Capitolo 2

2422 Words
2 REBECCA «Si sta svegliando ora.» Sentii le parole, ma decisi di ignorarle. Mi trovavo su un letto comodo e non volevo svegliarmi. I letti nelle pensioni e negli alberghi erano stati grumosi o rigidi, ma quello era morbido e comodo. «Pensi sia soggetta spesso a svenimenti?» Erano voci di uomini quelle che sentivo. Uomini? Svenimenti? Io non svenivo mai. Pensavano che fossi di costituzione debole? Chiunque fosse aveva bisogno di essere contraddetto. Io non mi ammalavo mai, non svenivo mai, nemmeno per finta per attirare l’attenzione come qualche ragazzina scialba che avevo conosciuto a scuola. Quando aprii gli occhi, mi resi conto all’istante di non trovarmi in un letto, né in Inghilterra e né tantomeno in qualche remota pensione e che ero decisamente svenuta. A incombere su di me c’erano due uomini che mi guardavano attentamente. Erano in ginocchio sul pavimento davanti a me, mentre io mi trovavo sdraiata su un divano, ma vista la loro enorme stazza, dovevo comunque sollevare lo sguardo per vederli. Mi alzai a sedere e la stanza vorticò per un istante. «No, non correre. Non vorrai svenire di nuovo,» disse quello dai capelli biondi. Era Dashiell McPherson ed era mio marito. Era piuttosto attraente. La scelta di mio fratello di darmi in sposa a lui mi aveva preoccupata sin da Chicago. Mi avrebbe unita ad un uomo che avrei trovato sgradevole? Mi avrebbe incatenata a qualcuno di crudele, o un giocatore d’azzardo, o un ubriacone? Non avrei saputo dire per il resto, ma di certo era attraente. Come i suoi capelli, anche i suoi occhi erano chiari. Gli si formavano delle piccole rughe attorno come se fosse stato uno che sorrideva con gli occhi oltre che con la bocca. Un volto marcato nascondeva una traccia di gentilezza. Aveva la mascella squadrata, il naso lungo, le labbra piene. Mi ritrovai a fissargli la bocca e mi resi conto di quanto fossi sfacciata. Tirai indietro le spalle e mi sentii arrossire. «Io non svengo,» dissi, stringendomi le mani in grembo. Lui piegò un angolo della bocca verso l’alto in un sorriso. «No. Ma certo, non l’hai fatto.» «Ti abbiamo sconvolta abbastanza. Non c’è da meravigliarsi che tu sia svenuta. Se mi fossi ritrovato io di fronte a due belle ragazze con le quali fossi stato sposato, sarei di sicuro svenuto all’istante.» Dove l’altro era luce, Connor era ombra. Capelli scuri, occhi scuri, pelle abbronzata. Tutto di lui era più grande – se fosse stato possibile – e per quanto occupasse più spazio, sembrava più rilassato, più a proprio agio del suo amico. La sua risposta scherzosa confermava la mia valutazione. Ovviamente, Connor – non conoscevo nemmeno il suo cognome – stava cercando di alleggerire la situazione, tuttavia era impossibile. Insistevano sul fatto che fossi sposata con entrambi. Era un’idea del tutto folle! «Di certo prima vi ho sentito male. Non posso essere sposata con due uomini.» «Sei sposata con me,» McPherson si indicò il petto, «ma qui a Bridgewater, seguiamo le regole di matrimonio rigide e onorevoli del Mohamir secondo cui una donna viene protetta all’interno dell’unione da più di un uomo.» «Mohamir? Vi state riferendo al paese vicino alla Persia?» Entrambi annuirono. «Sì. Eravamo stazionati lì, assieme a tuo fratello, con il nostro reggimento,» replicò Connor. «Di certo Montgomery ti avrà parlato del nostro legame durante il vostro viaggio.» L’aveva fatto, ma non mi fu concesso tempo per rispondere, dal momento che una donna parlò dalla porta. «Oh, bene, sei sveglia. Connor, lasciala respirare. Sei troppo grande per starle così addosso, anche se sei inginocchiato per terra.» Lui si mostrò contrito e un po’ deluso, ma si alzò e si spostò come richiesto. Io dovetti piegare all’indietro il mento per guardargli le spalle. «Io sono Emma e questa è la piccola Ellie. Sta mettendo i denti per cui l’hai beccata in un momento felice, altrimenti è sempre agitata e irascibile.» Si sedette, costringendo il signor McPherson ad alzarsi e indietreggiare a sua volta per evitare di essere travolto dalle sue gonne. «Sono abituata agli uomini e ai loro dialetti, ma è fantastico sentire una donna parlare con un accento tanto adorabile. Il tuo assomiglia decisamente più a quello di Kane che non di Ian, per cui ne deduco che tu sia inglese.» Sua figlia, di forse sette o otto mesi, le stava seduta felicemente in grembo a masticare una grande crosta di pane, la bava che le colava sul mento e sull’abitino. «Sì,» risposi. «Vengo da Londra, ma ho frequentato la scuola nel Shropshire.» Ellie mi distraeva; perfino una donna del mio contegno non poteva evitare di sciogliersi alla vista di una bambina. Aveva i capelli scuri e gli occhi azzurri di sua madre. «Io sono sposata con Kane-» esordì Emma. «E con me.» Un uomo decisamente robusto entrò nella stanza in quell’istante, gli occhi fissi solamente sulla bambina. Se la prese in braccio e le strusciò leggermente il naso contro. «Io sono Ian e tu sei la benvenuta qui. Stavamo per consumare il nostro pasto di mezzogiorno, quando sei arrivata e sono certo che tu abbia fame.» Rivolse il proprio sguardo caloroso alla moglie. «Vieni, ragazza, lasciamo che siano i suoi uomini a occuparsi di lei.» Ian le porse una mano ed Emma la prese. Lui la condusse fuori dalla stanza mentre teneva in braccio la bimba felice, ma Emma mi rivolse un’ultima occhiata e mi sorrise. Non ero tanto abituata ad avere della gente attorno che si preoccupasse per me. Il collegio che avevo frequentato non era stato un luogo di calore o di affetto. Cecil si era mostrato gentile e protettivo nei miei confronti, tuttavia io avevo trascorso del tempo con mio fratello solamente per meno di un mese a Londra prima che ci imbarcassimo per lasciare l’Inghilterra. Ora lui non c’era più e mi aveva lasciata del tutto sola al mondo. Abbassai lo sguardo di fronte a quella triste realtà. Mi aveva lasciata sola? Ora avevo due mariti. Uno degli uomini si mosse interrompendo i miei pensieri ed io mi resi conto di avere le mani nude. «Dove sono i miei guanti?» chiesi, guardando i miei palmi aperti. Fu allora che mi resi conto che il collo alto del mio abito non era più così restrittivo come avrebbe dovuto essere. C’erano un paio di bottoni slacciati. «Il mio abito!» Mi portai una mano al collo per tenere chiuso il colletto in pizzo. «Avevi bisogno di respirare e non ti servivano dei guanti. L’autunno è fresco, ma non abbastanza da necessitare di guanti dentro casa,» disse il signor McPherson. Lanciai un’occhiata al bracciolo del divano su cui erano posati i miei guanti. Mi rilassai giusto un po’, sapendo che non avevano intenzione di tenermeli lontani. «Sei al sicuro qui, ragazza.» «Non vi conosco, nonostante siate mio marito, e non so se le vostre parole siano vere.» Il signor McPherson si alzò lentamente, ergendosi in tutta la sua altezza per mettersi spalla contro spalla con Connor. «Sì, è vero che non conoscevi me, Connor o chiunque altro qui a Bridgewater. Siamo un gruppo d’onore. Io e Connor ti diremo sempre la verità, faremo sempre ciò che è meglio per te, che a te piaccia o meno. Siamo uomini d’onore e non lo metterai mai più in dubbio.» Mi sentii arrossire di fronte a quel rimprovero. Anche Cecil era stato onorevole e avrei dovuto sapere che i suoi compagni soldati l’avrebbero pensata allo stesso modo. Potei offrire solamente un piccolo cenno del capo in risposta, dal momento che di certo lo avevo offeso. «Vieni, il pranzo si sta freddando.» Il signor McPherson mi porse la mano. Il profumo di pane appena sfornato e carne condita riempiva l’aria ed io avevo fame. Rapidamente, mi richiusi i bottoni sulla gola prima di accettare la mano che mi veniva offerta. La sua presa fu gentile, la pelle calda mentre mi conduceva nella sala da pranzo, gli occhi fissi su di me. C’erano tre posti liberi; chiaramente gli altri ne avevano aggiunto uno per me. Era piuttosto sconvolgente con quanta facilità – e senza alcuna traccia di sorpresa – mi avessero aggiunta al loro gruppo. Accadeva spesso che una donna comparisse sulla porta annunciando di essere sposata con uno degli uomini? Se fossimo stati in Inghilterra, sarei stata considerata una specie di donnaccia per essermi sposata in segreto, dal momento che i matrimoni affrettati significavano una cosa sola. Azioni vergognose. Sarei stata respinta invece di venire inclusa senza che mi fosse posta alcuna domanda. Mentre venivano passati vassoi e ciotole, Connor fece le presentazioni. «Facendo il giro del tavolo a partire da me e spostandoci verso destra, ci sono Andrew, Robert e la loro moglie Ann.» Mi offrirono un saluto, ma quando un bambino seduto tra di loro fece cadere a terra un cucchiaio, la loro attenzione si spostò. «Quello sul seggiolone è Christopher. Ha quasi un anno.» La piccola donna bionda era sposata con entrambi quegli uomini? A Connor arrivò un vassoio di polli e lui mi offrì la forchetta di portata, distogliendomi dai miei pensieri. Mi servii mentre proseguiva. «Dopo Robert ci sono Cross, Simon, Olivia e Rhys.» La donna, Olivia, seduta proprio davanti a me, mi sorrise in maniera rassicurante. «Io sono stata l’ultima ad unirmi a questa insolita famiglia, per cui riesco ad immaginarmi bene come tu ti stia sentendo. Sono giunta a Bridgewater solamente da Helena, non da tanto distante quanto l’Inghilterra. Io ho scoperto, molto tardi una notte, che avrei sposato tre uomini.» Lanciai un’occhiata agli uomini ai suoi lati, tutti quanti con uno sguardo adorante e possessivo. Era chiaro che a lei quella situazione non dispiacesse. In effetti, tutte e quattro le donne sedute a tavola sembravano felici e contente. «Simon è mio fratello, nel caso non l’avessi intuito,» aggiunse il signor McPherson. Connor proseguì con le presentazioni. «Accanto a Rhys ci sono Mason, Laurel e Brody seguiti da Kane, Ian ed Emma, che hai già conosciuto.» «Per quanto questa sia la casa di Kane ed Ian, consumiamo insieme i pasti qui e facciamo a turno in quanto a cucinare e fare le pulizie,» aggiunse il signor McPherson. Tutti avevano il piatto pieno e la conversazione cessò mentre mangiavamo. Avevo sentito dire in città che Bridgewater fosse un ranch ben gestito ed era chiaro dalla stazza degli uomini che non se ne stavano seduti con le mani in mano. Rimasi in silenzio per il resto del pranzo, dal momento che l’unica volta che avevo posto una domanda riguardo al suo onore avevo fatto arrabiare il signor McPherson e me ne vergognavo ancora. Non avevo bisogno che un intero gruppo di persone ce l’avesse con me dopo solamente un’ora dal mio arrivo. Quando i piatti del dessert furono portati via, Dash ci scusò. «Sono felice che le pulizie tocchino ad altri, dal momento che credo sia giunto il momento di conoscere meglio la nostra sposa.» Connor annuì ed io deglutii mandando giù la mia ansia e seguendoli fuori. Non mi ero mai trovata da sola con un uomo che non fosse un mio parente prima di allora. In effetti, ora che ci pensavo, ero stata da sola solamente con Cecil ed era accaduto durante il nostro viaggio dall’Inghilterra. Andando verso il mio cavallo, Connor ne sciolse le redini dalla ringhiera e condusse l’animale fino a me. Il signor McPherson mi prese per la vita e mi sollevò con facilità in sella. Non ero una donna minuta, ma lo fece come se non fossi pesata nulla. Le sue mani grandi non si presero alcuna libertà, ma io sentii il suo tocco fin nel profondo e la cosa fu intimorente e... strana. Non avrei dovuto provare qualcosa di fronte al tocco di un uomo. Mi era stato inculcato, che fosse con la frusta o con un righello, che i desideri frivoli o i pensieri carnali erano segno di una donna facile che sarebbe stata rifiutata dal marito. Io non volevo essere rifiutata, perchè a quel punto dove sarei andata? Lanciai furtivamente un’occhiata al signor McPherson. Stava in sella come se fosse nato a cavallo, i muscoli spessi delle cosce che tendevano i pantaloni. Aveva le mani grandi, le dita rozze. Il suo volto era in ombra sotto la tesa larga del cappello, eppure riuscivo a vedere la sua mandibola squadrata. La pelle in quel punto recava il segno della barba in ricrescita come quella di Connor? A quel punto lanciai un’occhiata anche a lui – l’altro mio marito – e riuscii chiaramente a vedere lo scuro accenno di barba sulle sue guance abbronzate. Connor preparò il proprio animale e vi montò in sella. Io non ebbi altra scelta che far voltare il mio cavallo e seguirli. Loro mi si pararono ai lati, proprio come avevano fatto a tavola. Ero circondata e... protetta. Era una sensazione strana, per me, dal momento che ero stata sola per tutta la mia vita. C’erano diverse case a costellare la prateria, poste a varie distanze l’una dalle altre e dagli edifici centrali del ranch – il bar, le stalle e altri piccoli fabbricati annessi. Fu ad una di queste case che ci dirigemmo. Non era grande come quella di Ian, Kane ed Emma, ma era impressionante comunque. Mi ero immaginata delle case di terra, le tepee descritte nei romanzi venduti a pochi centesimi a Londra. Quell’edificio ampio si estendeva su un piano solo con delle pareti di un bianco accecante e un tetto rivestito in pietra, la porta d’ingresso al centro con delle finestre poste in maniera simmetrica a entrambi i lati. Le finiture e i dettagli potevano essere paragonati a quelli di case più eleganti in ambienti meno rustici. Connor smontò da cavallo e si avvicinò al mio. «Non ti ho chiesto. Devi avere un bagaglio?» Sollevò le mani ed io non ebbi scelta se non permettergli di farmi scendere a terra. La sua presa era diversa da quella del signor McPherson. Le sue mani erano più grandi, dei calli rozzi che si impigliavano nel tessuto liscio del mio abito, eppure il suo tocco aveva una riverenza che mi sorprendeva. «Ce l’ho. Quando il proprietario della pensione ha scoperto che stavo venendo qui, si è offerto di tenere i miei bauli fino a quando non fosse stato possibile recuperarli.» Entrambi gli uomini annuirono. Il signor McPherson aprì la porta d’ingresso e Connor mi ci condusse con la sua mano calda alla base della mia schiena. Una volta sulla porta, il signor McPherson mi prese in braccio ed io urlai sorpresa, portandomi una mano al cappello nonostante fosse ben saldo al suo posto. «Cosa... cosa state facendo?» domandai. «Faccio attraversare la soglia di casa a mia moglie tenendola in braccio,» rispose lui. Sollevai lo sguardo sul suo volto e lo vidi che sorrideva, a quanto pareva compiaciuto delle sue azioni. Lo guardai mentre i suoi occhi chiari sostenevano i miei, per poi abbassarsi sulla mia bocca. Avevo il cuore che batteva forte e il fiato corto, come se fossi stata io a portare lui in braccio.
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