1.-1

2028 Words
1. L’alcool aveva cominciato a scorrere già in tarda mattinata, ma al primo coffee break del pomeriggio il bancone del bar aveva iniziato a essere piuttosto affollato. Helen, di ritorno dal bagno delle donne, aveva dovuto costeggiare l’assembramento dei bevitori per andare verso il salone principale. In realtà non impazziva all’idea di sorbirsi i discorsi conclusivi delle autorità, ma all’Eco Forum non conosceva praticamente nessuno, quindi non aveva un complice con cui imboscarsi da qualche parte. Il Palace Hotel di Losanna era pieno di imprenditori, industriali, gente della finanza, gente delle associazioni internazionali – governative e non – e giornalisti. Helen conosceva di fama una parte di loro, neppure una parte molto cospicua, mentre degli altri ignorava tutto. Il suo agente si era dato alla macchia dopo la tavola rotonda cui era stata invitata (un evento minore) e Camille Lepont, la responsabile del Forum che si era occupata di lei, beveva in mezzo a un gruppo di celebrità. In ogni caso sarebbe stata la persona sbagliata con cui imboscarsi, no? Lei i discorsi delle autorità li avrebbe ascoltati di sicuro. Insomma, per farla breve Helen stava tornando verso il salone principale, rassegnata a sorbirsi tutti i discorsi istituzionali e poi a fare da tappezzeria al cocktail conclusivo quando era stata centrata da una certa quantità di liquido. O, per meglio dire, di liquore. L’olfatto le disse subito, infatti, che quello che infradiciava la parte anteriore della sua camicia era whisky. «Oh, je suis désolé. Pardonnez-moi». L’uomo si era scusato in francese, ma con un percepibile accento britannico. Cosa non strana, dato che era britannico, come Helen sapeva benissimo. L’uomo che le aveva rovesciato addosso il proprio drink non era altri che Francis Trent. In Inghilterra non era esattamente una figura pubblica, ma Helen provava nei suoi confronti un’ammirazione di lunga data. «Quoi que ce soit, monsieur Trent» rispose, anche lei in francese. Anzi, a dirla tutta, in un francese migliore del suo, pressoché privo di accenti stranieri. Perché, poi? Perché non rispondergli in inglese? «Ci conosciamo?» chiese lui, ancora una volta in francese. «Ehm, no. Io conosco lei. Per un periodo è stato consulente del governo per le politiche energetiche». Trent sbatté le palpebre. «Del governo britannico». «Sì, è quello che intendo. Sono inglese». Lui si voltò verso il bar. «Me ne faccia un altro. E uno anche per la signorina». Tornò a rivolgersi a Helen. «Per prima cosa, sono sbronzo. Secondo, le ho rovinato la camicia, quindi almeno lasci che le offra da bere. Terzo, lei non può essere inglese». «No?» sorrise lei. «No, lei è francese. O almeno anglo-francese, non so». «Le assicuro che sono integralmente inglese» ribadì Helen, questa volta in inglese. «Cioè, no. Mio padre è scozzese». Trent le allungò un drink e la guidò lontano dalla folla del bar sospingendola gentilmente per la schiena. «Mh, ammetto che parla un inglese molto credibile» disse lui, cambiando a sua volta idioma. Helen si rese conto che sbandava lievemente. Non parlava come un ubriaco, ma doveva aver alzato parecchio il gomito. D’altronde l’aveva dichiarato lui stesso. «Ma non sono ancora convinto». Sventolò la mano per salutare qualcuno che stava passando, poi lo chiamò. «Didier! Vieni qua! Dimmi da dove viene questa signorina!» disse, passando di nuovo al francese. E poi a lei: «Parli! Dica qualcosa». Helen sospirò. «Que dois-je dire?». «Troppo poco. Racconti a Didier come si è trovata tutta la camicia bagnata di whiskey». Helen guardò il loro interlocutore. Sembrava un po’ imbarazzato, ma finì per stringerle la mano e presentarsi. «Lo perdoni. Credo che abbia bevuto» mormorò. «L’ha ammesso come prima cosa» rispose lei. «Be’? Quindi? Da dove viene, secondo te?» continuò per la sua strada Trent. Il suo conoscente sospirò. «Non saprei. Lione, forse?». «Ah!». «Che io parli bene francese non è una prova che...» «Scusate, devo salire sul palco» li interruppe Didier e Helen capì che era una delle autorità che avrebbero pronunciato i discorsi conclusivi. «Chi è?» chiese, cambiando lingua per l’ennesima volta. «Il ministro degli esteri svizzero». «Oh». A quel punto Trent spostò gli occhi sulle sue tette. Le guardò per un certo numero di secondi, corrucciato. Si riscosse e le offrì un sorriso un po’ imbarazzato. «Scusi, non volevo sbavarle sul davanzale». In effetti la stoffa della camicia di seta di Helen le si era attaccata come una seconda pelle, rendendo evidente il reggiseno di pizzo sottostante. Fino a quel momento non ci aveva fatto caso. «Suppongo che stesse