Chapter 2

2013 Words
1. La Scozia era il mio destino, era piuttosto chiaro. Per quanto la amassi, pensavo di essermela lasciata per sempre alle spalle quando ero scappata da Inverness. Niente di più sbagliato. Dopo la nascita di Sean gli eventi si erano messi in moto a una velocità sorprendente e mi ero presto ritrovata... Vorrei dire “dove ero partita”, ma non sarebbe esatto sotto nessun punto di vista. Tanto per cominciare mi ero trovata più a nord. Se avete presente dov’è Inverness, potete capire la gradevolezza. Ma dire “più a nord” non rende ancora l’idea. Mi ero ritrovata su una minuscola isoletta delle Orcadi, dimenticata da Dio e dagli uomini, disabitata, battuta dal vento, circondata da un mare per niente balneabile e praticamente priva di ogni comfort. No, anzi. Scusatemi per le continue precisazioni, ma quell’isola non era “praticamente” priva di ogni comfort. Era completamente priva di ogni comfort. C’era un faro, punto. Il faro era totalmente automatico, quindi non ci metteva piede nessuno per mesi e mesi. Ah, e c’era un antico insediamento dei Pitti, che poi, se ve lo state chiedendo, erano quattro pietre in croce, per quanto antiche. Quello era il posto infernale in cui io e Sean eravamo stati trasferiti, “per la nostra sicurezza” circa un mese dopo il parto. Con noi c’erano sempre tre lupi e almeno un vampiro. Tutto questo perché mio figlio era così particolare da essere unico e se solo gli Osservatori gli avessero messo le mani sopra lo avrebbero... be’, vivisezionato, conoscendoli. Sean. Mio figlio. Un mese di vita e già un sacco di problemi. Ma anche due occhi chiari e acuti come quelli di suo padre e un carattere buono e tranquillo come... no, okay. Diciamo che da me aveva preso il naso. E, tecnicamente, Sean apparteneva a una specie sconosciuta. Gli Osservatori non erano gli unici a essere curiosi, sul suo conto. Anche l’equipe di specialisti di lupi e vampiri, uniti per l’occasione, gli aveva fatto un mare di esami. Geneticamente era figlio mio e di Harry. Aveva metà dei miei e metà dei suoi cromosomi. Era un lupo, come Harry. E... beveva sangue. Solo quello, come un baby-vampiro. Ma stava alla luce del sole e cresceva e non aveva proprio niente di strano a parte... queste piccole cose, no? Ero preoccupata a morte. Nello stesso tempo, ero anche positiva: stava bene, interagiva con me e faceva tutte le cose normali che fanno i bambini normali a quell’età. Ossia: dormire e mangiare. Sia Harry che Adrian avevano dato un’occhiatina dentro al suo cervello e avevano detto che bastava che bevesse il sangue di qualcuno che lo amava, invece del latte di qualcuno che lo amava. E non gli sarebbe mai mancato, per quanto mi riguardava. Avrei solo voluto essere a casa mia e cercare di avere una vita tranquilla, ma... L’avevo anche avuta, per un po’. Per circa tre settimane. Quando ero tornata dall’ospedale, era stato tutto piuttosto tranquillo. Harry passava quando tornava dal lavoro e Adrian si portava in giro Sean sul petto come una buffa chioccia di ottecentocinquant’anni munita di canini. Erano entrambi attoniti, ma cercavano di comportarsi normalmente. Poi, in tutto il mondo, lupi e vampiri avevano iniziato la loro offensiva contro gli Osservatori. Avevano attaccato tutti i centri che erano riusciti a individuare con mesi e mesi di lavoro d’intelligence e li avevano rasi al suolo. Era una sorta di guerra invisibile, di cui i media non parlavano. E, se ne parlavano, lo facevano senza capire quello di cui stavano parlando. Un laboratorio dato alle fiamme a Boston, forse preso di mira da un gruppo animalista. La sede di una piccola casa farmaceutica fatta saltare in aria, forse da un concorrente commerciale. Il dirigente di una società di ricerche tecnologiche ucciso sulla strada di casa, forse un marito geloso. Ma se gli esseri umani non si rendevano conto di che cosa stesse succedendo, gli Osservatori lo capivano benissimo. E contrattaccavano. Per questo ero stata spedita su quella cavolo di isola, guardata a vista come una criminale. Per questo ero di nuovo in balia della Scozia. +++ Febbraio graffiava ancora come una tigre, quando lasciai il faro per andare ad accogliere l’elicottero che avrebbe portato Harry sull’isola. Sean era rimasto al coperto, nella sua culla, ben imbozzolato in una calda copertina di pile. Betty e Dora, due delle lupe della mia scorta, si sarebbero occupate di lui, mentre Gary, il terzo lupo, mi accompagnava sul promontorio. Karen stava ancora dormendo in una