Max solleva lo sguardo da una delle tante riviste scandalistiche da cui è ossessionata quando entro nella stanza d’ospedale. La saluto con un cenno del capo e mi siedo nel posto libero accanto al letto di Leroy. Max e io siamo uno di fronte all’altra e, come sempre, restiamo in silenzio ad aspettare. Non possiamo fare altro che stare insieme finché i dottori non verranno a comunicarci che Leroy non mostra segni di miglioramento. Credo che restiamo qui perché ci sentiamo obbligati e non perché sia una necessità. Non sa che siamo presenti o che i giorni passano senza di lui. Lo hanno messo in coma farmacologico finché l’edema cerebrale non si ridurrà, ma il problema più grande è che non succede. Per anni avevo provato a convincerlo a venire a Melbourne con me, ad attirarlo con la prospett