facendo... un’analisi dei danni?». «Le giuro di sì» fece lui, posandosi una mano sul petto. «Le tengo il bicchiere, vada a sciacquarsi o dovrà buttarla via». Era un suggerimento fin troppo sensato per provenire da un uomo tanto brillo. +++ Helen rientrò nel bagno delle donne ed esaminò a sua volta la situazione. Trent l’aveva presa davvero in pieno. Si sfilò la giacca, si incastrò la borsa tra le gambe e provò a tamponarsi la camicia con una salvietta bagnata. La macchia del whisky sembrò farsi più indistinta, in compenso la camicia si zuppò del tutto. Non era il principale pensiero di Helen. Il suo principale pensiero era Francis Trent, ovviamente. Era diventata consapevole della sua esistenza qualche anno prima, quando lui era stato consulente del governo e lei era rimasta sequestrata per sei giorni su una piattaforma petrolifera al largo della Scozia. All’epoca lo trovava bello, obbiettivamente bello, ma aveva poi dovuto ammettere che più che altro l’aveva trovato attraente, affascinante. Tra l’altro non le era mai sembrato un ubriacone. Cercò di asciugarsi la camicia tamponandola con una salvietta asciutta. Non ottenne molto. Si rimise la giacca e uscì a riprendersi il drink. «Di male in peggio, vero?» chiese. Trent le guardò di nuovo le tette. «Be’, dipende da qual è il suo obbiettivo. Dando per scontato che non sia far voltare tutti gli uomini in sala... le consiglio di spostarsi in un posto assolato e aspettare una decina di minuti. Sembra stoffa leggera. Si asciugherà in fretta». «Sì, è...» «Venga. Conosco il punto perfetto». La prese sottobraccio, ma la lasciò andare quasi subito, limitandosi a posarle di quando in quando una mano sulla schiena. La guidò verso il bar esterno dell’hotel. Era nel giardino al centro dell’edificio, ogni tavolino coperto da un ombrellone di tela color panna. Quasi tutti erano occupati da partecipanti al Forum fuggiti dai discorsi conclusivi e Trent ne salutò un paio con un cenno della mano, prima di farla sedere in un angolo al sole. Lì era fin troppo caldo, specie se stavi bevendo whisky, ma lui non parve curarsene. «Si tolga la giacca. Si asciugherà in pochi minuti». Helen fece come diceva. In un certo senso era difficile non obbedirgli. Sembrava dare per scontato che l’avresti fatto. «Ora mi spieghi come fa a ricordarsi quella vecchia storia della mia consulenza» le disse, sollevando il bicchiere verso di lei in un brindisi muto. Anche Helen sollevò il bicchiere, ma non aveva voglia di parlare di quella “vecchia storia”. «Mi spieghi perché è sbronzo marcio alle quattro del pomeriggio, piuttosto». Trent sospirò. E bevve un sorso. «Sto divorziando. Per la seconda volta. So che è un modo stupido di reagire, ma comunque... ormai l’ho fatto, no?». «Suppongo che suggerle di fermarsi sarebbe inutile, vero? E probabilmente antipatico». Lui le rivolse un sorriso dispettoso. «Un po’, sì». Helen si trovò a ridere, più che altro per la sorpresa. Il fatto era che Trent... sembrava serissimo. Era sempre sembrato serissimo, in ogni discorso pubblico che Helen l’avesse mai sentito pronunciare, nelle interviste, e anche fino a quel momento. Quel sorriso dispettoso, quindi, era totalmente fuori personaggio. «Bene, bene... è un uomo adulto. Continui a bere. Anzi, veda se riesce a fare qualche altra vittima». «No, perché? Sono soddisfatto della prima». Bevvero entrambi un sorso. Il whisky era forte e fece dare un colpetto di tosse a Helen. Bevve un altro sorso per bagnarsi la gola. «Sono davvero spiacente» sospirò Trent, con un gesto vago della mano. Helen si staccò la camicia dalle tette, ma non appena lasciò andare la stoffa quella si riappiccicò. «La cosa più antipatica è il reggiseno» ammise. Se lui avesse voluto toglierglielo personalmente, pensò, le sarebbe stato bene. Le era sempre piaciuto. C’era stato un periodo in cui aveva rappresentato una di quelle infatuazioni a distanza che le ragazze hanno per gli attori o i cantanti. Nel suo caso... un ex-consulente poi diventato amministratore delegato di una società energetica, perché no? Adesso erano diversi anni che non pensava a lui, ma trovandoselo davanti stava ricadendo nell’antica ammirazione. Era sempre bello, almeno per quanto la riguardava. Era in forma, con i capelli scuri dal taglio sfumato, una spruzzata di grigio alle tempie... un naso ingombrante, a becco, che lo faceva assomigliare un po’ al Giulio Cesare dei fumetti di Asterix. Ed era elegante al limite della civetteria, un’altra caratteristica che negli uomini trovava affascinante. Ma poi... le erano sempre piaciuti i narcisi, questo era vero. Quel pomeriggio lui indossava un tre pezzi testa di moro, ma