Capitolo 1

2160 Words
1 SOUTH Fu il suo culo che vidi per primo. Perfetto. Maturo come una pesca. Che ondeggiava mentre spuntava dal frigo. Mi fermai a fissarlo perché… non ero morto. Appoggiato allo stipite sull’atrio, incrociai le braccia e mi godetti la visuale. Dopo una mattinata a litigare con un pezzo di metallo che non ne voleva sapere di piegarsi come dicevo io, quello era un bel premio. Lei era un premio. Non avevo visto il resto del suo corpo a parte come i suoi jeans fossero attillati, ma fino a lì, tutto bellissimo. Diamine, fin lì, tutto incredibile. Avevo detestato quella casa per anni, e solamente ora cominciavo finalmente a sentirmi a mio agio all’interno di quelle mura che avevano visto troppe cose quando ero stato bambino. La vista di un culo perfetto era meglio. Molto meglio. Un movimento di quella perfezione e ce l’avevo duro come una roccia. Tipo che con una sola menata sarei venuto piuttosto forte. Forte come un adolescente non in grado di controllare il proprio cazzo. Lei tirò fuori un ripiano di vetro e lo mise nel lavandino pieno d’acqua saponata. Sul bancone c’erano cose come la senape e il latte. Poi mi vide. Sussultò. Si tirò via gli auricolari e li lasciò penzolare dal cavo. Cazzo, il resto di lei… mi si gonfiò l’uccello, dal quale schizzò liquido preseminale. Così, da solo. «Dio, mi hai spaventata,» ansimò, poi mi offrì un sorriso tremulo. Uno che diceva “non sono certa di essere al sicuro con te”. Quella voce. Morbida, profonda. Ansimante. Mi immaginai come sarebbe stata a pronunciare il mio nome. South. Sì, South! Di più. «Merda, sei bellissima,» le dissi, spostandomi nella speranza che la zip non mi avrebbe lasciato un marchio perenne sul cazzo. Era davvero bellissima. Forse era stato l’artista che era in me a notarlo, perché di certo lei stava cercando di nasconderlo, diamine. Capelli scuri raccolti in una crocchia scomposta che ne nascondeva la lunghezza. Riuscivo a intuire che le sarebbero arrivati fino almeno al centro della schiena, a giudicare dallo spessore. Le sarebbero scivolati sui capezzoli rosei. Degli occhiali nascondevano i suoi occhi spalancati, ma non potevo non notarne il color cioccolata. No, whiskey invecchiato. Profondi e intensi. Non era truccata, ma non ne aveva bisogno, specialmente visto come fossero rosse le sue guance. Avrei voluto strattonare quell’elastico e farle ricadere quelle spesse ciocche sulle spalle. Baciare quelle labbra piene. Tirarle via quella maglietta larga e scrutare ogni centimetro che vi nascondeva al di sotto. Quei fianchi erano larghi, quei cocomeri belli pesanti e decisamente grossi. L’avevo colta di sorpresa ed ero uno stronzo a non essermi scusato—e per aver pensato così a lungo col mio cazzo. «Bellissima?» Roteò gli occhi. «Sono immersa nella schiuma fino ai gomiti e puzzo di lucidante per mobili. Ti sei preso un calcio da un cavallo o qualcosa del genere?» Così sembrava, a guardarla. Non mi ero mai sentito così prima di allora. Non avevo mai avuto una reazione così forte. Oh, avevo avuto un bel po’ di donne, ma avevano soddisfatto una necessità. Nient’altro. Quella? Quella era ben più di una necessità, cazzo. Era come se qualcosa in me fosse cambiato. Come se avessi atteso quel momento. Lei. Era giovane. Maggiorenne, decisamente, ma dovetti chiedermi se potesse comprarsi da bere da sola. Non c’era da meravigliarsi che non la conoscessi. Una piccola cittadina significava conoscere tutti e gli affari di tutti, ma lei probabilmente era andata alle elementari quando io ero partito per il college. Ciò significava che avevo atteso che fosse grande abbastanza da essere mia. Sempre che fosse cresciuta lì. Chi era? L’avrei scoperto. Ero venuto alla villa per vedere Jed. Lui l’avrebbe saputo. Da quando si era messo con North, sapeva tutto ciò che succedeva da quelle parti. Quando mi avvicinai di un passo, lei sollevò una mano. «Fermati lì.» Io mi raggelai, poi non potei fare a meno di sorridere di quella donna minuta che mi dava ordini. In casa di mia sorella. Diamine, Jed poteva attendere. «Che c’è?» domandai. «Non ho intenzione di farti del male.» Avevo bisogno che sapesse che potevo anche essere venti centimetri più alto e probabilmente una cinquantina di chili più pesante, ma non avrei mai fatto nulla per ferirla. «Non portare tutto quello sporco qua