CAPITOLO DUE-2

2076 Words
Ma poi guardò davanti a sè e vide Caleb, e la realtà tornò bruscamente a palesarsi. La sua vita era cambiata. Definitivamente. E nulla sarebbe più tornato come prima. Doveva solo accettarlo. Senza contare che aveva ucciso delle persone e la polizia le stava dando la caccia. O che sarebbe stata solo questione di tempo perchè la catturassero, da qualche parte. O il fatto che un'intera razza di vampiri la stava cercando per ucciderla. O che la spada che stava cercando avrebbe potuto salvare la vita a molte persone. La vita era cambiata in maniera definitiva, e non sarebbe più tornata com'era. Lei doveva semplicemente accettare la sua nuova realtà. Caitlin poggiò la testa sul braccio di Caleb, e lo condusse all'entrata. I Coleman. Sapeva dove vivevano e che aveva senso, Sam sarebbe andato lì. Se non si fosse trovato a scuola, allora sarebbe stato lì probabilmente. Ecco dove avrebbero dovuto andare dopo. Mentre uscivano a respirare aria fresca, lei si meravigliò di quanto fosse bello camminare fuori dalla scuola ancora una volta—e stavolta per sempre. * Caitlin e Caleb s'incamminarono verso la proprietà dei Coleman; la neve che ricopriva l'erba scricchiolava sotto i loro piedi. La casa stessa non era altro che un modesto ranch che si affacciava sul lato della strada di campagna. Ma alle spalle, alla fine della proprietà, c'era un fienile. Caitlin vide tutti i camioncini e pickup malconci parcheggiati a caso nel prato, e riusciva a vedere le impronte nel ghiaccio e nella neve, e sapeva che doveva esserci stato un gran viavai intorno a quel fienile . Questo facevano i ragazzi ad Oakville – s'incontravano nei loro fienili. Oakville era tanto campagna quanto periferia, e dava loro la possibilità di giocare in una struttura abbastanza distante dalla casa dei genitori, così che non sapessero o che non importasse loro che cosa stessero facendo. Era certamente molto meglio che radunarsi in cantina. I genitori non sentivano una sola parola. E si disponeva di un'entrata personale. E di un'uscita. Caitlin prese un lungo respiro, prima di entrare nel fienile, e aprì la pesante porta di legno. La prima cosa a colpirla fu l'odore. Erba. Delle nuvole aleggiavano nell'aria. Quello, mescolato all'odore della birra stantia. Ce n'era troppo. Poi la colpì—più di ogni altra cosa—l'odore di un animale. I suoi sensi non erano mai stati così spiccati prima. Lo shock derivato dalla presenza dell'animale colpì i suoi sensi, proprio come se avesse appena sniffato dell'ammoniaca. Lei guardò alla sua destra e mise a fuoco. Lì, all'angolo, c'era un grosso Rottweiler. Quest'ultimo si sedette lentamente, con lo sguardo fisso su di lei e ringhiò. Esplose in un ringhio basso e gutturale. Era Butch. Lei si ricordò di lui ora. L'odioso Rottweiler dei Coleman. Come se i Coleman avessero bisogno di un animale aggressivo da aggiungere alla loro immagine confusionaria. Dai Coleman c'era sempre da aspettarsi delle catastrofi. Tre fratelli—17, 15, e 13 anni— ad un certo punto, Sam aveva fatto amicizia con il secondogenito, Gabe. Uno era peggio dell'altro. Il padre li aveva abbandonati molto tempo prima, nessun aveva idea di dove fosse andato, e la madre non c'era mai. Erano praticamente cresciuti da soli. Nonostante la loro età, erano sempre ubriachi o drogati, e passavano più tempo fuori dalla scuola che dentro. A Caitlin non piaceva l'idea che Sam li frequentasse. Non avrebbe portato a nulla di buono. Si sentì una musica di sottofondo. I Pink Floyd. Wish You Were Here. Figuriamoci, Caitlin pensò. Era buio, specie per chi, come lei, proveniva da un giorno tanto luminoso, e le occorsero diversi secondi perchè gli occhi le tornassero a posto. Eccolo. Sam. Seduto nel mezzo di un logoro divano, circondato da una dozzina di ragazzi. Gabe da un lato e Brock dall'altro. Sam era curvo su un bong. Aveva appena finito di inalare; lo mise giù e si poggiò allo schienale, succhiando l'aria e trattenendo il fiato troppo a lungo. Alla fine rilasciò il fumo. Gabe gli diede un colpetto, e Sam guardò in alto. Stordito, posò lo sguardo su Caitlin. I suoi occhi erano iniettati di sangue. Caitlin ebbe una fitta di dolore allo stomaco. Era più che delusa. Credeva che fosse tutta colpa sua. Ripensò all'ultima volta che si erano visti, a New York, quando avevano litigato. Le sue parole dure. “E allora vai!” gli aveva gridato. Perchè doveva essere sempre così dura? Perchè non poteva avere la possibilità di rimediare? Ora era troppo tardi. Se lei avesse scelto delle parole diverse, forse le cose ora sarebbero state differenti. Provò anche un'ondata di rabbia. Rabbia verso i Coleman, rabbia verso tutti i ragazzi in quel fienile, che se ne stavano seduti su quel divano e su sedie logore, su balle di fieno, tutti lì a bere, fumare e a non fare niente della propria vita. Erano liberi di non fare nulla della propria vita. Ma non erano liberi di trascinare anche Sam con loro. Lui era migliore di loro. Non aveva mai avuto una guida. Non aveva mai potuto contare su una figura paterna, non aveva mai ricevuto una forma di gentilezza da parte della loro madre. Era un figlio meraviglioso, e lei sapeva che avrebbe potuto essere il primo della classe ora, se avesse avuto una casa anche solo semi-stabile. Ma ad un certo punto, era troppo tardi. Lui aveva appena smesso di preoccuparsi. Fece diversi passi verso di lui. “Sam?” chiese. Il ragazzo si limitò a fissarla, senza dire una sola parola. Era difficile stabilire che cosa ci fosse in quello sguardo. Era causato dalle droghe? Stava fingendo che non gli importasse? O semplicemente non gli importava? Il suo sguardo apatico le fece più male di ogni altra cosa. Lei credeva che sarebbe stato felice di vederla, alzandosi e abbracciandola. Ma non questo. Sembrava che proprio non gli importasse. Come se lei fosse una perfetta estranea. Si stava comportando in quel modo solo per compiacere gli amici? Oppure lei aveva rovinato tutto per sempre stavolta? Trascorsero diversi secondi, e infine, il ragazzo rivolse altrove il suo sguardo, passando il bong ad uno degli amici. Continuò a guardare gli altri amici, ignorandola. “Sam!” disse lei, alzando la voce, con il volto corrugato dalla rabbia. “Sto parlando con te!” Lei ascoltò le risatine dei suoi amici sfigati, e sentì la rabbia salirle ad ondate nel suo corpo. Stava cominciando a provare qualcos'altro. Istinto animale. La rabbia dentro di lei stava raggiungendo dei livelli talmente alti, che difficilmente sarebbe riuscita a controllarla e iniziò a temere che presto sarebbe esplosa. Non era più umana. Stava diventando animale. Questi ragazzi erano grossi, ma la forza che le stava aumentando nelle vene le suggerì che avrebbe potuto sbarazzarsi di ognuno di loro in un istante. Stava faticando a contenere la sua rabbia, e sperò di essere abbastanza forte da riuscirci. Al contempo, il Rottweiler riprese a ringhiare, e si avvicinò a lei lentamente. Sembrava come se avvertisse l'arrivo di qualcosa. Lei sentì una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Caleb. Lui era sempre lì. Doveva aver sentito la rabbia crescerle dentro, l'istinto animale tra di loro. Stava cercando di calmarla, dicendole di controllarsi, di non esplodere. La sua presenza la rassicurò. Ma non era semplice. Sam alla fine si voltò e la guardò. C'era disprezzo nei suoi occhi. Era ancora fuori di sè. Era ovvio. “Che cosa vuoi?” le chiese di scatto. “Perchè non sei a scuola?” fu la prima cosa che lei si sentì pronunciare. Non era proprio certa di averlo detto, specialmente data l'enorme portata delle cose che avrebbe voluto chiedergli. Ma l'istinto materno era emerso. Ed era stato quello che le era venuto fuori. Altre risatine. La rabbia emerse. “Che cosa te ne importa?” le disse. “Mi hai detto di andarmene.” “Mi dispiace,” lei disse. “Non intendevo questo.” Era contenta di aver avuto una possibilità di dirlo. Ma non bastò a scuoterlo. Lui se ne stava semplicemete a guardarla. “Sam, ho bisogno di parlarti. In privato,” gli disse. Voleva che lui lasciasse quell'ambiente e uscisse all'aria fresca, da soli, dove avrebbero potuto parlare veramente. Lei non voleva soltanto sapere del loro padre; voleva anche solo parlare con lui, proprio come avevano sempre fatto. E voleva avere la possibilità di dirgli della mamma. Gentilmente. Ma non sarebbe successo. Lei riuscì a rendersene conto ora. Le cose si stavano capovolgendo. La ragazza sentì che la forza in quel fienile sovraffollato era davvero troppo oscura. Troppo violenta. Sentiva che stava perdendo il controllo. Nonostante la mano di Caleb, non riusciva a fermare quello che sentiva montarle dentro, qualunque cosa fosse. “Sto bene qui” Sam disse. Lei poteva sentire le altre risatine dei ragazzi. “Perchè non ti rilassi?” uno dei giovani le disse. “Mi sembri molto nervosa. Vieni a sederti. Fatti un tiro.” Le porse il bong. Lei si voltò a guardarlo. “Perchè non t'infili quel bong su per il culo?” lei disse, digrignando i denti. Un coro di incitamento giunse dal gruppo dei ragazzi. “Oh, TACI!” gridò uno di loro. Il ragazzo che le aveva offerto il tiro, un ragazzo grosso e muscoloso, e che lei sapeva aveva giocato nella squadra di football, divenne rosso acceso. “Che cosa mi hai detto, puttana?” le chiese, fermo in piedi. Lei guardò in alto. Era molto più alto di quanto ricordasse, almeno 1.98cm. Riusciva a sentire la stretta di Caleb sulla sua spalla intensificarsi e non capiva a che cosa fosse dovuto, se perchè lui stesse cercando disperatamente di calmarla o perchè non era tranquillo. La tensione nella stanza crebbe drammaticamente. Il Rottweiler strisciò più vicino. Ora distava soltanto pochi metri. E ringhiava fortissimo. “Jimbo, calmo,” Sam disse al ragazzone. Quello era il Sam protettivo. Non importava il motivo, ma era protettivo con lei. “E' una rompipalle, ma non intendeva risponderti in quel modo. E' pur sempre mia sorella. Rilassati.” “Volevo invece,” Caitlin gridò, mostrandosi più arrabbiata che mai. “Voi ragazzi credete di essere così fighi? Trascinando con voi mio fratello minore? Siete solo un branco di perdenti. Non andrete da nessuna parte. Volete solo incasinarvi la vita, fate pure, ma non ci porterete Sam!” Jimbo sembrò persino più arrabbiato, se possibile. Si avvicinò di qualche passo verso di lei, con fare minaccioso. “Ecco, Signorina Maestra. Signorina Mammina. Ecco che ci dice che cosa fare!” Un coro di risate. “Perchè tu e il tuo amico frocetto non venite qui a picchiarmi!” Jimbo si fece più vicino e, con l'enorme palmo della sua mano, spinse Caitlin sulla spalla. Grosso errore. La rabbia esplose in Caitlin, al di là di ogni possibilità di controllo. Nell'attimo in cui il dito di Jimbo la toccò, a gran velocità gli prese il polso e lo girò al contrario. Si sentì un forte c***k, nel momento in cui il polso si rompeva. Lei sollevò il polso alto dietro la sua schiena e lo spinse con la faccia a terra. In meno di un secondo, era sul pavimento, con la faccia a terra, senza alcuna speranza. Lei gli saltò sopra, mettendogli il piede dietro al collo, tenendolo stretto, impedendogli di muoversi dal pavimento. Jimbo gridò per il dolore. “Gesù Cristo, il mio polso, il mio polso! Schifosa puttana! Mi ha rotto il polso!” Sam si alzò, così come tutti gli altri, guardando la scena, scioccato. Sembrava davvero scioccato. Come aveva fatto la sua piccola sorella a stendere in quel modo un ragazzo così grosso, e in modo così rapido, proprio non ne aveva idea. “Le mie scuse,” Caitlin ringhiò a Jimbo. Era scioccata dal suono della sua stessa voce. Sembrava gutturale. Proprio come il verso di un animale. “Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace!” gridò Jim, singhiozzante. Caitlin voleva solo lasciarlo andare, che tutto finisse, ma una parte di lei non era d'accordo. La rabbia l'aveva sopraffatta così troppo all'improvviso, troppo violentemente. Non poteva proprio lasciarlo andare. Ancora continuava a sentire la rabbia percorrerle il corpo, esplodendo sempre di più. Lei voleva uccidere quel ragazzo. Andava ben oltre la razionalità, ma lo voleva davvero. “Caitlin!?” Sam gridò. Lei poteva sentire la paura nella sua voce. “Ti prego!” Ma Caitlin non riusciva a fermarsi. Avrebbe davvero ucciso il ragazzo. In quel momento, sentì un ringhio, e con la coda dell'occhio vide il cane. Fece un balzo a mezz'aria, i suoi denti puntavano dritto alla sua gola. Caitlin reagì istintivamente. Lasciò andare Jimbo, e con un movimento, catturò il cane sospeso a mezz'aria. Finì sotto di lui, gli afferrò lo stomaco, e lo scaraventò a terra. Volò per aria, a circa 3 - 6 metri, con una forza tale da finire nella stanza, oltre la parete di legno del fienile. Il muro si sfasciò rumorosamente, mentre il cane guaì e volò dall'altra parte. Tutti nella stanza guardavano Caitlin. Non riuscivano a spiegarsi a che cosa avessero assistito. Era stato chiaramente un atto di forza e velocità sovrumane, e non c'era alcuna spiegazione possibile. Se ne stettero tutti lì a guardare, con la bocca spalancata. Caitlin fu sopraffatta dall'emozione. Rabbia. Tristezza. Non aveva idea di che cosa provasse, e non si fidava più di se stessa. Non riusciva a parlare. Doveva andare via di lì. Sapeva che Sam non l'avrebbe seguita. Lui era una persona diversa adesso. E anche lei.
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