PROLOGO

841 Words
PROLOGO Quella era l’ultima volta che presentava un suo libro in un paesino che nessuno aveva mai sentito nominare. Doveva parlare con il suo agente pubblicitario e informarlo che la presenza di una libreria non bastava a fare di una cittadina una grande metropoli. Certo, sarebbe sembrata una snob a fare un’osservazione del genere, ma non le importava. Erano le 22:35 e Delores Manning guidava lungo una strada a due corsie in un posto sperduto dell’Iowa. Era perfettamente consapevole di aver sbagliato strada una quindicina di chilometri prima, dato che subito dopo il navigatore era morto. Nessun segnale. Ovviamente. Era proprio la ciliegina sulla torta di quell’orribile weekend. Delores era su quel tratto di strada da almeno dieci minuti. Non aveva visto segnali di stop, né case. Niente. Soltanto alberi e un cielo notturno sorprendentemente bello. Stava seriamente considerando di fermarsi in mezzo alla strada e fare un’inversione a U. Più ci pensava, più le sembrava una bella idea. Stava per schiacciare il pedale del freno quando il suono di uno scoppio riempì l’auto. Delores gridò per lo spavento, ma la sua voce fu subito sovrastata da un altro forte rumore e la macchina sembrò inclinarsi per poi sbandare a sinistra. Con una sterzata riuscì a raddrizzarla, ma si accorse che non avrebbe potuto proseguire, l’attrito con l’asfalto era troppo. Si arrese e riuscì ad accostare, parcheggiando il veicolo per metà fuori dalla carreggiata. Accese le quattro frecce e sospirò. “Merda” disse. Mi sa che è scoppiata una gomma, pensò. E se è così... accidenti, non ricordo neanche se ne ho una di scorta nel bagagliaio. Ecco cosa succede quando mi ostino ad andare ovunque con questa trappola mortale di macchina. Ragazza, stai per diventare un’autrice di successo. Che ne diresti di cominciare a sborsare un po’ di soldi per aerei e macchine a noleggio? Fece scattare la serratura del bagagliaio, aprì la portiera e uscì nella notte. L’aria era pungente, con l’inverno che incombeva sul Midwest incalzando l’autunno. Si strinse nel cappotto e tirò fuori il cellulare. Non si stupì affatto di vedere che non c’era segnale; era così da almeno venti minuti, da quando il navigatore aveva smesso di funzionare. Ispezionò gli pneumatici e vide che sia la ruota anteriore che quella posteriore dal lato del guidatore erano a terra. Notò un luccichio sulla ruota anteriore e si inginocchiò per guardare meglio. Vetri, pensò. Sul serio? Quindi sono stati i vetri a farmi scoppiare le gomme? Osservò la ruota posteriore e vide molti altri spuntoni uscire dalla gomma. Guardò indietro lungo la strada ma non vide niente. Questo però significava ben poco, dato che la luna era quasi del tutto nascosta dietro gli alberi e c’era un buio pesto. Andò al bagagliaio, sapendo già che qualunque cosa avesse trovato, sarebbe stata inutile. Anche se ci fosse stata una ruota di scorta, a lei ne servivano due. Furiosa e un po’ spaventata, richiuse con forza il bagagliaio, senza nemmeno prendersi il disturbo di controllare. Prese il cellulare e, sentendosi un’idiota, si arrampicò sul retro della macchina. Tenne il telefonino in alto, sperando di vedere anche soltanto una tacca di segnale. Niente. Non farti prendere dal panico, pensò. È vero, sei in mezzo al nulla, ma prima o poi passerà qualcuno. Tutte le strade portano da qualche parte, no? Non riuscendo a capacitarsi di come fosse andato quel fine-settimana, tornò in auto, dove il riscaldamento faceva ancora il suo lavoro. Inclinò lo specchietto retrovisore in modo da vedere eventuali auto in avvicinamento, poi rivolse lo sguardo in avanti per tenere d’occhio anche chi arrivava da davanti. Mentre rimuginava sul fallimento della sua presentazione, sulla pubblicità sbagliata e sui due pneumatici a terra, vide dei fanali davanti a lei. Erano passati solo sette minuti, perciò poteva ritenersi fortunata. Aprì la portiera per far accendere la luce all’interno dell’abitacolo e rendersi ancora più visibile. Uscì e rimase vicina alla macchina, facendo dei cenni al furgone in arrivo. Appena notò che stava rallentando, si sentì sollevata. Il furgone deviò nell’altra corsia e parcheggiò davanti alla macchina di Delores. L’autista azionò le quattro frecce e scese dal veicolo. “Salve” disse l’uomo, che pareva sui quarant’anni. “Salve” disse Delores, studiandolo. Era troppo incavolata per la sua situazione per diffidare di un estraneo che si fermava di notte per aiutarla. “Problemi con la macchina?” le chiese. “Può dirlo forte” disse Delores indicando gli pneumatici. “Due gomme a terra contemporaneamente. Riesce a crederci?” “Oh, è terribile” commentò l’uomo. “Ha chiamato il soccorso stradale o un’officina?” “Non c’è segnale” rispose. Stava per aggiungere Non vivo da queste parti, ma decise di non dirlo. “Allora può usare il mio cellulare” disse. “Di solito ha sempre almeno due tacche.” Si avvicinò, mettendo la mano in tasca per prendere il telefono. Invece non fu un cellulare quello che tirò fuori. Delores era molto confusa da quello che vedeva. Non aveva senso. Non capiva cosa fosse e... All’improvviso le arrivò in faccia, velocissimo. Un istante prima di essere colpita, riconobbe dalla forma e dalla lucentezza cosa ricopriva le dita dell’uomo. Un tirapugni. Quando la colpì alla fronte, sentì un forte rumore, provò un’ondata di dolore e le ginocchia le cedettero, facendola rovinare a terra, sull’asfalto. L’ultima cosa che vide fu l’uomo che si chinava verso di lei con fare quasi amorevole, i fanali del furgone puntati su di lei. Poi il mondo si fece completamente nero.
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