Erano le camere dove dormirono quasi tutte d'assi l'una allato all'altra. Il marito ne avea una, la sposa e la cameriera un'altra, e in un'altra era il giovene e un altro, il quale non fu senza orecchi a notare il detto del Sanese; ma tutta la sera ebbe colloquio con la cameriera, aspettando l'alba del giorno, e cosí s'andorono al letto. E venendo la mattina, quasi un'ora innanzi a dí, e lo sposo si levò per andare a Siena come avea dato ad intendere. E sceso giuso, e salito a cavallo, cavalcò verso Siena quasi quattro balestrate, e poi diede la volta ritornando passo passo e cheto verso l'albergo donde si era partito; e appiccando il cavallo a una campanella, su per la scala n'andò; e giugnendo all'uscio della camera della donna, guardò pianamente e sentí il giovene essere dentro; e pontando l'uscio mal serrato, v'entrò dentro; e accostandosi alla cassa del letto pianamente, se alcun panno trovasse di colui che s'era colicato, per avventura trovò i suo' panni di gamba, e quelli del letto, o che sentissono, e per la paura stessono cheti, o che non sentissono, questo buon uomo si mise le brache sotto, e uscito della camera, scese la scala, e salito a cavallo con le dette brache, camminò verso Siena.
E giunto a casa sua, l'appiccò al palco allato alla cipolla e alla coda.
Levatasi la donna e l'amante la mattina a Staggia, il valletto non trovando le brache, sanza esse salí a cavallo con l'altra brigata, e andorono a Siena. E giunti alla casa, dove doveano essere le nozze, smontorono. E postisi a uno leggiero desinare sotto le tre cose appiccate, fu domandato il giovane quello che quelle cose appiccate significavano. Ed elli rispose:
— Io vel dirò; e prego ognuno che mi ascolti. Egli è piccol tempo che mio padre morí, e lasciommi tre comandamenti: il primo sí e sí, e però tolsi quella cipolla e appicca' la quivi; il secondo mi comandò cosí, e in questo il disubbidi'; morendo il cavallo, taglia' li la coda e quivi l'appiccai; il terzo, che io togliesse moglie piú vicina che io potesse; e io, non che io l'abbia tolta dappresso, ma insino a Pisa andai, e tolsi questa giovene, credendo fosse come debbono essere quelle che si maritono per pulzelle. Venendo per cammino questo giovene, il quale siede qui, all'albergo giacque con lei, e io chetamente fui dove elli erano; e trovando le brache sue, io ne le recai e appicca' le a quel palco: e se voi non mi credete, cercatelo, che non l'ha: — e cosí trovorono. — E però questa buona donna, levata la mensa, vi rimenate in drieto, che mai, non che io giaccia con lei, ma io non intendo di vederla mai. E al notaio, che mi consigliò e fece il parentado e la carta, dite che ne faccia una pergamena da rocca.
E cosí fu. Costoro con la donna si tornorono a piè zoppo col dito nell'occhio; e la donna si fece per li tempi con piú mariti, e 'l marito con altre mogli.
In queste tre sciocchezze corse questo giovene contro a' comandamenti del padre, che furono tutti utili, e molta gente non se ne guarda. Ma di questo ultimo, che è il piú forte, non si puote errare a fare li parentadi vicini, e facciamo tutto il contrario. E non che de' matrimoni, ma avendo a comprare ronzini, quelli de' vicini non vogliamo, che ci paiono pieni di difetti, e quelli de' Tedeschi che vanno a Roma, in furia comperiamo. E cosí n'incontra spesse volte e dell'uno e dell'altro, come avete udito, e peggio.
NOVELLA XVIIPiero Brandani da Firenze piatisce, e dà certe carte al figliuolo; ed elli, perdendole, si fugge, e capita dove nuovamente piglia un lupo, e di quello aúto lire cinquanta a Pistoia, torna e ricompera le carte.
Nella città di Firenze fu già un Piero Brandani cittadino che sempre il tempo suo consumò in piatire. Avea un suo figliuolo d'etade di diciotto anni, e dovendo fra l'altre una mattina andare al Palagio del Podestà per opporre a un piato, e avendo dato a questo suo figliuolo certe carte, e che andasse innanzi con esse, e aspettasselo da lato della Badía di Firenze; il quale, ubbidendo al padre, come detto gli avea, andò nel detto luogo, e là con le carte si mise ad aspettare il padre, e questo fu del mese di maggio.
