2.-1

2004 Words
2. Tre anni fa Mary Harvey entrò nella lobby del grande hotel sulla Quinta Strada e si guardò attorno. Quasi subito un portiere in livrea le andò incontro e le chiese se poteva aiutarla. Mary Harvey capì di non avere il classico aspetto dei clienti di quel posto, nonostante avesse fatto di tutto per essere elegante. Aveva addosso un tubino verde smeraldo, degli stivali neri con il tacco e una giacchetta nera che le faceva fin troppo freddo. Sotto era vestita da battaglia. «Ci dev’essere una stanza a mio nome. Cioè, mi hanno detto di aver prenotato una stanza» balbettò. «E il suo nome?» chiese il portiere, con un sorriso condiscendente. «Mary Harvey Cornell». «Venga con me. Vediamo subito». La guidò verso un bancone gigantesco, di marmo marrone chiaro. Era così che si diceva? Non aveva mai sentito definire “marrone” il marmo. Attorno a loro persone di tutte le età si avvicinavano per prendere le chiavi, lasciare le chiavi, chiedere servizi, informazioni, ricevute... Il portiere attirò l’attenzione di una ragazza in completo blu. Le riportò le parole di Mary Harvey. La ragazza scrisse qualcosa sul computer e disse: «Sì». La guardò con espressione completamente neutra. «La suite Excelsior, trentaduesimo piano. Ho già consegnato le chiavi, la stanno aspettando». Il portiere la indirizzò verso uno degli ascensori. Anche lui aveva cambiato espressione e ora il suo viso non rivelava più nulla. Sapeva che cosa stava succedendo? Lo immaginava? Non ci voleva poi una gran fantasia per capire che quella bella ragazza era una escort. Mentre attraversava la lobby piena di gente, Mary Harvey si rese conto che le gambe le si muovevano a fatica. Non essere stupida, che cosa vuoi che sia? si disse, infastidita con se stessa. In ascensore c’era un addetto in uniforme. Un altro. In quel posto non c’erano che addetti in uniforme. Mary Harvey gli disse il piano, lui premette il pulsante. Dietro di lei entrarono due uomini sulla settantina e anche loro dissero il loro piano. L’addetto premette il pulsante. E così via. Che razza di mestiere era quello? L’ascensore salì veloce. I due uomini scesero. «Trentaduesimo piano» annunciò l’addetto. «Grazie» disse Mary Harvey, scendendo, anche se non sapeva proprio di che cosa lo stesse ringraziando. Aveva solo premuto un pulsante. Su una placca dorata c’era scritto “Suite Excelsior”, sotto c’era una freccia. Mary Harvey seguì la freccia. Puoi ancora tornare indietro, le suggerì una vocetta, da qualche parte nelle profondità del suo cervello. Ma non voleva tornare indietro. Era pronta. Si era documentata molto. Aveva fatto anche qualche esperimento sul campo, ma senza esagerare. Non voleva che, presa dalla passione, le cose le sfuggissero di mano. Ma non c’era stata alcuna passione, e i ragazzi con cui era stata in intimità non le avevano trasmesso nessun brivido particolare. Li aveva allontanati prima che si avvicinassero troppo al bene che intendeva mettere in vendita. La porta della suite era aperta. Bussò sullo stipite, prima di entrare. «Oh, eccola qua! Bella come in foto!». Mary Harvey si sentì venire meno. Era quello il tizio con cui stava per andare a letto? Un arabo sulla cinquantina, basso, cicciotto, con i capelli radi e neri. Dietro di lui, due marcantoni in completo nero: la security? «Sono Yassif Al-Bassas, l’assistente di... uhm, il suo cliente. Può chiamarlo Rashid, solo Rashid, gli piacerà». Aggiunse un ordine in arabo a uno degli addetti alla security, che andò a chiudere la porta, anche se non a chiave. Erano nella prima stanza della suite, una specie di vestibolo. Le pareti erano coperte da una carta da parati elegante e chiara, i mobili erano classici e bianchi. Mary Harvey non era mai stata in un posto come quello, neppure da bambina, ma sapeva distinguere il lusso, se lo vedeva. L’idea che quello che aveva davanti non fosse il suo cliente da un lato la sollevava, dall’altro la preoccupava. Su internet non aveva trovato una singola foto di Rashid bin Muhammad al-Kabir, ma il nome corrispondeva: doveva essere lui davvero. Quindi, in teoria, doveva avere trentun anni. Non che volesse dire chissà cosa, ma andare con un vecchio l’avrebbe messa ancora