunioni con un gruppo di consulenti legali. Mi precipitai al bar. Qual era un cocktail che fosse accettabile bere alle dieci del mattino? Ordinai un Bloody Mary, un drink che non avevo mai provato. E chi lo sapeva quanto fosse buono? Il primo mi piacque, così ne ordinai un altro. Con l’aiuto del mio nuovo amico Bloody Mary, decisi che potevo rimettere le cose a posto con Nick. Solo, non riuscivo a trovarlo.
Terminata la pausa, presi Emily da parte. “Hai visto Nick?” le chiesi.
Emily sospirò. “Se n’è andato. Ho sentito che diceva a Gino di avere un’emergenza familiare.”
Che disastro.
La giornata di lavoro volse al termine. Non mi ricordo molto. Penso di aver fatto espressioni del viso e commenti opportuni quando richiesti. O forse no. La lavatrice che avevo al posto del cervello stava centrifugando pensieri su Nick.
Ad una certa ora del pomeriggio, Emily mi riaccompagnò a casa sulla mia vecchia Honda Accord color argento metallizzato. Il giorno si trasformò in notte, e la notte di nuovo in giorno, e quando mi svegliai l’indomani nel sentire la voce di mio fratello, mi ritrovai sdraiata sul divano del soggiorno.