stanza completamente schermata dalla luce del sole. «Che tempo di merda» borbottò Gary, stringendosi nel giaccone imbottito, mentre arrancavamo verso il promontorio. «Benvenuto in Scozia» gli risposi, sarcastica. Il vento era gelido e scuoteva l’erba grigiastra dell’isola, creando increspature simili a quelle che si sarebbero prodotte su un lago. Il mare era schiumoso e grigio come tutto il resto. Arrivammo in cima al promontorio e ci fermammo. «Anzi, non avresti dovuto dire “tempo da lupi”?» lo provocai io. Gary sbuffò. Era un giovanottone biondiccio e accomodante, almeno nella sua forma umana. «Non so a quali lupi si riferisca quel modo di dire. Questo lupo ama i climi caldi e soleggiati. Cazzo, spero che Pierce arrivi puntuale». Indicai il cielo con il naso, che poi era la mia unica parte scoperta. «Si sente il rumore». Sull’isola si arrivava in due modi: dal mare o dal cielo. Il mare non era mai buono, in quella stagione, e l’isola non offriva approdi sottovento, quindi per lo più i viveri e le visite arrivavano dal cielo. Finalmente avvistammo l’elicottero, come un riflesso di luce nel cielo, all’inizio, poi in ogni dettaglio. Il rumore ci assordò e le pale crearono un turbine di aria gelida, poi l’elicottero si posò a terra. Un istante dopo saltò giù un tizio con addosso una tuta termica e iniziò a scaricare delle casse. Harry scese per secondo, paludato in un cappotto di cachemire che sarebbe stato perfetto nella City, ma che su quello scoglio perso nel mare non aveva molto senso. Il vento gli scompigliò i capelli grigi e le sue guance ossute diventarono subito rosse. «Che cazzo di freddo c’è?» furono le sue prime parole. Poi socchiuse gli occhi e mi guardò. «Sarah? Ci sei tu, sotto tutta quella roba?». Annuii. «Benvenuto» dissi. Bisogna ammettere che cercò di sorridere, anche se sembrò più una smorfia di dolore. «Sulla carta sembrava il posto perfetto» borbottò, baciandomi su una delle orecchie del berretto imbottito. «Cristo, portami in un posto caldo». «Quello con l’elicottero sei tu» risi io. Iniziammo a scendere verso il faro. Quando fummo all’interno sospirammo tutti di sollievo. Avevamo occupato le stanze al piano terra e al primo piano del vecchio edificio. Riscaldarle era un incubo, ma non stavamo badando a spese. Io e Gary ci sfilammo giacconi, sciarpe e cappelli, mentre Harry mi sembrò un po’ restio a separarsi dal suo cappotto. «Davvero, Sarah, non avevo capito» disse, guardandosi attorno. «Ah, Gary... non solo non ti si vedeva in faccia, là fuori, ma non si sentiva nemmeno il tuo odore». «Lo so, signore» rispose lui, con una smorfia. «E oggi è una bella giornata». «Cristo» borbottò lui. Si strofinò le mani l’una con l’altra e si decise a sfilarsi il cappotto. Sorrise. «Dov’è il mio ragazzo?». Gli indicai le scale con la testa. «Vieni. Ci sono Betty e Dora, con lui». Harry mi trotterellò dietro. «Non si prenderà una polmonite, vero?» chiese. «Non credo proprio. Lui e Karen sono gli unici che se ne fregano del tempo» risposi io. Sean non aveva solo l’appetito di un vampiro, ma anche la loro stupefacente costituzione. Gli Osservatori lo definivano fattore di rigenerazione cellulare. «Ragazze?» chiamai, aprendo la porta. Betty e Dora sedevano accanto alla culla, ma si alzarono quando entrò Harry. Era il loro capobranco, dopo tutto. «Signore» salutarono. Harry si chinò sulla culla e sorrise. «Eccolo lì. Cavoli, sembra cresciuto». Risi. «È cresciuto, Harry. A quell’età crescono tutto il tempo». Lui lo prese delicatamente in braccio, attento a non svegliarlo. «In una settimana, eh?» mormorò, sfiorandogli la testa con il naso. Sean fece un piccolo suono assonnato e strinse di più gli occhi. «Grazie, Betty, grazie Dora. Potete andare» disse l’altro. Si sedette sul letto con suo figlio in braccio. «Mi è mancato orrendamente». Si lasciò cadere all’indietro sul materasso e se lo appoggiò sul petto. «Che meraviglia. Continua a dormire». Sorrisi. «È un po’ la sua attività preferita». Lui si voltò verso di me. «Te la cavi, sì? Ti giuro che non avevo capito che fosse un posto così di merda». Annuii, sedendomi accanto a loro. «Leggo. Dormo. Guardo film sul computer. Che cosa sta succedendo là fuori, Harry?». La sua fronte si rannuvolò. «Niente di buono». Sospirò, accarezzando delicatamente la manina stretta a pugno di suo figlio. «A volte ho l’impressione che stiamo prevalendo. Ma... lentamente, sai. Per ogni laboratorio che riusciamo a mettere a fuoco, loro attaccano un nostro obiettivo. Rapiscono persone. E hanno un piccolo esercito, al loro servizio. Se si accorgono che stiamo arrivando distruggono i computer e i campioni. Non ci lasciano niente per risalire agli altri obbiettivi. Mi dispiace che dobbiate restare qua». «Va bene» dissi io. La cosa più importante, per me, era tenere Sean al sicuro. «Sì, credo che lo sia. Siamo stati molto... attenti. È un momento di insolita concordia, sai». Sorrisi appena. «Sì, lo so. Adrian è...?». Harry rise sottovoce. «Adrian sta ballando il suo ballo preferito. Abbiamo individuato altri due laboratori, in Gran Bretagna. Oltre a quello dove... sai». Nessuno dei due aveva voglia di ripensare al posto dove ci avevano tenuti prigionieri. Gli feci segno di continuare. «L’entusiasmo con cui massacra quella gente è contagioso». «Sta... bene, vero?». Lui mi fece l’occhiolino. «Viene la settimana prossima. Molto gentilmente, ha lasciato a me il primo turno». Sorrisi. Mi mancava, Adrian. Mi mancava da matti. «Già. Quando non massacra nessuno è di umore merdoso, quindi suppongo che anche tu gli manchi». «Che io sappia “di umore merdoso” è lo standard ottimale, per Adrian» considerai io. «In effetti» ammise Harry. «Poi, dunque, vediamo... che cosa succede? Tyr è evanescente come suo solito. Il resto del consiglio si accapiglia, come sempre, ma ho l’impressione che Tyr li tenga fuori dalle decisioni vere. Bada, non ho prove per sostenerlo. È solo... un’impressione. Sono certo che Adrian sarà più preciso, quando lo vedrai». «Anne?» chiesi io. Anne faceva parte della sua scorta personale, ma Harry non mi fregava. Quella lupa ringhiava un po’ troppo, quando c’ero io in giro. «Bene» disse lui. «Sta bene». Molto riservato. Ma, d’altronde, “riservatezza” avrebbe potuto essere il suo secondo nome. Lui rise. «Naa. È che io sono il tuo consulente sentimentale, non viceversa. È un po’ irrigidita perché sono venuto quassù, ma non dice niente. D’altronde, quassù c’è mio figlio». Come se avesse capito che si parlava di lui, Sean emise un versetto. «Ora si sveglia» pronosticai. «Buongiorno, ragazzino» sorrise Harry, un attimo dopo, quando Sean sbatté le palpebre. Gli accarezzò il nasino e gli accostò il dito alla bocca. Sean lo morse e iniziò a bere. «Credo che non mi abituerò mai» disse Harry, guardandolo. Poi sorrise di nuovo. «Anche se per te dev’essere comodo». Mi strinsi appena nelle spalle. Neanch’io mi ero del tutto abituata. «Non in senso stretto. Beve solo da me, da te e da Adrian, sai». «Davvero? Che cos’è, una specie di impronta genetica?». Scossi la testa. «Non credo. Anche perché da Adrian, per quello che ne sappiamo, ha preso solo questo cavolo di fattore. No, penso che beva solo da noi perché, anche se cercano di non pensarci, gli altri ne hanno paura». Harry rimase in silenzio, mentre nostro figlio beveva a piccoli sorsi. Non beveva mai molto, tra l’altro. «Sono un po’ risentito» ammise, alla fine. «Anch’io sono un po’ risentita, ma è anche comprensibile. È un caso unico». Harry chiuse gli occhi. «È una piccola creatura» mormorò. Era una definizione di Tyr, in realtà. Ed era una buona definizione. Buona in quanto veritiera e buona in quanto gentile. «Sì, è una piccola creatura meravigliosa» concordai. Sean si staccò dal dito di Harry, sbavandoglielo un po’. I piccoli segni del suo morso guarirono. La prima volta in cui l’avevo visto farlo avevo pensato che fosse per caso, perché comunque i neonati tendono a sbavare, ma ora non ne ero più così sicura. «No, neanch’io» disse lui, rialzandosi a sedere e appoggiandosi Sean tra il petto e la spalla. Gli batté un paio di pacce leggere sulla schiena e Sean fece il suo ruttino. Non per la prima volta, pensai che Harry fosse fantastico, con lui. «È il mio unico figlio» si giustificò. Lo prese di nuovo in braccio. Sean emise uno dei suoi gridolini e scosse un pugnetto, facendoci ridere entrambi. «Nonostante questo...» sorrisi io. Sorrise anche Harry, aspettandosi forse un complimento. «...Sei un po’ ridicolo, con quel completo, quassù». Lui rise. «Che stronzetta». Si alzò in piedi, cullando leggermente Sean, che ora sbadigliava. Si guardò attorno, osservando le pareti dipinte di fresco, i mobili montati da poco e il letto. «Tu dormi qua?» chiese. Annuii. «E io dormo qua?». Risi. «Dipende da te, veramente. Sei tu quello con la fidanzata gelosa». «Veramente, alla mia età avrei smesso di avere fidanzate. Ma, sì, effettivamente Anne pensa che tu sia una sorta di pericolo pubblico».
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