più a disagio. «Prima di entrare dovranno controllarti un attimo, cara» le disse l’assistente, lì, Yassif. Mary Harvey sbatté le palpebre. «Perquisirti. Sono sicuro che non hai armi addosso, ma le precauzioni non sono mai abbastanza». «Oh, certo» annuì lei. Era tutto folle e si sentiva la testa leggera, fin troppo leggera. Si sfilò la giacca e uno dei due energumeni la prese dalle sue mani. L’altro la perquisì in modo sommario, senza allungare le zampe più del dovuto. Annuì in direzione di Yassif. Lui la scansionò con attenzione. Il suo sguardo era quasi bonario, ma Mary Harvey ebbe l’impressione che cercasse un modo gentile per dirle che non andava bene. Aggrottò la fronte. Lei non andava bene? «Ti dico come faremo, cara. È la cosa migliore, più semplice per tutti. Puoi andare in bagno – è subito qua dietro – e mettere l’accappatoio dell’albergo». «Cioè, mi devo... spogliare e mettere l’accappatoio?». Yassif sembrò quasi dispiaciuto. «Sì, sì. È meglio» confermò. E Mary Harvey capì chiaramente che il suo outfit era disastroso, almeno secondo i loro standard. Sospirò. «Il trucco?». Un’altra espressione quasi imbarazzata. «Vedi, il mio datore di lavoro cerca... l’innocenza». Mary Harvey annuì. Si strinse nelle spalle. «Okay». Per lei non cambiava nulla, in fondo. Chissà che cavolo di innocenza cercava quel tizio in una che vendeva la sua verginità online. Bah. Altre culture, senza dubbio. Altre perversioni. Seguì le indicazioni dell’assistente e andò in bagno. Un bagno enorme, con il pavimento di marmo – ancora quel colore che non poteva essere “marrone chiaro” – e le maniglie dei sanitari dorate. Un folto tappeto. Una grande vasca idromassaggio tonda. Si spogliò in fretta e si guardò nello specchio sopra il lavandino. Non aveva tatuaggi, il suo corpo era intatto sotto ogni punto di vista. Al look da dare alla sua farfallina vergine aveva pensato per diverso tempo. Rasarla completamente sembrava troppo aggressivo. Lasciarla al naturale era da escludersi. Alla fine aveva preservato un piccolo rettangolo di peli rossicci sul monte di venere, ed eliminato tutti gli altri. Ora si sciacquò la faccia, la tamponò con uno degli spessi asciugamani color crema, e si infilò l’accappatoio. Addio completino intimo di pizzo nero, addio calze autoreggenti. Il suo acquirente voleva l’innocenza! pensò, con una risata mentale. Uscì dal bagno e andò verso la camera da letto. Voleva solo togliersi quel dente. Finire alla svelta e tornare a casa molto più ricca di prima. +++ Quello è Rashid bin Muhammad al-Kabir? C’è qualcosa di sbagliato. Oh, c’è qualcosa di totalmente sbagliato, per forza. In realtà vuole affettarmi. Farmi male in qualche modo. Quel tizio lì non può aver pagato per la mia v****a. È seduto in poltrona, le gambe accavallate. Pantaloni scuri, una camicia bianca dalle maniche rimboccate, aperta su un torace... perfetto. È perfetta tutta la confezione, non ci sono altre parole. Il viso dai tratti aquilini può piacere o non piacere, presumo, ma lo definirei comunque attraente. Ha un pizzetto nero, folto, ma non è troppo peloso. Anche gli occhi sono neri, neri e divertiti. I capelli gli ricadono in riccioli scuri attorno al viso. Dubito che sembrerebbe buffo anche con la tovaglietta in testa e la camicia da notte addosso. Ora è scalzo e... uhm, si sta alzando. È alto e snello. In forma. Si è dato da fare in palestra e si vede. Ha nove anni più di me, ma sembrano meno. Nel contempo, sembrano anche di più, quando mi guarda con quell’espressione quasi ironica. «Mary Harvey» dice. «Non hai un diminutivo, qualcosa di più giocoso?». Ha un accento. Un vago accento mediorientale, ma parla in modo appropriato. «Uhm... Polly». Inarca le sopracciglia. «Polly. Come si arriva da Mary Harvey a Polly, solo per curiosità?». Emetto una risatina nervosa. Sta cercando di mettermi a mio agio? Non ci sta riuscendo. «Da Mary, presumo. Mary, Molly, Polly. È così che funziona in... uhm». «In inglese, chiaro. Tutto funziona sempre in modo illogico, in inglese. Bene, Polly». Se lo rigira in bocca e ho l’impressione che mi prenda in giro. Che in fondo si aspettasse qualcosa di più, qualcosa di meglio. Si avvicina ancora. Io resto ferma. Dio, come