CAPITOLO UNO-2

2028 Words
“Quella è la suite matrimoniale,” spiegò Daniel prendendo il comando, dato che Emily rimaneva muta. “Il mezzanino attira clienti. E poi volevamo Chantelle vicino.” L’emozione cominciava a essere troppa per Emily. Non aveva idea che fosse possibile provare così tante cose complesse e in conflitto tra di loro in una volta sola. Improvvisamente le venne in mente che una volta terminato il giro della casa, una volta che si fossero andati a sedere nel soggiorno faccia a faccia, avrebbe scatenato un’esplosione di rabbia contro suo padre. D’un tratto sentì la mano del padre sul braccio, lì a fermarla, a rassicurarla. Lei guardò nei suoi occhi azzurri, ci vide dentro il dolore e il rimorso, insieme a un totale sollievo. Senza parole le stava dicendo che andava tutto bene, che comprendeva la sua rabbia. Non c’era bisogno che continuasse a nasconderla. Si trascinarono per il resto del piano, dando un’occhiata a un paio di stanze per gli ospiti in modo che Roy potesse farsi un’idea dell’arredamento. Si fermò un attimo davanti alla porta del suo studio. L’ultima volta che era stato lì aveva vent’anni di meno, i capelli neri invece che grigi, il corpo più magro e più agile invece della leggera pancia che adesso gli appesantiva la vita. “È rimasto uguale,” disse Emily. “Qui non ho cambiato niente.” Lui annuì, ma non disse una parola. Emily si chiese se non stesse pensando alle miriadi di documenti che aveva chiuso a chiave nella scrivania, a quelli che adesso lei aveva letto. Alle lettere e ai segreti che lei aveva scoperto. Emily sapeva che non c’era modo di sapere cosa stesse pensando Roy. In quel momento per lei era un mistero – come era sempre stato. Andarono al secondo piano e Roy si soffermò per un po’ davanti alle scale per il belvedere. Stava pensando alla sera di Capodanno? Emily se lo chiedeva. A quella sera in cui le aveva detto di non aver paura, di aprire gli occhi per guardare i fuochi d’artificio? Oppure si era dimenticato tutte quelle cose, come era successo anche a lei? Chantelle correva di qua e di là, mostrandogli tutte le stanze degli ospiti vuote. Sembrava entusiasta che lui fosse lì, e orgogliosissima di mostrargli casa sua. Emily avrebbe voluto prenderla alla leggera come chiaramente faceva la bambina, ma aveva così tanto per la testa da sentirsi sull’orlo dell’ansia. “Sono davvero colpito del lavoro che hai fatto,” disse Roy. “Non dev’essere stato facile far installare tutti i bagni.” “Non lo è stato infatti,” rispose Emily. “E abbiamo avuto solo ventiquattr’ore di tempo, più o meno. Ma è una lunga storia.” “Ho il tempo di sentirla.” Roy sorrise. Emily non sapeva neanche come rispondere. Il tempo non era una cosa che poteva prendere per dovuta, con lui. Non poteva fidarsi dei suoi slanci di sentimentalismo. “Andiamo nel soggiorno,” disse rigidamente. “Beviamo qualcosa?” Poi, accorgendosi di aver offerto dell’alcol a un alcolista, aggiunse rapidamente, “Magari un caffè.” A ogni passo che faceva per scendere le scale, Emily sentiva la rabbia farsi ancora più forte. Odiava quella sensazione. Voleva che il momento della loro riunione fosse pieno di gioia, ma come poteva esserlo per davvero se covava tutto quel risentimento? Suo padre doveva conoscere il dolore che le aveva fatto patire. Raggiunsero il corridoio del piano di sotto. Daniel andò in cucina per fare il caffè mentre Chantelle mostrava a Roy il soggiorno. Lui trasalì quando vide il lavoro di rinnovo, il modo in cui Emily aveva mischiato stili nuovi con stili vecchi, in cui aveva incorporato l’arte moderna e la vetreria Kandinsky. “Quello è il mio vecchio pianoforte?” chiese. Emily annuì. “L’ho fatto sistemare. Il ragazzo che ci ha lavorato, Owen, a volte viene qui a suonarlo. Suonerà al nostro matrimonio, a dire il vero.” Per la prima volta, Emily provò un senso di trionfo. Dato che non viveva a Sunset Harbor da molto, Owen suo padre non l’aveva conosciuto prima di lei, né lo conosceva da più tempo di lei, né meglio di lei. C’erano persone lì che erano solo di Emily, che non erano macchiate dalla sgradevolezza di quel passato condiviso. “Owen mi aiuta con il canto,” disse Chantelle. “Oh, canti?” fece Roy. “Mi fai sentire qualcosa?” “Magari dopo,” si intromise Emily. “Chantelle mi ha promesso che oggi avrebbe messo in ordine tutti i suoi giocattoli.” “Non posso farlo dopo?” si lagnò Chantelle. Chiaramente voleva stare ancora un po’ con nonno Roy, ed