Avvenne che, aspettando il garzone, cominciò a piovere una grandissima acqua: e passando una forese, o trecca, con un paniere di ciriege in capo, il detto paniere cadde; del che le ciriege s'andarono spargendo per tutta la via; il rigagnolo della qual via ognora che piove cresce che pare un fiumicello. Il garzone, volonteroso, come sono, con altri insieme, alla ruffa alla raffa si dierono a ricogliere delle dette ciriege, e infino nel rigagnolo dell'acqua correano per esse. Avvenne che, quando le ciriege furono consumate, il garzone, tornando al luogo suo, non si trovò le carte sotto il braccio però che gli erano cadute nella dett'acqua, la quale tostamente l'avea condotte verso Arno, ed elli di ciò non s'era avveduto; e correndo or giú, or su, domanda qua, domanda là, elle furono parole, ché le carte navicavano già verso Pisa. Rimaso il garzone assai doloroso, pensò di dileguarsi per paura del padre: e la prima giornata, dove li piú disviati o fuggitivi di Firenze sogliono fare, fu a Prato; e giunse ad uno albergo, là dove dopo il tramontare del sole arrivorono certi mercatanti, non per istare la sera quivi, ma per acquistare piú oltre il cammino verso il ponte Agliana. Veggendo questi mercatanti stare questo garzone molto tapino, domandarono quello ch'egli avea e donde era: risposto alla domanda, dissono se volea stare e andare con loro.
Al garzone parve mill'anni, e missonsi in cammino, e giunsono a due ore di notte al pont'Agliana; e picchiando a uno albergo, l'albergatore, che era ito a dormire, si fece alla finestra:
— Chi è là?
— Àprici, ché vogliamo albergare.
L'albergatore rampognando disse:
— O non sapete voi che questo paese è tutto pieno di malandrini? io mi fo gran maraviglia che non sete stati presi.
E l'albergatore dicea il vero, ché una gran brigata di sbanditi tormentavono quel paese.
Pregorono tanto che l'albergatore aperse; ed entrati dentro e governati li cavalli, dissono che voleano cenare; e l'oste disse:
— Io non ci ho boccone di pane.
Risposono i mercatanti:
— O come facciamo?
Disse l'oste:
— Io non ci veggio se non un modo, che questo vostro garzone si metta qualche straccio indosso, sí che paia gaglioffo, e vada quassú da questa piaggia, dove troverrà una chiesa: chiami ser Cione, che è là prete, e da mia parte dica mi presti dodici pani: questo dico perché, se questi che fanno questi mali troverrano un garzoncello malvestito, non gli diranno alcuna cosa.
Mostrato la via al garzone, v'andò malvolentieri, però che era di notte, e mal si vedea. Pauroso, come si dee credere, si mosse, andandosi avviluppando or qua or là, sanza trovare questa chiesa mai; ed essendo intrato in uno boschetto, ebbe veduto dall'una parte un poco d'albore che dava in uno muro. Avvisossi d'andare verso quello, credendo fosse la chiesa; e giunto là su una grande aia, s'avvisò quella essere la piazza; e 'l vero era che quella era casa di lavoratore: andossene là, e cominciò a bussare l'uscio. Il lavoratore, sentendo, grida:
— Chi è là?
E 'l garzone dice:
— Apritemi, ser Cione, ché il tal oste dal ponte Agliana mi manda a voi, che gli prestiate dodici pani.
Dice il lavoratore:
— Che pani? ladroncello che tu se', che vai appostando per cotesti malandrini. Se io esco fuori, io te ne manderò preso a Pistoia, e farotti impiccare.
Il garzone, udendo questo, non sapea che si fare; e stando cosí come fuor di sé, e volgendosi se vedesse via che 'l potesse conducere a migliore porto, sentí urlare un lupo ivi presso alla proda del bosco, e guardandosi attorno vide su l'aia una botte dall'uno de' lati, tutta sfondata di sopra, ed era ritta; alla quale subito ricorse, ed entrovvi dentro, aspettando con gran paura quello che la fortuna di lui disponesse.
