CAPITOLO TRE

1419 Words
CAPITOLO TRE Keira fu svegliata dal suono stridulo della sua sveglia. Segnava le sette del mattino, ma grazie al jet-lag e alla parte relativamente breve di notte in cui lei e Cristiano avevano usato il letto per dormire, il suo corpo si sentiva come se fosse ancora notte fonda. Era intontita, come se avesse fatto un sonnellino nel momento sbagliato del giorno. Nonostante il disagio fisico, mentalmente era molto emozionata per la giornata che li aspettava. Saltò immediatamente giù dal letto, alimentata dall’eccitazione e dall’adrenalina creata dalla stanchezza. Si voltò per guardare Cristiano. L’uomo era ancora profondamente addormentato. “Sveglia,” disse, chinandosi su di lui e baciandogli la fronte. I suoi occhi si aprirono faticosamente. “Devo proprio?” chiese, sbadigliando. “Quel lungo volo mi ha sfinito.” “Ah, è stato il volo a sfinirti, eh?” disse maliziosamente Keira, facendo un occhiolino. Ma capì che si era già riaddormentato! Decise di lasciarlo riposare e andò a lavarsi e prepararsi per la giornata. Si diresse con cautela verso il soggiorno. Era buio e Bryn russava rumorosamente. Facendo attenzione a essere più silenziosa possibile e a non svegliare la bestia addormentata, superò la sorella in punta di piedi e si fece una rapida doccia, ripulendosi dal residuo dell’aeroplano e dagli ultimi ricordi dell’Italia che le rimanevano sulla pelle. Quando tornò in camera da letto, vide che Cristiano era ancora profondamente e pacificamente addormentato. Sospirò e decise che tanto valeva portare i suoi vestiti sporchi alla lavanderia giù all’angolo. Non aveva senso perdere tempo, dato che il giorno successivo sarebbe tornata in ufficio. Svuotò rapidamente la valigia, radunò i vestiti sparsi della notte prima, aggiungendoli al mucchio prima di affrettarsi fuori dall’appartamento, lungo il corridoio, giù per i gradini e in strada. Era una mattina eccezionalmente gelida, e provò uno splendido senso di nostalgia. Negli ultimi due mesi non era stata quasi per niente a New York ed era davvero piacevole essere tornata a casa: i rumori familiari del traffico, le normali esalazioni delle auto. Le facevano venire in mente il Ringraziamento, e sorrise tra sé e sé sapendo che non mancava molto alla sua festa preferita. Quell’anno sarebbe stato particolarmente speciale, grazie alla presenza di Cristiano insieme a loro. Se fosse rimasto tanto a lungo, in ogni caso. La lavanderia automatica era vuota e Keira infilò i vestiti sporchi di diverse settimane in una macchina, riempì il cassetto con il detergente e aggiunse delle monete. Aveva con sé solo gli spiccioli per un lavaggio rapido, perché non aveva ancora avuto il tempo di recuperare della moneta locale, ma un giro di trenta minuti era meglio che niente. Non appena la macchina iniziò il ciclo, riuscì rapidamente, desiderosa di tornare da Cristiano, per svegliarlo ed estrarlo dall’appartamento (e dalle grinfie) di Bryn il prima possibile. Ma una volta tornata in camera, scoprì che Cristiano dormiva ancora. Lo baciò di nuovo per cercare di svegliarlo. “Bell’addormentato,” disse, più intensamente quella volta, con voce un po' più alta e più esigente. “Dobbiamo alzarci e muoverci!” Cristiano gemette. “Non possiamo passare una giornata pigra a letto?” mugugnò. “Abbiamo camminato per settimane. Meritiamo di rilassarci una mattina, no?” Keira scosse la testa, pensando a Bryn nell’altra stanza. Dovevano scappare prima che lei si svegliasse. “No,” rispose. “L’intera New York ci aspetta!” Cristiano sbadigliò, girandosi per allontanarsi dalla sua voce squillante. “E sarà ancora lì nel pomeriggio, dopo la colazione.” “Ma è meglio godersela al mattino,” contestò Keira, sollevandogli le coperte di dosso. “Te lo dice una del posto.” Cristiano smise di discutere, e tremando si alzò dal letto. “Perché sei tanto di fretta?” si lamentò. “Perché ci sono tantissime cose da fare!” ripose lei, infilandosi rapidamente un paio di stivali invernali di Bryn. Tutte le sue calzature pesanti erano conservate da qualche parte in una scatola, le sue cose prese dall’appartamento di Zach sparse in vari luoghi, dalla sua stanza a casa della madre, all’attico di Shelby e David, fino all’armadio di Bryn. C’era persino un scatola nascosta sotto la sua scrivania al Viatorum. “Posso farmi almeno una doccia?” chiese Cristiano. Keira si morse il labbro. Ogni minuto sprecato era un minuto più vicino al risveglio di Bryn e ai suoi tentativi di mettere le mani su Cristiano. Ma non poteva negargli le necessità umane fondamentali. “Certo,” disse allegramente, fingendo calma. Andò verso l’armadio di Bryn e ne estrasse un soffice asciugamano. “Ecco,” aggiunse, tendendoglielo insieme a dello shampoo e al doccia schiuma che prese dalla valigia. “La doccia è proprio in fondo al corridoio.” Lui la baciò per ringraziarla e uscì dalla stanza. Keira si accasciò a sedere sul