Emily non poteva fargliene una colpa. In superficie era un gigante gentile, un tipo alla Babbo Natale. Ma Emily non poteva tenersi stampato in viso un sorriso finto per sempre solo per il bene di Chantelle. Era ora che lei e suo padre affrontassero una conversazione tra adulti. Emily fece di no con la testa. “Perché non lo fai adesso così da avere tutto il giorno per giocare con nonno Roy? Che ne dici?” Chantelle cedette e lasciò la stanza sbattendo un po’ i piedi. “Hai aperto il bar,” notò Roy guardando la rivendita clandestina ormai brillante. Pareva impressionato dal modo in cui Emily aveva mantenuto l’atmosfera del posto come aveva fatto lui, come un omaggio ai tempi andati. “Lo sai che è tutto originale.” Annuì. “Lo immaginavo. Eccetto le bottiglie di liquori.” Senza Chantelle a smorzare la situazione, tra loro nacque della tensione. Emily indicò il sofà. “Ci sediamo?” Roy annuì e si accomodò. Il viso aveva perso ogni colore, come se avesse percepito che era venuta l’ora di regolare i conti. Però, prima che Emily ne avesse modo, Daniel comparve con un vassoio con caffè, crema, zucchero e tazze. Lo sistemò sul tavolino. Crebbe il silenzio mentre versava la bevanda. Roy si schiarì la voce. “Emily Jane, se hai delle domande, puoi pormele.” La capacità di Emily di mantenersi cortese e cordiale si ruppe. “Perché mi hai lasciata?” scoppiò. Daniel sollevò di scatto la testa dalla sorpresa. Sgranò gli occhi. Probabilmente prima non si era accorto che la gioia che Emily aveva provato alla vista di Roy le aveva fatto emergere anche la rabbia che aveva covato per tutto il giro della casa. Allora si alzò. “È meglio che vi lasci un po’ soli,” disse cortesemente. Emily alzò lo sguardo su di lui. Era così in imbarazzo lì in piedi, come se avesse invaso improvvisamente una questione privata, ed Emily si sentì un po’ in colpa per aver inacidito la conversazione così velocemente in sua presenza, senza dargli la possibilità di trovare un modo un po’ più gentile di andarsene. “Grazie,” gli disse mentre Daniel si precipitava fuori dalla stanza. Tornò a guardare suo padre. Roy sembrava ferito dal suo evidente dolore, ma respirava con calma e la guardava con occhi gentili. “Ero distrutto, Emily Jane,” cominciò. “Dopo la perdita di Charlotte ero un uomo distrutto. Bevevo. Avevo delle relazioni. Mi ero alienato i miei amici di New York finché non sono più riuscito a sopportare di stare lì. Io e tua madre ci siamo lasciati, anche se c’era da aspettarselo. Sono venuto qui per ricostruire la mia vita.” “Solo che non l’hai fatto,” rispose con veemenza Emily. “Sei scappato. Mi hai lasciata.” Sentiva le lacrime pungerle gli occhi. Anche gli occhi di suo padre si stavano facendo rossi e annebbiati. Abbassò lo sguardo, con vergogna. “Stavo ignorando le cose,” disse con tristezza. “Pensavo di poter fingere che andasse tutto bene. Anche se erano passati anni dalla morte di Charlotte, non mi ero mai permesso di provare qualcosa. Non sono mai andato in camera vostra – ti ho trasferita in un’altra stanza, se ti ricordi.” Emily annuì. Ricordava come fosse ieri quando suo padre aveva bloccato l’accesso a parti della casa, proibendole certe zone durante i soggiorni estivi – il belvedere, il secondo piano, i garage, il suo studio, il seminterrato – finché lei quasi non si era dimenticata tutto quanto: la loro esistenza o quel che contenevano. Si ricordava il suo comportamento sempre più eccentrico, la sua ossessione di collezionare antichità che a lei pareva non tanto un hobby quanto una compulsione, il suo accumulare tutto. Ma più di tutto si ricordava la diminuzione dei contatti, il fatto di trascorrere sempre meno tempo con lui nel Maine finché non ebbe compiuto quindici anni e, un’estate, lui non tornò più per venirla a prendere. Quella era stata l’ultima volta che l’aveva visto. Emily voleva essere comprensiva nei confronti delle azioni del padre. Ma anche se una parte di lei capiva che si era trattato di un uomo distrutto che un giorno era crollato, al tormento che le sue azioni le avevano procurato non potevano essere date spiegazioni. “Perché non sei venuto a dirmi addio?” disse Emily – le lacrime le scendevano per le guance in fiumi. “Come hai potuto andartene così?” Anche Roy sembrava farsi sopraffare dall’emozione. Emily si accorse che gli tremavano le mani. Le labbra gli fremettero quando parlò. “Mi dispiace tanto. Quella decisione mi ha perseguitato.” “Ha perseguitato