1.

3131 Words
1. Quando il treno entrò fischiando in stazione Sophia stava per essere sopraffatta. Era una piccola stazione, quella, solo otto binari, gli ultimi tre senza neppure una tettoia. A quell’ora della notte era deserta e la neve la rendeva ancora più silenziosa. A parte il treno in arrivo. Sophia si era infilata nel sottopassaggio sperando così di sfuggire ai suoi inseguitori, ma tra di loro doveva esserci un mago segugio, così il suo trucco non aveva funzionato. E con la pesante gonna del vestito appesantita dalla neve sciolta, Sophia non riusciva a correre molto alla svelta. I tre uomini di Hans l’avevano braccata nel sottopassaggio come una piccola muta di cani. Sophia non conosceva quella stazione. Era arrivata lì, due giorni prima, era vero, ma non aveva fatto caso alla sua planimetria. In una parola, pensava che il sottopassaggio attraversasse tutti i binari e spuntasse sull’altro lato della ferrovia. Non era così. Il tunnel si fermava al settimo binario. Sophia aveva salito di corsa i gradini, decisa ad attraversare l’ottavo binario a piedi e a scavalcare il muro al di là, ma era arrivata appena sulla banchina prima di essere ghermita dal primo dei tre. La neve continuava a scendere, monotona e pasante. Il vestito di Sophia ne era stato inzuppato e nemmeno il calore sviluppato fuggendo le aveva impedito di trovarsi con le mani e i piedi gelidi e insensibili. Uno dei suoi tre inseguitori la prese per una manica del vestito e la strattonò. Sophia gridò, anche se sapeva benissimo che non l’avrebbe sentita nessuno. La stazione era deserta. Un treno si avvicinava sferragliando, soffiando ed emettendo una nube di vapore sicuramente calda, ma che scorreva via sopra ai vagoni. Sophia sperò che il convoglio si fermasse. Forse almeno un passeggero sarebbe sceso e lei gli avrebbe chiesto aiuto. Forse i tre uomini che ormai l’avevano intrappolata si sarebbero fermati, preoccupati di possibili testimoni. Forse... Il treno decelerò, ma fu presto chiaro che era solo in transito. La luce gialla di alcuni dei finestrini disegnò forme fantasmagoriche sulla neve della banchina e sulle impronte che ne sfregiavano la candida compattezza: quelle di Sophia e degli uomini che l’avevano intrappolata. «Pensavi di cavartela così?» ringhiò uno di loro, forse il mago segugio. Un altro la tirò per il vestito, strappando il pizzo che contornava la scollatura profonda e squadrata. Sophia gridò ancora. «Lasciatemi!» strillò, cercando di retrocedere. Dietro i lei stavano sfilando le carrozze del treno, lentamente, ma senza fermarsi. Se non avesse avuto quel dannato vestito fradicio e appesantito, Sophia sarebbe riuscita a rotolare tra le ruote e a risollevarsi oltre al treno. Ma con quell’ingombro se ci avesse provato avrebbe finito per ammazzarsi. Uno dei suoi tre assalitori la spinse, gridando qualcosa che venne coperto dallo sferragliare del treno. Sophia cadde e per un attimo pensò che sarebbe finita sotto alle ruote. La sua schiena cozzò contro il fianco metallico di una delle carrozze. Poi qualcosa la prese per le ascelle e la tirò su. +++ Più tardi Sophia capì che cosa fosse successo. Uno dei passeggeri l’aveva vista lottare sotto alla neve, una donna senza cappotto assalita da tre uomini, mentre il treno passava lentamente accanto alla banchina. Quel passeggero aveva aperto una delle porte e se l’era praticamente trovata a distanza di braccia. Si era chinato e l’aveva tratta a bordo. Dopo di che aveva richiuso la porta. Molto semplice, ripensandoci a posteriori, anche se per agire in quel mondo serviva del fegato. Sul momento, tuttavia, Sophia si trovò improvvisamente al caldo, qualcuno la tirava da dietro, i suoi stivaletti bagnati scivolavano sulla pavimentazione del corridoio, la gonna fradicia del vestito si appiccicava alle sue gambe, il suo cuore batteva all’impazzata e lei aveva tutta l’intenzione di gridare di nuovo, ma invece svenne. Quando si risvegliò, sul momento non capì. Era al caldo. Aveva ancora i capelli fradici, parzialmente appiccicati alla fronte, ma quasi tutto il resto era cambiato. Per prima cosa era distesa per metà su un fianco e per metà a pancia in giù. Stesa su qualcosa di