letto, già esausta. Non sarebbe stato facile. Avrebbe dovuto trovare un nuovo appartamento il prima possibile. Tipo tornando indietro nel passato. Ma quello dipendeva dalla caparra del vecchio appartamento che Zach doveva restituirle. Non avrebbe voluto mettersi in contatto con lui, ma era chiaramente il minore tra i due mali in quella particolare situazione. Prese il cellulare e spedì un messaggio. Novità sulla caparra? K. Avventatamente aggiunse una x, un bacio, alla fine. Adulare Zach non era qualcosa che le piaceva fare, ma se significava che avrebbe riavuto indietro la sua caparra ne valeva la pena. Sbirciò fuori dalla camera da letto verso la zona del soggiorno. Le tapparelle erano abbassate e la stanza era buia. Gli unici suoni erano la doccia in fondo al corridoio e il rumoroso russare di Bryn. Per fortuna neanche Cristiano l’aveva svegliata superandola. Ma lei iniziò a spazientirsi. Cristiano ci stava mettendo troppo tempo! Controllò l’orologio e vide che i suoi vestiti nella lavanderia automatica avrebbero raggiunto presto la fine del ciclo. Decise di recuperarli, piuttosto che correre il rischio che qualcuno glieli rubasse nel momento in cui la porta della macchina si fosse aperta. Anche alle sette e mezza della domenica mattina non si poteva mai abbassare la guardia! Uscì di nuovo dall’appartamento e corse fino alla lavanderia. Dentro c’erano un paio di persone, entrambe donne di mezza età dall’aria organizzata che chiaramente stavano tentando di evitare la fila. Keira radunò i suoi vestiti caldi e umidi. Non aveva abbastanza monete per l’asciugatrice quindi avrebbe dovuto appenderli nell’appartamento di Bryn. Uscì, riprendendo la strada per tornare a casa. Era davvero bello sbrigare di nuovo le normali faccende, tornare a essere una persona semplice piuttosto che una scrittrice di viaggio in un’eccitante paese straniero. A quanto pareva anche una cosa buona poteva finire per stancare. Il telefono le vibrò in tasca proprio mentre iniziava a salire le scale per l’appartamento. Era un messaggio di Zach. Si morse il labbro per l’anticipazione e lesse quel che le aveva scritto. Bon jour, Keira! Sono in Francia per lavoro. Una conferenza di una settimana che inizierà domani! Possiamo parlare di soldi quando sarò tornato? Sospirò per le frustrazione. Sarebbe passata un’altra settimana prima che ne parlassero di nuovo, non che capisse che cos’altro ci fosse da dire! Avrebbe semplicemente dovuto trasferirle la sua quota di denaro nel conto in banca, ma ovviamente non aveva intenzione di renderle le cose facili. Con lo sguardo ancora sul cellulare, Keira entrò a casa di Bryn. Fu immediatamente sorpresa dal suono di risate, e alzò gli occhi. Era cambiato tutto. Le tapparelle erano alzate, le luci accese, la macchina del caffè ribolliva e Bryn era in cucina, sembrando fin troppo sveglia per qualcuno che aveva passato l’ultima giornata a bere. Seduto con la schiena appoggiata al bancone c’era Cristiano, con il torso nudo rilucente di gocce d’acqua, solamente un asciugamano legato attorno alla vita per proteggere la sua modestia. “Che sta succedendo?” gridò, sorpresa. Bryn le lanciò un’occhiata e fece una smorfia, divertita dal tono paranoico di Keira. “Sto facendo il caffè,” disse, affermando l’ovvio. “Dove sei stata?” “Sono andata alla lavanderia a gettoni,” disse Keira, sollevando la pesante busta piena di vestiti bagnati. “Sono stata via solo due minuti.” Due minuti, chiaramente, era quanto serviva a Bryn per cogliere l’occasione di godere della visione del corpo muscoloso di Cristiano. “Tesoro,” disse con risolutezza Keira, guardandolo. “Faremmo meglio a rivestirci. Dobbiamo andare.” “Abbiamo tempo per un caffè, non è vero?” chiese. “Mentre metti i vestiti ad asciugare?” Keira lasciò cadere la busta per terra, con noncuranza, e cercò di sembrare allegra mentre gli si avvicinava e lo spingeva per una spalla verso la camera da letto. “Ma voglio portarti nel miglior bar di New York,” disse lei. “Quantità limitate, appena macinato. Molto più buono del caffè di Bryn fatto con la macchinetta.” “Oh… oh, okay…” disse Cristiano, senza fare resistenza. “Ma… i tuoi vestiti?” Mentre lo guidava verso la sicurezza della sua camera da letto, Keira lanciò un’occhiata verso la sorella al di sopra della spalla. Lei li stava guardando, sogghignando, divertita dalla sua fuga frettolosa. Keira le fece una smorfia severa, uno sguardo di avvertimento che diceva esplicitamente di lasciare in pace Cristiano. “Posso stendere io i tuoi vestiti,” disse Bryn con un sorriso dolce e consapevole. “Grazie,” rispose secca Keira. Stava per chiudere la porta, ma Bryn non aveva finito. “Cara, se pensi che io sia un problema,” e ridacchiò, “aspetta di averlo portato là fuori. ” Indicò la finestra. “Troverai molto peggio di me. Fidati.” Irrigidendosi, Keira chiuse la porta.
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