Capitolo 2

874 Words
Capitolo Due Imprecando tra sé e sé, Zaron saltò nel fiume. Se fosse stato un umano, la potente corrente lo avrebbe immediatamente trascinato via. Ma essendo quello che era, usò tutta la forza per nuotare nell’acqua spumeggiante. Più volte colpì con le gambe le rocce sotto l’acqua, ma ignorò il dolore. Le escoriazioni non erano niente per quelli della sua specie; infatti, quando raggiunse i massi davanti a lui, le ferite si erano già rimarginate. Arrivò lì, scalando le rocce scivolose e accovacciandosi accanto alla ragazza. Era viva; Zaron sentì il suo debole ed erratico battito cardiaco, nonché il gorgoglio del suo respiro. Era viva, ma a giudicare dalle ferite, non lo sarebbe stata ancora a lungo. La parte inferiore del suo corpo era piegata in un angolo strano e le esili membra erano rotte in più punti, con frammenti di ossa che sporgevano dalla pallida carne lacerata. La metà del volto era ricoperta di sangue, con il liquido rosso scuro che colava da un profondo taglio sul lato del cranio. La maglietta a maniche corte nascondeva la maggior parte delle ferite sul busto, ma Zaron sospettava che avesse un’emorragia interna, con la cassa toracica probabilmente fratturata a causa della caduta. Con lo stomaco che cominciava a stringersi per un mix di pietà e una strana disperazione, Zaron fissò l’umana distrutta. Era giovane e, da quello che poteva vedere, molto carina. Lunghi capelli biondi, carnagione chiara, una struttura ossea esile, ma formosa... Se non fosse stata prossima alla morte, forse sarebbe stato attratto da lei. Ma ormai era vicina alla fine. Nella migliore delle ipotesi, le restava ancora qualche minuto da vivere. Con quelle ferite così gravi, era sorprendente che il suo cuore stesse ancora battendo. Gli umani erano creature fragili, che si ferivano facilmente e guarivano lentamente. Dubitava che i medici umani avrebbero potuto curarla, anche se fossero riusciti ad arrivare in tempo. La medicina dei Krinar avrebbe potuto salvarla, naturalmente, ma Zaron non l’aveva con sé e la ragazza non avrebbe potuto sopravvivere al viaggio verso casa sua. Sollevando la mano, sfiorò il lato illeso del viso della ragazza, passandole le dita sulla mascella. La sua pelle era morbida e liscia, come quella di una bambina. Un pizzico di rammarico gli trafisse il petto; in circostanze diverse, gli sarebbe piaciuto molto stare con lei. Improvvisamente, un piccolo suono rotto le sfuggì dalla gola, sorprendendo Zaron. E poi, con grande shock da parte del Krinar, lei aprì gli occhi. Incorniciati da ciglia folte e brune, erano di un luminoso azzurro-verde e straordinariamente belli. Per un attimo, sembrò disorientata, con quegli occhi color mare offuscati dal dolore, ma poi mise a fuoco lo sguardo, concentrandosi sul viso del ragazzo. Sapeva che stava per morire. Zaron glielo leggeva in faccia. Lo sapeva, e si stava opponendo con ogni fibra del suo essere. Mosse la bocca, separando le labbra per una preghiera priva di parole, e lui capì cosa fare. Raggiungendo la ragazza, Zaron la sollevò delicatamente, cullandola sul petto. Era quasi certo che non sarebbe sopravvissuta al viaggio, ma non poteva lasciarla andare in quel modo. Nessuno aggrappato alla vita così intensamente sarebbe dovuto morire senza combattere. Il viaggio sembrava non finire mai, sebbene Zaron corresse il più veloce possibile, facendo attenzione a non scuotere troppo la ragazza. La parte più difficile era stata il fiume; combattere la corrente con una mano e tenere la ragazza sopra l’acqua con l’altra era stato impegnativo anche per lui. Lei era ancora incosciente. Zaron sentiva il duro rantolo nei suoi polmoni e sapeva che non sarebbe vissuta ancora a lungo. Il suo viso era pallido come un fantasma, la pelle fredda e umida a causa del fiume. Infine, arrivarono a destinazione. Portandola nella sua dimora, Zaron la poggiò attentamente sul letto. Un acuto comando vocale e una delle pareti si aprì, permettendo allo jansha—un piccolo dispositivo tubolare di guarigione—di fluttuare verso di lui. Afferrandolo a mezz’aria, Zaron lo posò sul letto prima di spogliare la ragazza. Non indossava molti abiti—solo una T-shirt e un paio di pantaloncini di jeans strappati—e Zaron impiegò poco a sbarazzarsene, con il petto che si strinse alla vista delle ossa sporgenti e della carne lacerata. Prendendo il dispositivo, glielo passò sul corpo nudo, lasciando che le diagnosticasse le ferite. Come aveva sospettato, erano gravi. Oltre ai danni agli organi interni, aveva una lesione al midollo spinale. Anche se fosse riuscita a sopravvivere, sarebbe rimasta paralizzata dalla vita in giù. C’erano anche altre ferite. Ossa rotte, un profondo taglio sul cranio, graffi e lividi—sembravano tutti provocati dall’incidente. Tuttavia, c’erano segni di un trauma precedente. A quanto pareva, si era rotta il polso e aveva una cicatrice sulla gamba, dovuta a qualche altro inconveniente. Inoltre, era stata sottoposta a una primitiva cura odontoiatrica umana, con alcuni denti perforati e rattoppati con un rivestimento non organico. Zaron esitò solo un momento prima di abilitare la completa modalità di guarigione dello jansha. Se avesse avuto più tempo e le ferite non fossero state così gravi, avrebbe potuto calibrare il dispositivo in modo che si concentrasse su delle ferite specifiche. Ma visto come stavano le cose, una procedura completa sarebbe stata la sua unica possibilità di sopravvivenza. Il dispositivo vibrò un secondo, rilasciando i nanociti curativi, e Zaron osservò la carne danneggiata della ragazza che cominciava a rimarginarsi, man mano che le cellule si rigeneravano dall’interno.
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