morbido... stoffa sotto la guancia... qualcosa che la copriva, come una coperta... Ci arrivò poco a poco. Era in una cuccetta, con una coperta addosso. Il treno aveva nuovamente guadagnato velocità. Lei non aveva più la maggior parte dei vestiti, ma le avevano lasciato le lunghe mutande di seta, che erano ancora bagnate come lo era stato il resto del suo abbigliamento. Si voltò a metà, sbattendo le palpebre. Era in uno scompartimento di prima classe. Che fosse di prima classe si capiva dalla tappezzeria pregiata e dal fatto che aveva solo due lettini ribaltabili. Fuori la notte era striata dalla neve che cadeva, ma quasi non si riusciva a vedere, perché l’interno era illuminato da due calde lampade a olio fissate accanto alla porta scorrevole. C’era un’altra porticina, in un angolo, che doveva essere quella della ritirata. Mmm... scompartimento con bagno personale. Sì, decisamente doveva essere di prima classe. In quel momento da quella porta uscì un uomo in maniche di camicia. Era un uomo alto, snello, dai capelli e dalle basette scure, tra i trenta e i quaranta. Su uno zigomo aveva una cicatrice, cosa che gli dava un certo aspetto equivoco, ma l’abbigliamento lo qualificava per una persona abbiente. Probabilmente un veterano. La camicia bianca, le cui maniche aveva rimboccato, era di seta, come la cravatta larga grigio-argentea. Aveva un viso serio, dai tratti regolari, con occhi grigi e pensierosi. L’impressione di austerità fu stemperata da un sorriso gentile, quando vide che era sveglia. «Buonasera» le disse, con una voce bassa e piacevole. Sophia si sollevò su un gomito, per poi ricoprirsi subito con la coperta. «Come... chi...» balbettò. L’uomo si sedette sul lettino davanti al suo. «Deve sentirsi un po’ confusa. L’ho... prelevata alla stazione di Grad». Di nuovo, un veloce sorriso gentile, ma anche un po’ imbarazzato. «Spero proprio di aver fatto bene. In quel momento non ho avuto molto tempo per pensare». «Ha fatto meravigliosamente» lo rassicurò Sophia, che iniziava a capirci qualcosa. Fissò gli occhi nei suoi. «Credo che mi abbia salvato la vita». Si passò le dita tra i capelli rosso scuro, ancora più bagnati che umidi. L’uomo distolse lo sguardo. «Mi dispiace per...» borbottò, con un gesto vago. Si interruppe. Si grattò la nuca, a disagio. «Spero che non pensi troppo male di me. Avevo paura che prendesse una polmonite. I suoi vestiti erano fradici di neve e...» «È stato perfetto» lo rassicurò di nuovo lei. «E se qualcuno deve sentirsi imbarazzato quella sono io. Trovarsi in una situazione del genere... non è adatto a una signora. Mi chiamo Sophia Blomgren, piacere di conoscerla» tagliò corto, estendendo una mano. L’uomo la strinse. «Tjark Vinter. Per esaurire l’argomento, ho appeso i suoi vestiti ad asciugare in bagno». Sophia ringraziò di nuovo, mentre pensava a che cosa l’altro potesse aver trovato nei suoi abiti. In realtà nulla di compromettente. Mentre era priva di conoscenza le aveva sfilato gli stivaletti, le calze, il vestito, la camiciola, la sottoveste e il corpetto. Una maggiore propensione per la decenza gli avrebbe suggerito di lasciare il corpetto al suo posto, ma Sophia era felice che il senso della decenza di Vinter non fosse così sviluppato e di non dover più indossare quel capo d’abbigliamento stretto e fradicio. In realtà avrebbe voluto liberarsi anche delle mutande. «Dove sta andando questo treno?» chiese, accantonando l’idea. «È il diretto per Mardh» spiegò l’altro. Lanciò un’occhiata al proprio orologio, un gingillo dalla cassa di platino. «Ne abbiamo ancora per sette ore. Forse vuole riposare un po’». Sophia sorrise appena. «E lei non vuole sapere perché ha dovuto salvarmi da tre aggressori a notte fonda, sulla banchina di una stazione sperduta?». Anche Vinter sorrise, un sorriso veloce e divertito. «Crepo dalla voglia di saperlo, ma non intendevo chiederglielo». «Molto distinto. Be’, non è necessario. Sono una maga dei chiavistelli. Ero stata assunta per aprire una cassaforte, ma il cliente non è stato soddisfatto di quello che ci ha trovato dentro, ossia niente. Si è convinto che io abbia trafugato in qualche modo il contenuto e mi ha fatta inseguire da quei