con il panciotto blu. La camicia era bianca, la cravatta bordeaux. E aveva i gemelli. Helen aveva un debole per i gemelli da polso, forse perché nell’ambiente in cui era cresciuta erano così insoliti. «Dovrebbe toglierlo». Le servì un istante per capire che Trent si riferiva al suo reggiseno. Nei secondi precedenti lui era rimasto in silenzio, lei assorta nei suoi pensieri. Inarcò le sopracciglia. «Non sarebbe molto discreto». Lui sbatté le palpebre. «Be’, non le suggerivo di toglierlo qua». «La camicia è ancora zuppa. Credo che possa immaginare l’effetto». Sul viso sempre serio di lui si aprì un altro sorriso dispettoso. Ma poi tossì e buttò giù un altro sorso. «No, via. Non faccia caso a me. Sono sbronzo sul serio. Come minimo lei sarà un’esperta di politica internazionale e starò facendo una figura terribile. Cioè, ancora peggiore di quello che sembra». «Certo che anche un’esperta di politica internazionale che non sa chi sia il ministro degli esteri svizzero...» «Nah. Non conta un cazzo, chi vuole che lo conosca? Ma non è un’esperta di politica internazionale, quindi. L’ha confessato lei stessa». Emise una bassa risata. «La donna misteriosa. Sarà un’ambientalista». «In un certo senso...» «Avrà un nome. Potrà dirmi almeno il suo nome?». Lei rise. «Ma certo. Helen». Le tese la mano. «Piacere, Francis. Frank per gli amici. Stiamo diventando amici, no? Nonostante l’incidente con la camicia e gli ammiccamenti inopportuni». «Limitiamoci a Francis, per il momento». «Mmh». Lei rise di nuovo, dandogli una pacca sulla mano. «Ma certo, ti perdono tutto. È solo una camicia e comunque stavo cercando un complice per svignarmela dai discorsi conclusivi. L’unica cosa seccante è dover restare tutta appiccicata fino a stasera». Trent inclinò la testa da un lato. «Ho un phon» disse, di punto in bianco. «Ne ho uno anch’io. Ma forse intendevi dire che lo hai qua? Nella tasca della giacca o roba del genere?». Il suo sorriso fu paziente, a quel punto. «Intendevo dire che ho un phon in camera. Ho una camera. Qua sopra. Nella camera c’è un phon... il phon della camera, ecco, non un phon personale. Non vado in giro con un phon personale». Helen rise e lui sospirò. «È l’alcool» si giustificò. «Suppongo di sì. Finora te l’eri cavata piuttosto bene. Dunque... hai una camera qua sopra, in questo hotel, con dentro il phon della camera stessa. E l’hai detto senza ammiccamenti». Lui le mostrò il palmo delle mani. «Lo giuro. Ti sto solo offrendo il mio phon». Helen si alzò. «In questo caso credo che ne approfitterò». +++ Mentre andavano verso l’ascensore dovette sorreggerlo per il gomito in un paio di occasioni. Mentre aspettavano che arrivasse passò un suo altro conoscente – sembrava che conoscesse più o meno tutti, là in mezzo. «Ah, Frank, eccoti qua» disse l’uomo, un signore sui sessanta vestito molto bene. «State già tirando i remi in barca?». «No, Helen ha avuto... un problema con la camicia» spiegò Trent, come se anche loro due si conoscessero benissimo. «Cioè, io sono stato il problema. Insomma, andiamo solo a sistemare la questione camicia». L’uomo ridacchiò e gli diede una pacca su una spalla. «Nessuno può negare che sai come reagire alle avversità. Helen, è stato un piacere». E se ne andò. L’ascensore si aprì e loro salirono. «E questo era...» «Il sottosegretario alle infrastrutture del corrente governo. Quindi non solo non sei un’esperta di politica internazionale, ma neppure di quella nazionale». Helen aggrottò le sopracciglia. «Mi hai appena rimproverata?». «Non oserei mai. Anzi, apprezzo che tu non sappia chi sia. Vorrei avere la tua fortuna. Dunque, siamo arrivati». La precedette a zig zag lungo un corridoio, fino a fermarsi davanti a una porta. Tirò fuori una tessera e l’aprì. «Prego». Era una bella stanza grande, un po’ antiquata. Tutto l’hotel era un po’ antiquato, d’altronde. Faceva parte del suo fascino. Le tapparelle erano chiuse a metà e l’ambiente era in ombra. Il letto era rifatto, era logico, e non c’erano molti dettagli personali in vista. Giusto un altro completo appeso vicino all’ingresso. Helen lasciò la sua borsa su un ripiano e si sfilò la giacca. «Quindi... mh...» Lui le aprì la porta del bagno. Era strano essere lì, nella sua stanza, da sola con lui. Come se all’improvviso fosse tutto troppo intimo. Ma era anche un’intimità molto piacevole. Helen posò la giacca accanto alla borsa, accese la luce del bagno e iniziò a slacciarsi la camicia. Lo fece dandogli le spalle, ma senza chiuderlo fuori. Inoltre... davanti a lei, a qualche metro di distanza, c’era lo specchio del lavandino.
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