De Nicola

641 Words
De Nicola2009, Milano L’ascensore del palazzo dove ha sede lo studio del dottor De Nicola profuma di gelsomini. Clara esce dalla cabina e capisce immediatamente il perché: il pianerottolo del quarto piano si affaccia su un terrazzo completamente invaso dalla bellissima pianta. La vetrata aperta diffonde il profumo per tutto il giro di scale. Nell’atrio, sul muro di fronte all’ascensore, campeggiano quattro grosse targhe di ottone. Individuata quella che indica lo studio di De Nicola, la donna si avvia al suo secondo appuntamento. La scritta psichiatra la colpisce per un attimo: “In effetti, non posso proprio dire di sentirmi in forma e, in verità, neanche lucida: non ricordavo neppure di avere fissato l’incontro con il dottore”. Suona. La porta si apre. Entra. Una segretaria con l’aria lievemente turbata la accoglie. «Signora Scardi, ben arrivata. È un po’ in ritardo, ci eravamo preoccupati. Abbiamo appena telefonato a casa sua». «Sto benissimo, perché preoccuparsi tanto?» ribatte Clara guardando l’orologio: neanche dieci minuti di ritardo, un’inezia. «Il traffico non perdona, dovreste saperlo. Comunque potevate chiamare me sul cellulare, ma forse l’avete fatto e…» cerca invano nella borsa il cellulare. “Devo averlo dimenticato in camera da letto”, conclude senza darsi troppo pensiero. Lo studio del dottore è in totale penombra. L’uomo è seduto dietro la scrivania. E là resta anche una volta che Clara è entrata. Senza staccare lo sguardo dal computer, le dice: «Si accomodi, signora Scardi. Sarò subito da lei». Clara si siede sulla sedia di fronte alla scrivania. Il dottore continua a leggere dei documenti. Quando infine, l’uomo alza lo sguardo su di lei, le dice: «Mi scusi signora, eccomi a lei. Le spiace spostarsi sul lettino?» «Certamente», risponde Clara, obbediente. La sensazione di stanchezza che avverte da qualche giorno è sempre presente. Per un attimo la donna chiude gli occhi. Li riapre di scatto e vede il dottore in piedi accanto a lei che la osserva. «Non l’ho sentita avvicinarsi, mi ha spaventata». «Mi spiace, non era mia intenzione», risponde il medico. Tentando un approccio scherzoso, prosegue: «Dovrebbe essere una seduta che serve a ritrovare la sua serenità; non ho iniziato bene allora». La donna sorride, iniziando a sentirsi più a suo agio. «Si rilassi ora. Cominci a riferirmi, con calma, le sue impressioni sulla giornata odierna». Il dottore si siede su una poltroncina accanto a lei. «In verità, dottore, non ho fatto grandi cose. Mi sento spesso confusa, come se vivessi in un mondo che non mi appartiene. Non ho voglia di vedere nessuno e sempre più spesso sto bene solo con me stessa. Posso passare lunghi periodi da sola senza provare il bisogno di incontrare qualcuno». «Bene, ciò che mi riferisce indica che le nostre sedute stanno dando i loro frutti: sta riprendendo il controllo di sé e inizia a lasciarsi il dolore alle spalle. Si può dire che sta metabolizzando la perdita di suo marito. Suona un po’ cinico, lo so, ma è un grande passo avanti, mi creda». La donna si passa la mano sulla fronte, pensierosa: «Solo che, ogni tanto, mi prende una sensazione di vuoto: è come se mi mancasse una parte di me stessa e mi sento improvvisamente scivolare in un pozzo nero e profondo. A lei posso chiederlo dottore, senza paura di sembrare pazza: da quanto mio marito se n’è andato? Mi pare di averlo saputo ieri. E mi sembra incredibile di non aver serbato alcun ricordo della mia vita prima della tragedia. Questo non contrasta con quanto ha appena affermato?» Il dottore si alza, avvicinandosi a lei. Guarda Clara dall’alto, sovrastandola. «Le sue sensazioni sono ancora un po’ confuse. Avrà bisogno di questi nostri incontri ancora per lungo tempo. Ora si rilassi e continuiamo la seduta», le risponde il dottore rivolgendosi a lei con un tono e una cadenza che le inducono una piacevole sensazione.
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