tre bei tipi... a posteriori, ho il sospetto che fosse nell’Ombra». «E l’ha trafugato?» chiese Vinter. Sembrava più divertito che altro. Sophia si accigliò. «No! Non saprei nemmeno come fare». Di nuovo, l’altro sorrise. Erano bei sorrisi, i suoi, pensò lei, sorrisi gentili e vagamente canzonatori. «Suvvia, non si offenda. Se ne fosse stata capace sarebbe stata un portento nel suo campo». Sophia sospirò. «Be’, non lo sono. Per quel che ne so per trafugare il contenuto di una cassaforte bisogna sapere che cosa c’è dentro e averlo già tolto dalla cassaforte. E anche così, servirebbe un mago teletrasportatore o qualcosa del genere». «Mi inchino alla sua competenza. Credo, però, che ora faremmo bene a discutere della nostra sistemazione per la nottata». «Vorrà dormire» considerò lei. Vinter fece dondolare la testa a destra e a sinistra. «Soffro d’insonnia, quindi probabilmente vorrò stendermi a leggere, ma non è escluso che riesca a dormire per qualche ora, tra un po’. Posso spegnere la lampada dal suo lato». «Grazie e... ehm... vorrei infilarmi sotto alle lenzuola, se non è un problema». Di nuovo, Vinter sembrò imbarazzato. «No, certo» disse. Spense la lampada più vicina al lettino di lei e si voltò. «Solo un secondo» disse Sophia. Si liberò anche di quelle insopportabili mutande umidicce. Dato che le arrivavano sotto al ginocchio sfilarsele fu una vera liberazione. Si mise tra le lenzuola completamente nuda con un sospiro felice e si chiese dove infilare... «Dia a me» le venne in aiuto Vinter. «Le appenderò in bagno insieme a tutto il resto». Prese l’indumento dalle sue mani e scomparve oltre la porticina, per riemergerne poco dopo. «Mi dispiace darle tutti questi problemi» disse Sophia. Lui si lasciò cadere sulla sua cuccetta e le rivolse uno sguardo divertito. «Anzi. Ha reso il mio viaggio interessante». +++ Fu svegliata dalla porta che dello scompartimento che si apriva. Subito dopo un controllore si annunciò con un colpo di tosse. Sophia emise un mugolio infastidito, ma poi si ricordò dov’era e spalancò gli occhi. «Sono senza biglietto!» disse. Vinter si voltò verso la porta. Era ancora vestito, anche se si era tolto le scarpe e la cravatta. La coperta lo copriva a metà. Si alzò su un gomito, stropicciandosi gli occhi. «Mh, giusto. Mia moglie mi ha raggiunto all’ultimo minuto, dovrò pagare una multa». Il controllore assentì gravemente. «Temo di sì, signore». Scribacchiò qualcosa sul suo taccuino e gli allungò una ricevuta. Non disse a voce alta l’importo, discreto e distinto come un maggiordomo. Vinter pescò il portafogli dalla tasca della giacca, che era appesa sopra al letto, e allungò al controllore tre banconote. Poco dopo gli veniva consegnato un resto di poche monete. «Vi auguro un buon proseguimento. Arriveremo a Mardh tra un’ora circa». La porta si richiuse alle sue spalle e le tende color vinaccia ondeggiarono leggermente. Sophia sospirò. «Santo cielo, quanto mi dispiace. Naturalmente la rimborserò». «Non dica sciocchezze» ribatté l’altro, liberandosi della coperta. Si stiracchiò, finendo di scacciare il sonno. «Avrò dormito... tre, quattro ore. Un vero record. Ora andrò a prendere i suoi vestiti. Può indossarli mentre mi do una sciacquata... poi possiamo fare cambio. Non vedo alternative». In realtà non era così semplice e se Vinter avesse osservato con più attenzione il corpetto di lei, al momento di toglierlo, l’avrebbe saputo. L’allacciatura, infatti, era sul retro. «Di solito ci pensa la mia assistente» glielo fece notare lei, quando lui le consegnò il mucchio dei suoi indumenti, asciutti, ma non certo in ottimo stato. Lui le lanciò un’occhiata interdetta. Non arrossì – non sembrava il tipo d’uomo che arrossisce – ma fu chiaro che era imbarazzato. Si grattò la nuca, guardando altrove. «Be’, la posso aiutare io. Intanto si infili... il resto». Una decina di minuti più tardi Sophia si era messa le calze, le scarpe, le mutande e la camiciola. Bussò sulla porta del bagno per indicare a Vinter che poteva uscire. «Per essere una donna è stata molto veloce» disse lui, gentilmente. Sophia evitò di guardarlo. Bisognava ammettere che era una situazione imbarazzante, persino per una tipa disinvolta come lei. Non che ce ne fosse motivo, si disse. In fondo la sera prima quell’uomo aveva già visto ben di più di quello che gli stava mostrando lei ora... ma in quel momento Sophia era svenuta, quindi era un po’ diverso. Be’, finì per dirsi, filosoficamente, quell’uomo era chiaramente ricco e anche piuttosto belloccio, di certo non era la prima donna semi-svestita che vedeva. Dato che non portava la fede, anzi, era piuttosto probabile che ne avesse visto un certo numero. «Se permette, chiudo almeno la porta. Ci manca solo che torni il controllore» disse, mentre si infilava il corpetto. Diede una mandata alla serratura ridicolmente semplice che chiudeva lo scompartimento e lanciò un’occhiata a lui da sopra a una spalla. «Mh, dunque...» borbottò Vinter, iniziando a tirare le fettucce che chiudevano il corpetto. Sophia pensò che non potesse essere un compito poi così sgradevole. Aveva una bella figura, con la vita molto stretta, i seni piccoli, il sedere alto e rotondo e le gambe lunghe. I capelli ramati le si riversavano sulla schiena come una cascata e Vinter li scostò con mani delicate. Sì, decisamente quel tipo sapeva alla perfezione come destreggiarsi con un corpetto. «Così va bene?» le chiese, quando ritenne di aver finito. «Stringa ancora un po’» rispose lei. Le dava un curioso piacere, sentirlo armeggiare con la sua bianchieria intima, e le piaceva il modo in cui aveva stretto le fettucce fino a quel momento: delicatamente, ma con fermezza. Lui tirò ancora e Sophia si sistemò bene i seni nelle coppe. «Così» lo fermò. «Ma respira?» fece Vinter. Le posò le mani sui fianchi. «Quasi riesco a toccarmi la punta delle dita». Sophia ridacchiò. «Noi donne non respiriamo». Lui finì di annodare tutto e si allontanò di un passo. Sophia si voltò a metà e capì che, effettivamente, aveva fatto colpo. Vinter la guardava con viso imperscrutabile, sì, ma la guardava eccome. In un altro momento Sophia avrebbe provato il desiderio di approfondire la conoscenza. Non solo non era il caso, ma la classe sociale di Vinter sembrava anche precludere ogni possibilità di frequentarsi. Per finire, sembrava probabile che lui abitasse a Mardh, mentre lei viveva a Olson, a più di cento chilometri di distanza. Si infilò il vestito e si voltò perché lui glielo allacciasse sulla schiena. Il bordo della scollatura era un po’ stracciato e, senza più il bordo di pizzo, l’abito era diventato parecchio più audace di quanto fosse inizialmente. «C’era un bordo di sangallo» si sentì in dovere di spiegare, mentre cercava di tirare un po’ più in su la scollatura. «Quel buzzurro è riuscito a strapparmelo». «Già» fece Vinter, neutrale. Esaminò la questione con sguardo critico – o, a voler essere ingenerosi, le diede una bella occhiata approfondita alle tette. Dopo qualche secondo tornò a guardarla in faccia. «Le dico come faremo: poco distante dalla stazione c’è un sarto. La accompagnerò a comprare uno scialle». «È molto gentile, ma...» «Non posso lasciarla andare in giro così, signora Blomgren. Nell’arco di pochi minuti troverebbe altri tre o quattro malintenzionati. Comprarle uno scialle sarà un vero piacere. Inoltre...» continuò, annodandosi la cravatta con gesti sicuri e veloci, «...suppongo che dovrà tornare a Grad». «Mh? Oh, no. Sono di Olson, è lì che devo tornare. Ma non si preoccupi. Manderò un telegramma alla mia assistente, che mi spedirà una lettera di cambio che...» «Assurdità. Se proprio ci tiene, può rimborsarmi quando sarà tranquillamente a casa sua. Non vedo perché dovrebbe sottoporsi a ulteriori fastidi». I suoi occhi grigi si fermarono in quelli di lei, che erano allungati e verdastri come quelli di un gatto. «Non le sembra di aver già avuto abbastanza avventure?». Per un attimo Sophia si limitò a rispondere al suo sguardo. Poi annuì. Quell’uomo, pensò, era uno dei pochi uomini per bene che le fosse mai capitato di incontrare. +++ La stazione di Mardh era grande e rumorosa. Più di trenta binari finivano lì, coperti da una grande struttura di ferro e vetro, nello stile venuto di moda negli ultimi vent’anni. Le valigie di chi poteva permettersi un incanto di trasporto scorrevano su un lato delle banchine, mentre