E cosí stando, ecco questo lupo, come quello che era forse per la vecchiezza stizzoso, e accostandosi alla botte, a quella si cominciò a grattare; e cosí fregandosi, alzando la coda, la detta coda entrò per lo cocchiume. Come il garzone sentí toccarsi dentro con la coda, ebbe gran paura; ma pur veggendo quello che era, per la gran temenza si misse a pigliar la coda, e di non lasciarla mai giusto il suo podere, insino a tanto che vedesse quello che dovesse essere di lui. Il lupo, sentendosi preso per la coda, cominciò a tirare: il garzone tien forte, e tira anco elli; e cosí ciascuno tirando, e la botte cade, e cominciasi a voltolare. Il garzone tien forte, e lo lupo tira; e quanto piú tirava, piú colpi gli dava la botte addosso. Questo voltolamento durò ben due ore; e tanto, e con tante percosse dando la botte addosso al lupo, che 'l lupo si morí. E non fu però che 'l giovane non rimanesse mezzo lacero; ma pur la fortuna l'aiutò, ché quanto piú avea tenuto forte la coda, piú avea difeso sé stesso, e offeso il lupo. Avendo costui morto il lupo, non ardí però in tutta la notte d'uscire della botte, né di lasciare la coda.
In sul mattino, levandosi il lavoratore, a cui il giovene avea picchiata la porta, e andando provveggendo le sue terre, ebbe veduto appiè d'un burrato questa botte: cominciò a pensare, e dire fra sé medesimo: “Questi diavoli che vanno la notte non fanno se non male, ché non che altro, ma la botte mia, che era in su l'aia, m'hanno voltolata infino colaggiú”; e accostandosi, vide il lupo giacere allato la botte, che non parea morto. Comincia a gridare: — Al lupo, al lupo, al lupo —; e accostandosi, e correndo gli uomini del paese al romore, viddono il lupo morto e 'l garzone nella botte.
Chi si segnò di qua e chi di là, domandando il giovene:
— Chi se' tu? che vuol dire questo?
Il garzone, piú morto che vivo, che appena potea ricogliere il fiato, disse:
— Io mi vi raccomando per l'amore di Dio, che voi mi ascoltiate e non mi fate male.
Li contadini l'ascoltarono, per udire di sí nuova cosa la cagione, il quale disse, dalla perdita delle carte insino a quel punto, ciò che incontrato gli era. A' contadini venne grandissima pietà di costui, e dissono:
— Figliuolo, tu hai aúta grandissima sventura, ma la cosa non t'anderà male come tu credi: a Pistoia è uno ordine che chiunque uccide alcun lupo, e presentalo al Comune, ha da quello cinquanta lire.
Un poco tornò la smarrita vita al giovene, essendoli profferto da loro e compagnia e aiuto a portare il detto lupo; e cosí accettoe. E insieme alquanti con lui, portando il lupo, pervennono all'albergo al pont'Agliana, donde si era partito, e l'albergatore della detta cosa si maraviglioe, come si dee immaginare, e disse che e' mercatanti se ne erano iti, e che egli ed eglino, veggendo non era tornato, credeano lui essere da' lupi devorato, o essere da' malandrini preso. In fine il garzone appresentò il lupo al Comune di Pistoia, dal quale, udita la cosa come stava, ebbe lire cinquanta; e di queste spese lire cinque in fare onore alla brigata, e con le quarantacinque, preso da loro commiato, tornò al padre; e addomandando misericordia, gli contò ciò che gli era intervenuto, e diegli le lire quarantacinque. Il qual padre, come povero uomo, gli tolse volentieri, e perdonògli; e con li detti denari fece copiare le carte, e dell'avanzo piatío gagliardamente.
E perciò non si dee mai alcuno disperare, però che spesse volte, come la fortuna toglie, cosí dà; e come ella dà, cosí toglie. Chi averebbe immaginato che le perdute carte giú per l'acqua fossono state rifatte per un lupo che mettesse la coda per uno cocchiume d'una botte, e sí nuovamente fosse stato preso? Per certo questo è un caso e uno esemplo, non che da non disperarsi, ma di cosa che venga non pigliare né sconforto né malinconia.
NOVELLA XVIIIBasso della Penna inganna certi Genovesi arcatori, e a un nuovo giuoco vince loro quello ch'egli avevano.
Come questo giovene acquistò puramente, e con grande simplicità, le lire cinquanta, cosí con grande astuzia il piacevol uomo Basso della Penna, raccontato a drieto, in questa novella vinse a un nuovo giuoco piú di lire cinquanta di bolognini. A questo Basso capitorono all'albergo suo a Ferrara certi Genovesi che andavano arcando con certi loro giuochi; e 'l Basso, avendo compresa la loro maniera, un giorno innanzi desinare si mise allato lire venti di bolognini d'ariento e una pera mézza, ché era di luglio, considerando che dopo desinare, lavate le mani, in su la sparecchiata tavola d'arcare loro, e cosí fece. Ché avendo desinato, ed essendo con loro ragionamenti alla mensa sparecchiata, disse il Basso: