2.

3182 Words
2. All’apparenza Habra era una città mediorientale come tante altre. Aveva una bellezza particolare, polverosa, e la gente sembrava sempre troppa. Ma non ci voleva molto ad accorgersi che in giro c’erano ancora fin troppi occidentali e che la maggior parte di loro indossava un’uniforme. La parte nord del paese era in mano ai Veri Patrioti e il governo rappresentava solo una parte delle etnie della popolazione. L’Harbat era una nazione fragile e Habra rifletteva questa fragilità. «Quando veniamo chiamati il crimine di solito c’è già stato» le spiegò Calo durante il loro primo giro per la città. Si muovevano in jeep e il consiglio era di scenderne il meno possibile. «Reich me l’ha spiegato» rispose Tony. «Mi ha anche dato un pacco di articoli da leggere. Roba sulla società harbattiana e anche qualche statistica inquietante sui marines». «Già. Li dà a tutti. Il problema è che dicono cose vere». «Che i soldati sono antisociali e le soldatesse tendono a cercare partner abusanti?». «Be’, non tutti, è chiaro. Solo una piccola percentuale, in realtà... ma qua ci sono soldati a pacchi e la popolazione locale... non è sempre in grado di difendersi». «Nessuno mi ha molestata, da ragazza. Non è per quello che mi sono arruolata». Calo diede una scrollata di spalle. «Io ero in una brutta compagnia. Non vado lo stesso a sbuzzare harbattiani inermi o violentare donne. Ma ti posso assicurare che il numero di denunce che arrivano fino a noi sono una piccola percentuale degli abusi di potere che vengono commessi davvero». Poi le rivolse un sorriso divertito. «E quindi perché ti sei arruolata?». Aveva chiaramente deciso di stemperare il discorso e Tony lo apprezzò. Sorrise a sua volta. «Sono cresciuta vicino a Fort McHintre. Vedevamo soldati in continuazione. Le mie amiche volevano farsene uno, ma io pensavo che sarebbe stato più figo diventare una di loro». Calo ridacchiò. «È il problema con le ragazze della nostra generazione». «Be’, poi qualcuno me lo sono fatto lo stesso». Lui aprì la bocca, ma poi la richiuse, come se si fosse trattenuto all’ultimo momento. Tony gli lanciò una lunga occhiata. «Sì, giusto?» gli chiese. «Non voglio essere invadente né nulla, ma...» Lui emise una risata un po’ a disagio. «Sì, stavo per dire che qualcuno me lo sono fatto anch’io, solo che non... come dire, non ne parlo, se posso evitarlo». «Okay per me. Amy non se n’è accorta, giusto?». Calo la osservò per qualche istante, come soppesandola. «No, no» disse, alla fine. «Ma quella pensa solo a Reich». «E tu?». Lui rise. «Macché. È etero da matti e per di più non scopa». Era già il secondo che glielo diceva e Tony si chiese come facessero loro a saperlo. Nessuno può mai dire di conoscere fino in fondo le persone che ha accanto, figuriamoci con un superiore. Ma era anche vero che i pettegolezzi nelle basi come la loro correvano veloci e se Reich avesse passato tutte le notti con una ragazza diversa probabilmente si sarebbe saputo. Era la loro incrollabile sicurezza che non scopasse “e basta” a lasciarla perplessa. «Sarà». «Ma, a parte tutto, come capo è a posto, molto più a posto della maggior parte di quelli che ho avuto, non vedo perché dovrei infastidirlo puntandomelo. Ora basta parlare di lui, altrimenti penserai di essere stata assegnata a un’unità di uncinetto, invece che a una di polizia». «Be’, in fanteria sono come comari. Forse voi siete meglio». «Noi, volevi dire». Lei rise. «Già. Noi. Devo ancora abituarmi». +++ Ma abituarsi non era molto difficile. La prima settimana Tony fece coppia con Calo. Si occuparono di una segnalazione per un furto ai danni di un marine e poco altro. Il loro compito era quello di svolgere un’indagine di polizia e arrestare un colpevole se riuscivano a individuarlo, niente di più e niente di meno. Non stava a loro intervenire nei casi di emergenza o sedare le risse tra soldati. La loro era un’unità investigativa. Oltre ai quattro agenti, la loro unità usufruiva dei servizi anche di una traduttrice-mediatrice culturale, Amina. Amina era giovane, velata e timida. Diventava color fuoco ogni volta che Reich le parlava e neppure la carnagione scura la aiutava a nascondere la cosa. Reich, con grande tatto, fingeva di non accorgersene. Tony si chiedeva perché tutti sembrassero subire il suo fascino. Era belloccio, questo doveva concederglielo, ma non era attraente in modo eccezionale. Era alto, in forma come quasi tutti i soldati e aveva un viso interessante, tutto qua. Era cortese, formale e non insultava i sottoposti d’abitudine. Ma non era favolosamente bello, simpatico o chissà che. Iniziò a penetrare quello che le sembrava un enigma alla sua seconda settimana sul campo. «Abbiamo ricevuto una segnalazione» disse Reich, durante la loro abituale riunione mattutina. «Un presunto codice 5B, condotta impropria nei confronti di un sottoposto. La segnalazione proviene dal soldato semplice Horacio Perez... trovate i suoi dati completi nel fascicolo. Il superiore è il sergente Cahill, della sua stessa unità. Sembra un classico caso di bullismo». Aveva parlato appoggiandosi a una scrivania, con le braccia conserte, come tutte le mattine. I bicipiti gli tendevano la maglietta e Amy sembrava prossima a sbavare. «Perez sostiene che il sergente Cahill abbia iniziato a prendersela con lui dopo che, a suo avviso, avrebbe esposto la sua unità al ridicolo durante la visita di un funzionario da Garamantia. Non ho altre informazioni su questo, ma probabilmente un’infrazione minore delle procedure o una gaffe di qualche tipo. Da quel momento Cahill avrebbe preso di mira il soldato semplice Perez, specie durante le esercitazioni in palestra, costringendolo ad allenarsi più a lungo e più duramente degli altri, umiliandolo davanti ai commilitoni con commenti sulla sua forma fisica e sulla sua virilità fino a usare le mani... scappellotti, calci e altre forme di leggera prevaricazione fisica. Questo trattamento continua da due settimane circa». Si staccò dalla scrivania e andò a prendere un blocco, su cui segnò qualcosa. Era imperturbabile come sempre, ma sembrava un po’ triste. «Darren. Sei qua da poco e forse hai ancora bisogno di orientarti. Vatti a orientare dalle parti del bar e vedi se riesci a capire che tipo è questo Cahill. LeRoy, stesso compito, ma su Perez. Lascio decidere a te come reperire le informazioni». Amy annuì con un’aria di chiarissima adorazione che Reich fece finta di non notare. «Calogero, tu andrai a interrogare Perez stesso. Voglio che ti accerti di quanto è stato maltrattato obbiettivamente. Con garbo, okay?». «Sissignore». «Diaz, tu vai in palestra. Vedi se trovi testimoni tra il personale civile. Venite a rapporto non appena avete qualcosa». +++ Darren rientrò nell’edificio della loro unità con la maglietta che gocciolava birra. Aveva intenzione di passare dal suo alloggio e cambiarsi, ma incrociò Reich nel corridoio con una bottiglietta di succo di frutta in mano. «Agente Darren. Sembra che la sua inchiesta faccia progressi» commentò, con un sorriso. L’aveva squadrata da capo a piedi, bonario, e i suoi occhi non si erano soffermati un istante più del dovuto sulle tette bagnate di birra di lei, né sui suoi capezzoli dritti per la differenza termica. Ciò nonostante Tony si sentì un po’ imbarazzata. Era semplicemente fradicia, il suo reggiseno sportivo era zuppo quanto la t-shirt, la stoffa era appiccicata alle sue tette e quei maledetti capezzoli sporgevano come due sassolini. «Già. Stavo venendo da lei, signore» disse, con gli occhi a terra. «Vada a mettersi qualcosa di asciutto, prima. A meno che non sia urgente. È urgente?». «Non penso». «Vada» concluse Reich. Era un pensiero premuroso e Tony gliene fu grata. Scivolò via e si diresse a passo veloce verso la sua camerata. Ovviamente subito dietro alla porta si imbatté in Diaz. Lui la guardò e rise. «Ti si vedono i capezzoli, Darren». «Già, grazie, non ci avevo fatto caso» borbottò lei, infilandosi oltre il muro. Si liberò di maglietta e reggiseno e ne cercò due nuovi. «Hai litigato con qualcuno, al bar?» chiese Diaz. Sembrava divertito, ma in modo cameratesco. «Più o meno. Ho incontrato un tizio piuttosto insistente. Reno Wyte, lo conosci?». «Come no. Glorioso corpo dei marines, terza brigata. È molto sicuro di sé». «Me ne sono accorta. Merda. Merda, non ho più reggiseni». Diaz ridacchiò di nuovo. «Sembra interessante». «No, sul serio. Sono tutti da lavare tranne quello zuppo di birra. Merda. Dovevo far partire una lavatrice ieri sera, ma mi sono dimenticata». «Prendine in prestito uno da LeRoy». Tony tirò fuori la testa da dietro la parete divisoria. «Mi prendi per il culo?». Diaz le rivolse un ghigno dispettoso. «Puoi usarne metà». Tony sospirò e usò la parte asciutta della sua t-shirt per ripulirsi. Poi si infilò una maglietta sulla pelle nuda. Come tutte le magliette dell’uniforme era verde marcio e leggermente elasticizzata. I suoi capezzoli erano ancora piuttosto dritti e si vedevano, ma meno di prima. Uscì da dietro il muro. «Secondo te?». Diaz le lanciò un’occhiata bella approfondita. «Secondo me è meglio che non torni al bar. Non è che per caso vuoi scopare?». Tony inarcò le sopracciglia. «Be’, okay, si faceva per chiedere. In ogni caso si vede tutto, ma solo se la tipa con cui vai a letto ti ha mandato in bianco e non inzuppi da tre settimane. Che poi è il mio caso». «Sono affranta» lo prese in giro lei, infilando la porta. La sua voce la seguì nel corridoio. «Ho un pene enorme, pensaci». +++ Poco dopo bussava sulla porta dell’ufficio di Reich e veniva invitata a entrare. Era quasi sicura che ormai il suo abbigliamento fosse più che decente. Per prima cosa aveva un seno piuttosto piccolo, che strettamente parlando non aveva bisogno di reggiseni. Inoltre di solito Reich ti dava il permesso di sederti non appena entravi – non era il tipo che ci gode a lasciarti in piedi – quindi la scrivania avrebbe coperto quasi tutto. Poi doveva andare a fare quella lavatrice, per forza. Erano gli svantaggi di non essere in una compagnia numerosa, con i turni di lavanderia e le corvée. Quella volta, tuttavia, fu Reich ad alzarsi non appena lei entrò. Prese una valigetta a tracolla da un armadio e disse: «Venga con me, agente Darren. Mi racconti mentre camminiamo». Al contrario di pochi minuti prima sembrava teso e preoccupato. Tony gli si affiancò. «Sissignore. Sono andata al bar, come da suoi ordini. Ho individuato facilmente i compagni di Perez in libera uscita. Ho attaccato bottone e ho cercato di guidare il discorso verso i superiori antipatici. Be’, pare che Cahill sia un simpaticone. Stravedono tutti per lui. Sono... nuovi, signore». Reich la guardò. «Sì, lo supponevo. Da quanto tempo sono in Harbat?». «Meno di un mese. Sono ancora tutti innamorati del rude sergente istruttore di qualche film del c...» Diede un colpo di tosse. «Di qualche stupido film, signore». «La parola “cazzo” non mi scandalizza, comunque» puntualizzò lui, con un lievissimo sorriso. Ma c’era qualcosa che lo angustiava. Camminava veloce e Tony per stargli dietro doveva trottare. Ovviamente quando poteva succedere se non quando sei senza reggiseno? Appunto. «Insomma, in ogni caso lo adorano. Sono un piccolo branco di iene, se mi permette il giudizio irriguardoso. Se Cahill maltratta Perez è probabile che loro lo trovino divertente». «Maltrattava» la corresse Reich. Tony sbatté le palpebre. «Mi scusi, signore... dove stiamo andando?». Lui scosse lievemente la testa. «Calogero non riusciva a rintracciare Perez. Alla fine l’ha trovato impiccato nei bagni del suo dormitorio. Presumo che sia successo poco fa. O meglio, lo spero». Lei si morse il labbro inferiore, presa da una specie di brivido. Anche lei sperava che fosse avvenuto da poco. Sperava che i suoi compagni di unità non avessero visto il corpo e deciso di aspettare che lo trovasse qualcun altro. «Ma continui con il suo rapporto, per favore». «Non ho molto altro da aggiungere. Da come parlavano del sergente Cahill sembrava che le sue spacconate fossero divertenti. Hanno accennato a serie di flessioni date per punizione e roba del genere, ma, diciamocelo anche il mio istruttore lo faceva ed era un bravo istruttore. Quindi non posso dire di aver raccolto chissà quale conferma, se non una puramente ipotetica: il sergente è il tipo da farlo». «Capisco. Sì, mi risulta che Cahill addestri i neo-arrivati da un sacco di anni senza grandi lamentele... ma non vuol dire nulla. Credo che abbia addestrato anche diversi elementi della mia ex-unità. È difficile mettersi contro un tipo del genere, una specie di istituzione. Ha qualcos’altro da segnalare?». «Nossignore» rispose lei. Non intendeva lamentarsi di Wyte con un suo superiore. Intendeva staccagli le palle a calci se solo avesse provato a importunarla ancora. «Mi scusi se insisto, credo che abbia qualcosa da segnalare. Un nome e forse anche una breve spiegazione». Tony non poté impedirsi di lanciargli uno sguardo seccato, al quale Reich rispose con un lieve grugnito. «Conoscere i nomi dei piantagrane mi serve. A prevenire le grane, se possibile, o a individuare i colpevoli più facilmente, se la grana c’è già stata. E capisce che era un ordine, agente Darren». «Sissignore» disse lei. Le sue parole avevano senso e ora le dispiaceva essere stata omertosa. «Il nome è Reno Wyte, terza brigata royal marines. Le nostre opinioni in fatto di corteggiamento e buone maniere divergono». Reich si limitò a un piccolo cenno d’assenso, come a dire che era tutto quello che voleva sapere. Si fermò davanti a una porta. «Siamo arrivati. Delle rilevazioni si occuperanno i tecnici, ma voglio che tenga gli occhi aperti, Darren. Naturalmente Perez non sarà il suo primo morto, ma potrebbe essere il suo primo impiccato, mi sbaglio?». «No, signore». «Non sarà bello». +++ Non era bello, questo era sicuro. Perez si era impiccato nel cubicolo di un bagno a un tubo dell’acqua che scorreva a pochi centimetri dal soffitto. Dato che il sangue non aveva potuto defluire il suo viso era violaceo, gonfio, irriconoscibile. Gli occhi gli sporgevano dalle orbite, la lingua dalla bocca e l’odore di feci era nauseante. Reich si identificò e si avvicinò lentamente al corpo, che ancora dondolava lievemente. Lo guardò con espressione addolorata e sfiorò una delle mani immobili. Tirò fuori dalla valigetta una macchina fotografica piuttosto professionale e scattò un paio di foto. Osservò il soffitto, le pareti del cubicolo, il water e il pavimento del bagno. Si allontanò e guardò anche in tutti gli altri cubicoli, per poi tornare verso la zona dei lavandini, dove Calogero aveva da poco finito di rimettere. Tony, meno impressionabile di lui, aveva seguito il capo in ogni fase dell’esame. Lei stessa era giunta a qualche conclusione, ma quello non le sembrava il momento migliore per parlarne. «Si sente meglio, Calogero?» chiese Reich, posandogli una mano su una spalla. «S-sì, signore. Mi scusi, signore». «Non è un problema. Se vuole può aspettarci in ufficio». «Grazie, signore. Ce la faccio». «Molto bene». L’attenzione di Reich si puntò di nuovo sul team forensico che si stava occupando della scena. La sua fronte si aggrottò leggermente, ma poco dopo la sua espressione sembrò rivelare che si era rassegnato a qualsiasi cosa l’avesse infastidito, probabilmente una rilevazione approssimativa o una procedura non correttamente eseguita. «In ogni caso non ci resta molto da fare. Voglio solo aspettare che arrivi Cahill». «Pensa che verrà qua?» chiese Tony, stranita. «Perché, lei no?». Tony ci pensò un paio di secondi. Ma prima che potesse dare la risposta sentì provenire dal corridoio esterno una voce tonante che si annunciava come “sergente Cahill, il superiore del ragazzo”. Il modo in cui disse “ragazzo” le fece venir voglia di sputare per terra. «Lasciatelo passare» ordinò Reich. Poco dopo entrò un uomo sulla quarantina. Aveva il viso rubizzo degli iracondi, degli occhi molto azzurri e, pur non essendo sovrappeso, lo stomaco sporgente. Individuò Reich a colpo sicuro e gli lanciò un’occhiata valutativa. «Polizia militare?». «Agente speciale Reich» si presentò l’altro, in tono affabile. Erano entrambi sergenti, ma Cahill doveva sapere che l’autorità più alta su una scena del crimine era quella di Reich. «Mi hanno detto... insomma, mi sono venuti ad avvisare che il soldato Perez ha perso la testa. Posso...» «Prego» lo autorizzò Reich. «Nei limiti dei rilevamenti». Cahill annuì, compunto. Entrò nel secondo ambiente e sentirono i suoi passi. Poi la sua voce, che borbottava: «Povero ragazzo». Uscì dopo qualche minuto e Tony si chiese se non si fosse spinto addirittura a pregare davanti al cadavere del soldato semplice Perez. Di nuovo le venne voglia di sputare per terra. «Possiamo scambiare due parole, già che è qua?» gli chiese Reich, quando uscì. Cahill annuì di nuovo. Forse si aspettava che l’agente speciale lo precedesse lontano di lì, magari negli uffici della sua unità, ma Reich non diede segno di volersi muovere, nonostante l’odore stesse filtrando fino al punto in cui erano. «Non mi è sembrato esattamente stupito» disse. Non una vera domanda, ma una frase aperta che chiedeva di essere elaborata. Cahill scosse la testa. «No, infatti. Purtroppo il ragazzo... ah, come dire. Ha presente com’è. Ci sono persone che non sono fatte per l’esercito. Con le migliori intenzioni, proprio non... si adattano». Reich non commentò. «Qualcosa lasciava pensare che volesse togliersi la vita?». «Nello specifico, no. Ma era... be’, non è bello da dire, con le sue spoglie a due passi, ma era molle. Morbido». Tony aprì la bocca, ma si trattenne in tempo. «Aveva una domanda, agente?» la incoraggiò Reich. «Perez era omosessuale, signore?». Cahill la guardò. O meglio, la scansionò da capo a piedi, per poi lasciar vagare lo sguardo sulle sue tette. Tony si maledisse ancora una volta per aver dimenticato la lavatrice. «Non lo so. Forse». Si grattò il mento. «Può darsi. Non dimostrava i sani istinti di un ragazzo della sua età, ma forse era solo timido. Proprio non saprei». «Eppure mi risulta che l’abbia definito “frocio” in numerose occasioni» intervenne dolcemente Reich. Cahill fece un gesto infastidito. «Era un comesichiama generico. Come “muovetevi signorine”. Solo un modo colorito... per spronarlo». «Pensa che fosse ben inserito nella sua unità?» chiese Tony. Non era sicura di poter partecipare all’interrogatorio, ma sapeva che in teoria farlo a due voci era più efficace che con una sola persona a porre le domande. Due voci disorientavano, ti facevano sentire in minoranza, ti innervosivano... «Non lo so. Non sono il suo amico del cuore o roba del genere. Dovrebbe chiederlo ai suoi commilitoni» ribatté Cahill, un po’ seccato. O meglio, lo fece presente alle sue tette, visto che proprio non riusciva a evitare di fissarle. Forse lo faceva apposta per metterla a disagio. In realtà ci riusciva anche. «Gliel’ha chiesto poco fa» disse Reich. «Devo informarla che il soldato Perez intendeva sporgere reclamo contro di lei, sergente». Lui alzò gli occhi al cielo. Rise. «Ah, Cristo. Devo nominare un difensore o roba del genere?». «Non lo so. Si sente responsabile per la sua morte?» chiese Tony. «Ascoltami bene, ragazzina... per prima cosa mostra un po’ di rispetto. Agente Speciale Reich, credo che la sua subordinata si meriti un richiamo». Reich non rispose. Invece spostò ostentatamente lo sguardo sulle tette di Tony. Per mezzo secondo lei fu troppo stupita persino per arrossire. «Mi ha sentito?». «Mh? Oh, scusi. Stavo guardando la maglietta dell’agente Darren. Mi chiedevo se ci fosse qualcosa che io non vedo, dato che le interessa tanto». Cahill diventò color pulce. Ma non per una sana vergogna, no, per la rabbia di essere stato sfidato. Tony pensò che avrebbe reagito male – a parole, o forse anche con le mani – ma dovette ricredersi subito dopo. Il sergente non era così scemo. Si mise a ridere. «Oh, scusi. Scusi, non c’è bisogno di marcare il territorio. Al contrario di Perez, se vedo un paio di tettine senza reggiseno mi ci cade l’occhio». Reich assunse un’espressione accomodante. «Capisco. Certamente. Tettine». Fece un gesto vago. «Be’, l’ultima domanda delle tettine, se non sbaglio, era se si sentisse responsabile per la morte del soldato Perez». «Non l’ho certamente appeso io in quel bagno. Come le ho già detto, il ragazzo non era adatto all’esercito. Era un debole, uno smidollato. Mi dispiace che si sia ucciso, ma l’alternativa era farsi crescere le palle e mi sembra chiaro che non ci sarebbe riuscito». Tony aprì la bocca, ma Reich le posò una mano su un braccio, interrompendola. «È stato chiarissimo. La ringrazio per il suo tempo. Le faremo sapere se avremo bisogno di parlarle ancora». Cahill guardò lui. Guardò Tony. Tornò a guardare lui. Diede una scrollata di spalle e se ne andò senza salutare. Reich aspettò che il rumore dei suoi passi svanisse prima di arricciare il naso. L’odore, ormai, era molto forte. «Cambiamo aria» disse, precedendoli fuori. «Scusi se sono suonato paternalistico, agente Darren. Tirare in ballo le sue tette mi serviva per finire di innervosirlo. Per inciso...» «Lo so. Ho dimenticato di fare la lavatrice, ieri sera» sospirò lei. Reich sbatté le palpebre. «Quello che volevo dire era: “ha fatto un ottimo lavoro, intervenendo in quel modo”». «Ah». «Ma le assicuro che possiamo tutti convivere con la sua mancanza di reggiseno».
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