dentro,» disse lei, scrutandomi dalla testa ai piedi. «Potrai pure essere un cowboy sexy, ma farai un disastro.» Io sogghignai. «Cowboy sexy, eh?» Lei roteò di nuovo gli occhi, poi mi puntò un dito contro. «Non c’è bisogno che ti venga sottolineata la cosa. Lo sporco, però…» Io mi tolsi lo Stetson e mi guardai. La mia maglietta bianca aveva delle macchie di fuliggine ed era leggermente strappata dove mi ero agganciato ad un angolo appuntito del mio ultimo lavoro. Il metallo non perdonava e faceva dei bei disastri. I miei jeans avevano visto giorni migliori, sporchi sulle ginocchia visto che ero stato sul pavimento del mio studio a saldare un pezzo al suo posto. I miei stivali erano impolverati e consumati. Chiaramente, non sembravo uno dei proprietari di casa. Per quanto North fosse l’unica a vivere lì, ormai, io ero cresciuto in quella villa fino a quando non me n’ero andato per il college. Lei era rimasta, bloccata lì con Macon, nostro padre. No, da quanto aveva detto l’ex assistente di North, Julian, non era il nostro fottuto padre, dopotutto. Non aveva importanza. Quello era il Ranch dei Wainright ed io ero un Wainright. Quello era il mio posto. Ovviamente, lei non lo sapeva. Io non sapevo chi fosse, ma leggendo la targhetta bianca che aveva appuntata alla maglietta sulla sua perfetta tetta destra, lavorava per i servizi di pulizia di Nancy. Era una delle domestiche? Se il suo cognome non era Wainright, allora lavorava lì. Io potevo anche essere un miliardario, ma rispettavo chiunque si guadagnasse da vivere nella maniera difficile. Col duro lavoro. A differenza di Macon, che si era fatto i soldi col matrimonio. Poteva anche essersi guadagnato un gran bel salario come amministratore delegato della Wainright Holdings, ma i soldi veri erano stati di nostra madre. «Sono un tantino sporco, eh?» dissi mortificato. In quanto scultore, non restavo mai pulito durante un progetto. «Non dirmi che North se la prende con te se c’è disordine. O se una persona disordinata ti interrompe.» «North?» chiese lei, spingendosi gli occhiali su per il naso. «Arrabbiarsi?» Sembrò sorpresa. «È un tesoro.» Io aprii la bocca per discutere. Mia sorella? La principessa di ghiaccio? Quantomeno ex principessa di ghiaccio da quando il suo uomo, Jed, l’aveva sciolta? Da quando la maggior parte del suo stress era evaporato con la morte di Macon? «Non dire nulla di diverso,» aggiunse lei, rivolgendomi una severa occhiata da bibliotecaria attraverso quegli occhiali. Io mi accigliai. «Hai paura di essere licenziata?» Non sarebbe successo. Sebbene, se le cose fossero potute andare a modo mio, non avrebbe lavorato lì ancora per molto. Non sapevo quali fossero i suoi sogni. I suoi piani. Dubitavo che comprendessero ripulire il frigo di qualcun altro. L’avrei aiutata a realizzarli. Ne avrei fatto avverare qualcuno. «No. Suo padre è mancato di recente e lei ne ha passate tante. Tutta l’ha famiglia ne ha passate tante. Solo perché hanno dei soldi non significa che non abbiano difficoltà da affrontare.» Io sbattei le palpebre. «Hai ragione,» concordai, conoscendo in prima persona la verità che si celava dietro quelle parole. Solo che non mi ero aspettato che lei dicesse una cosa del genere. Stava difendendo North. E me. Senza nemmeno saperlo. Mi piaceva ancora di più. Ero abituato alle donne che mi si lanciavano addosso. Addosso ai miei soldi. Non sembravo sempre un milionario come North. Più miliardario. Quel posto non si chiamava il Ranch Miliardario per nulla. Io vivevo in una semplice fattoria lungo la strada, mi rifiutavo di stare in quel posto. Lavoravo con le mie mani scolpendo il metallo da zero per tramutarlo in arte. Vivevo grazie alle mie commissioni, senza mai toccare un centesimo del mio fondo fiduciario. Certo, mangiavo il cibo preparato dal cuoco dei Wainright quando passavo di lì. Mi godevo l’armadietto dei liquori di tanto in tanto. Andavo a cavallo. Alle volte, facevo perfino un giro con l’elicottero che era il mezzo di trasporto principale di North per raggiungere l’ufficio. Però non avevo mai voluto essere conosciuto per il fatto di essere South Wainright, il miliardario. Io ero solamente un uomo. E avevo trovato la mia donna. Solo che lei ancora non lo sapeva. «D’accordo, bellezza.» Non potei fare a meno di usare quel vezzeggiativo. Era così fottutamente adorabile. Dentro e fuori. «Non voglio aumentarti il lavoro.» Arricciai un dito. «Vieni tu qui.» «Devo davvero tornare al mio lavoro.» Indicò il frigo alle sue spalle con un pollice. «North è un tesoro, hai detto. Capirà il fatto che ti sia voluta concedere un minuto per parlare con un cowboy sexy.» Lei sbuffò una risata. «Se avessi saputo che ti avrebbe dato alla testa, non l’avrei mai detto.» «Troppo tardi.» Già, era fottutamente troppo tardi per entrambi. «Sei carino,» ribatté lei. Toccò a me ridere. «Carino? Bellezza, non sono mai stato definito carino in tutta la mia vita.» Stronzo. Coglione. Frocio. Stupido. Macon me le aveva scagliate contro tutte ed io le avevo incassate tutte. Per anni. Ma ero comunque andato a scuola di arte. Mi ero allontanato dal suo veleno e avevo vissuto la mia vita. Avevo ottenuto qualcosa da solo. Gli avevo dimostrato che si sbagliava. Solo che non mi ero reso conto del prezzo che aveva pagato North fino a dopo che quello stronzo fosse morto e sepolto. «Sai cos’è carino?» dissi, riportando i miei pensieri a ciò che contava. Lei. «Quel tuo culo. Ora portalo qui.» Lei arrossì adorabilmente. Vidi l’interesse nei suoi occhi. Il desiderio di obbedirmi. Pensava che fossi più che sexy. Più che carino. Non potevo non notare i capezzoli duri che facevano capolino attraverso la sua maglietta. Ci avrei scommesso la mia ultima commissione che ce l’aveva bagnata per me. Mi si avvicinò, ma non abbastanza. Io allungai una mano, afferrai la sua e la tirai fino quasi a scontrare il petto col suo. La volevo tra le mie braccia, volevo la mia bocca sulla sua, trascinarla in qualche stanza che veniva usata a malapena e scoprire cosa le facesse ansimare il mio nome, ma ero abbastanza furbo da non esagerare alla prima impressione. Se fosse riuscita a leggermi nel pensiero, sarebbe scappata urlando. Era un bene che non ne fosse in grado. Jed entrò in cucina da qualche meandro della casa. Per qualche motivo, gli piaceva lavorare alla scrivania di Macon in quel fottuto ufficio soffocante. Quella stanza era stata piena di teste di animali, conquiste che Macon aveva ucciso per divertimento. North e Jed avevano trovato un posto che si occupasse degli animali con rispetto, per cui non sembrava più un film horror, là dentro. Lei arrossì e cercò di fare un passo indietro nel vedere Jed, ma io strinsi le dita attorno al suo gomito. «Arrivo tra un secondo, Jed,» dissi, senza mai staccarle gli occhi di dosso. «Sono venuto a dirti che sto andando a Billings in auto per andare a prendere North. C’è troppo vento per l’elicottero,» borbottò. «Parleremo quando sarò tornato.» «Certo,» risposi. «Ce l’hai un cellulare, bellezza?» Lei annuì man mano che i passi di Jed si allontanavano. Eravamo nuovamente soli. «Posso vederlo? «Perché?» chiese lei, pur tirandoselo fuori dalla tasca dei jeans. Aveva un cerotto sulla punta dell’indice. Non ero l’unico ad avere le mani rovinate. Non mi piaceva l’idea che si facesse del male, nemmeno per qualcosa di tanto piccolo che richiedesse soltanto di essere a malapena coperto. «Così che possa inserirci il mio numero e tu possa chiamarmi,» spiegai. Lei me lo porse mordendosi un labbro. Tuttavia mi chiese di nuovo, «Perché?» Io mi chinai così che fossimo faccia a faccia. «Perché voglio portarti fuori. Conoscerti. Baciarti.» Lei rise di nuovo. «Mi hai appena incontrata cinque minuti fa.» «Non mi serve più tempo per sapere cosa voglio. E poi, tu mi hai appena incontrato e mi hai dato il tuo cellulare. Lo senti anche tu.» Lei sollevò lo sguardo su di me, la testa piegata all’indietro perché ero tanto più alto. Annuì. Cazzo, sì. «Ma Jed--» «Non preoccuparti di Jed. Non abbiamo fatto niente di male.» Mi mandai un messaggio dal suo cellulare e il mio squillò nella mia tasca. Sicuro che non sarei stato senza di lei a lungo, le restituii il suo. Le feci scorrere una nocca lungo la guancia. «Rispetto il fatto che tu abbia del lavoro da fare. Ti ci lascio tornare. Scrivimi.» Mi chinai, le sfiorai la fronte con le labbra, poi me ne andai, sicuro di me. Mentre mi voltavo per andarmene—l’incontro con Jed rimandato—sogghignai. Non sapevo nemmeno come si chiamasse, eppure quella donna era mia. In quel momento la stavo lasciando, ma non sarebbe stato per molto.
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