non voglio essere qua. Ma ormai ci sono e non so come comportarmi. Il panico mi cresce dentro sempre di più e decido di confessare. Che altro posso fare? È chiaro che non voleva me. Voleva qualcosa di diverso. Di meglio, almeno ai suoi occhi. «Non... non so cosa fare» dico. «Mi dispiace». Sorride. Ancora un sorriso divertito. «Perché, che cosa devi fare? Niente, cedere. Sii donna, la parte passiva. A tutto il resto penso io». È rassicurante, in un certo senso. In un altro non è giusto, se capite il mio punto. Dovrei comunque avere voce in capitolo, no? Ma forse no, alla fin fine. Gli ho venduto il mio corpo, lui l’ha comprato. Che voce in capitolo dovrei avere? Ora è vicinissimo. Mi solleva il mento con due dita, mi scruta con quegli occhi neri come ossidiana. «Hai paura?». «N-no». «Non devi averne. Come ti ho già detto, penso a tutto io. Togliamo questo affare». L’escalation è improvvisa. Continua a guardarmi, io a guardare lui, ma la sua mano disfa il nodo del mio accappatoio. Mi mordo le labbra per non lanciare un urletto spaventato. Lo sta per fare sul serio, eh? Sta per accompagnarmi al letto e... Mi fa scivolare via l’accappatoio. Quello cade a terra con un rumore attutito. Come diavolo esco da questa situazione? Continua a guardarmi e ora in fondo ai suoi occhi non vedo più solo divertimento, ma lussuria. È eccitato, malgrado tutto. O forse è la mia paralisi a eccitarlo, il fatto che non riesco a muovermi, non riesco a fare nulla. La sua mano su un fianco mi fa sobbalzare. «È diverso, ma in fondo simile» dice lui, senza spostare la mano. Tremo. «C-che cosa?». «Alle altre volte. Shh». China la testa, le sue labbra colpiscono le mie. È quella l’impressione. La sua barba punge, ma la sua bocca è morbida. Mi accarezza una guancia e mi convince ad aprire la mia. Dio, che cosa sta... mi ha messo la lingua dentro. Non ha un cattivo sapore, ma... mh, sta giocando con la mia lingua. Mi sta spingendo a rispondere. Posso... farlo? La sua mano si stringe sul mio fianco e io decido di starci. Che pensiero idiota, ho deciso di starci quando abbiamo chiuso l’accordo, ma ora è quando decido davvero di starci. Rispondo al suo bacio e sento le sue labbra che si incurvano in un sorriso. Non so che cosa fare con le mani. Le appoggio sul suo petto, mentre continuiamo a baciarci. «Spogliami» ordina lui. È una soluzione anche quella. Mi sembra di essere sulle montagne russe. Vorrei rallentare, ma i comandi sono in mano a lui. Gli sfilo la camicia. Gli slaccio la cintura. Lui prende il mio polso e mi guida la mano nei suoi pantaloni. Il primo impulso è di tirarla via, ma poi cedo. L’ha detto anche lui: è il mio unico compito. Me lo fa sentire. Me lo fa toccare. Emetto un suono preoccupato e lui ride nella mia bocca. «Non ne avevi mai stretto uno? O è qualcos’altro che non va?». «V-va tutto bene» dico io, con voce debole. Ma non va bene per niente. Mi ammazza. Mi sventra, ne sono sicura. Quando vedi un pene in un film... be’, di solito è grosso. Lo sembra. Saranno le inquadrature, le luci. Quando poi ne vedi uno vero, insomma. Di solito è diverso. Più maneggevole. Questo no. Questo non è maneggevole. È liscio, e lungo, e sagomato in un modo... diverso. Mi ci tiene la mano sopra finché non mi abituo al suo calore. Sta respirando in fretta, ora. Sono io? È per me che respira così? Si scrolla via i pantaloni, mi sospinge verso il letto. Oh, Dio, ci siamo. Cado all’indietro, lui mi è sopra. Aiuto, sta per farlo! Ma non succede. Mi trovo solo sul materasso, il suo corpo sul mio. Sento la sua... appendice, sulla pancia. Okay, usiamo le parole giuste: è il suo cazzo. È il suo cazzo quello che sento sulla pancia ed è sterminato. Continua a baciarmi. Non so proprio come fare a scappare. Il suo corpo è pesante sul mio. Le sue mani mi accarezzano. «Sul serio... ci penso... io...» lo sento ansimare nel mio orecchio. E allora pensaci! vorrei gridargli. Fai qualcosa! Scopami, ammazzami, almeno poi sarà finita! Ma le sue mani mi accarezzano, mi toccano ovunque. Dio, perché non lo fai e basta? Mi rivolta. Mi trovo sopra di lui, a cavalcioni su di lui, il corpo steso sul suo.
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