tutti gli altri portavano i loro bagagli a mano. Tjark Vinter aveva solo una valigetta di pelle blu. Dato che il clima era gelido, oltre allo spolverino aveva anche un lungo mantello di lana pesante, foderato, che però appoggiò quasi subito sulle spalle di Sophia. «Non è necessario» disse lei, cercando di renderglielo. «È assolutamente vitale» replicò lui, allacciandoglielo. «Non si preoccupi, il sarto di cui le parlavo è vicino, potrà ridarmelo molto presto». La precedette fuori dalla stazione. A Mardh non nevicava, ma il cielo era bianco come se stesse per cominciare. I pedoni si affrettavano verso la loro meta ben intabarrati nei propri abiti, le carrozze e le automobili riempivano la grande arteria che correva accanto alla stazione. Vinter fermò un taxi con un gesto della mano. Le aprì la portiera, per poi seguirla all’interno. Sophia annusò l’odore sottile che aveva il suo mantello. Un odore fresco, forse di bergamotto. Vinter diede all’autista un indirizzo. «Lei è la persona più gentile che abbia mai conosciuto» mormorò Sophia. Gli occhi di lui ebbero un guizzo divertito. «Una signora come lei dovrebbe avere delle frequentazioni migliori». «Non sono una signora, sono una maga» ribatté Sophia, più seccamente di quanto avrebbe voluto. Ma Vinter rispose con un mite: «Non sapevo che le due cose si escludessero». Lei sospirò. «Mi perdoni, sono...» «Scossa. È naturale. Non faccia caso a me. Occupiamoci del suo abbigliamento, piuttosto». «Grazie, lei è...» «Normale, spero. Voglio dire: spero che chiunque, al mio posto, si sarebbe comportato nello stesso modo. Siamo arrivati». Scesero dal taxi davanti alla doppia vetrina di una sartoria. Era chiaramente uno di quei negozi in attività da generazioni, che si fa un vanto della propria storia. Quando entrarono la campanella sulla porta segnalò il loro ingresso e una giovane donna molto elegante alzò la testa verso di loro. «Signor Vinter!» esclamò, andandogli incontro. «Che piacere vederla!». «Grazie. Questa mia amica ha avuto un incidente. Il suo bagaglio è andato perso e il suo abito si è rovinato. Avrà bisogno di un vestito nuovo, di un mantello e di uno scialle». «Subito, signor Vinter» trillò la commessa. Sophia sospirò. «Avevamo parlato di uno scialle» sospirò Sophia. «Non avevo realizzato quanto fosse freddo» disse l’altro. Poi chinò lo sguardo su di lei e abbassò un po’ la voce. «Per favore. Mi sentirei molto rassicurato se potesse tornare a casa ben coperta e in condizioni... presentabili. Sebbene sia deliziosa anche in condizioni impresentabili». Sophia gli lanciò un’occhiataccia (finta) e seguì il richiamo flautato della commessa. Venti minuti più tardi uscivano dal negozio. Sophia aveva un nuovo vestito di velluto, questa volta accollato, un mantello foderato e uno scialle a motivi blu e oro che costava più di quanto le sarebbe teoricamente fruttato il lavoro di Grad. Tornarono verso la stazione a piedi e Sophia accettò di buon grado il braccio che Vinter le offriva. Accettò anche alcune delle sue banconote, ma quelle non di buon grado. «Mi lasci un recapito a cui restituirle quello che mi ha prestato» gli disse, in tono deciso. «Se insiste...» disse lui. Tirò fuori una matita argentata e un cartoncino, per poi scriverci velocemente sopra un indirizzo. «Non è necessario, lo sa. Conoscerla è stato un vero piacere». «Anche per me» rispose Sophia, ed era assolutamente onesta. «Le sarò per sempre grata. Mi dica se c’è qualcosa che...» «Sì, una cosa» annuì Vinter. Lei sorrise e inarcò un sopracciglio. Lo sguardo di lui era intenso e per un attimo pensò che le avrebbe chiesto di fermarsi un altro giorno, o, per meglio dire, un’altra notte. Con lui. O forse era lei che l’avrebbe desiderato? «Quelle persone... non avevano buone intenzioni. Se appartenevano all’Ombra... be’, non devo dirle io che sono dei farabutti. Mi assicura che sarà in grado di evitarle, una volta tornata a casa?». Sophia annuì, quasi delusa. «Certo. Le assicuro che non tornerò a Grad per un pezzo». «Molto bene, allora» sorrise lui. Si chinò per rivolgerle un baciamano perfettamente formale. «Buon viaggio, Sophia Blomgren».
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