te?” esclamò Emily. “Io non sapevo se eri vivo o morto! Mi hai lasciata lì a chiedermelo, senza risposta. Hai idea di come una cosa del genere riduca una persona? Tutta la mia vita era in pausa a causa tua! Perché tu sei stato troppo codardo da dirmi addio!” Roy prese le sue parole come ripetuti pugni in viso. Aveva un’espressione così dolente che sembrava che davvero lo avesse colpito fisicamente. “È stato imperdonabile,” disse, con appena più di un sospiro. “Quindi non cercherò di giustificarmi.” Emily sentì il cuore battere furiosamente in petto. Era accecata dalla rabbia. Tutte le emozioni degli anni passati le esplosero fuori con la forza di uno tsunami. “Hai almeno pensato a quanto mi avrebbe fatto soffrire?” esclamò con la voce che si alzava ulteriormente di tonalità e di volume. Roy pareva colto dall’ansia, aveva tutto il corpo teso, la faccia contorta dal rimorso. Emily era contenta di vederlo così. Voleva che soffrisse quanto aveva sofferto lei. “All’inizio no,” confessò. “Perché non pensavo lucidamente. Non riuscivo a pensare a niente e a nessuno tranne che a me stesso, al mio dolore. Pensavo che senza di me saresti stata meglio.” Allora crollò, sobbalzando dai singhiozzi e tremando dall’emozione. Vederlo così fu un’accoltellata al cuore. Emily non voleva vedere suo padre crollare e andare in pezzi sotto i suoi occhi, ma lui doveva sapere. Non sarebbero andati avanti, non avrebbero riparato nulla senza tirare fuori tutto quanto. “Quindi hai pensato che andandotene mi avresti fatto un favore?” disse brusca Emily incrociando le braccia sul petto con fare protettivo. “Ti rendi conto di quanto sia folle?” Roy piangeva amaramente col volto coperto dalle mani. “Sì. Ero fuori di me all’epoca. Lo sono rimasto per moltissimo tempo. Quando mi sono accorto del danno che avevo fatto era passato troppo tempo. Non sapevo come tornare al passato, come riparare il dolore.” “Non ci hai neanche provato,” lo accusò Emily. “Sì che ci ho provato,” disse Roy – il tono lagnoso che aveva seccava Emily ancora di più. “Tantissime volte. Sono tornato nella casa in diverse occasioni, ma ogni volta il senso di colpa per quello che avevo fatto mi soffocava. C’erano troppi ricordi. Troppi fantasmi.” “Non dirlo,” rimbeccò Emily mentre con la mente andava subito alle immagini di Charlotte nella casa. “Non ti azzardare a dirlo.” “Scusami,” ripeté Roy trasalendo dall’ansia. Abbassò lo sguardo sul grembo, dove teneva le mani tremanti. Sulla tavola di fronte a loro, le tazze piene di caffè si stavano raffreddando. Emily fece un lungo e profondo respiro. Sapeva che suo padre aveva sofferto di depressione – aveva trovato la prescrizione dei medicinali tra i suoi averi – e che non era in sé, che il dolore lo costringeva a comportarsi in modo imperdonabile. Non avrebbe dovuto fargliene una colpa, eppure non poteva farne a meno. L’aveva delusa moltissimo. L’aveva lasciata sola col suo dolore. Con sua madre. C’era così tanta rabbia a ribollirle nel cuore, anche se sapeva che non c’erano colpe. “Cosa posso fare per sistemare le cose con te, Emily Jane?” disse Roy con le mani giunte in preghiera. “Come posso anche solo cominciare a sistemare il danno che ho causato?” “Comincia col riempire i vuoti,” rispose Emily. “Dimmi cos’è successo. Dove sei stato. Che cos’hai fatto per tutti questi anni.” Roy sbatté le palpebre, come sorpreso dalle domande di Emily. “È stato il non sapere a uccidermi,” spiegò Emily con tristezza. “Se avessi saputo che stavi bene da qualche parte, avrei potuto gestire la cosa. Non hai idea di quanti scenari mi sono immaginata, di quante vite diverse ho immaginato che stessi vivendo. Ho trascorso gli anni non riuscendo a dormire. Era come se la mia testa non riuscisse a smettere di evocare opzioni finché non avessi trovato quella giusta, anche se non c’era modo di arrivarci. Era una missione impossibile e futile, ma non riuscivo a smettere. Perciò è così che puoi aiutarmi. Comincia col dirmi la verità, col dirmi quello che per tutti questi anni non ho saputo. Dove sei stato?” Finalmente le lacrime di Roy si calmarono. Tirò su col naso, si asciugò gli occhi con la manica. Poi si schiarì la voce. “Ho vissuto tra la Grecia e l’Inghilterra. Mi sono fatto una casa a Falmouth, in Cornovaglia, sulla costa inglese. È un posto bellissimo. Scogliere e un panorama meraviglioso. C’è una fantastica scena artistica.”
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