Però, Ravera, è mezz’ora che parliamo di lei. Cosa hai raccolto su di lui?”.
Ravera partì con la sua cronaca.
“Alfonso Oddone, nato a Savona il 23 febbraio del 1951. Liceo classico e corso universitario a Torino, non a Genova, come sarebbe stato prevedibile. È noto che la facoltà di filosofia a Torino è più illustre di quella di Genova. Lui si è laureato con Nicola Abbagnano”.
“Ravera, abbi pazienza, da quando sai che Torino per filosofia è meglio di Genova? E, aspetta, come fai a sapere chi è, o meglio, chi è stato Nicola Abbagnano?”.
“Non mi sottovaluti, dottore. Io, tanto per cominciare, non ho la più pallida idea di chi sia stato Nicola Abbagnano, immagino fosse un professore famoso, magari uno che ha scritto dei libri importanti per quelli che studiano, poi, per quanto riguarda il prestigio di Torino rispetto a Genova, perlomeno negli anni in cui c’era il professor Oddone, che allora non era professore ma soltanto studente, me l’ha raccontato una mia amica che insegna alle medie dove va mio figlio, il grande. Torniamo alla faccenda”.
“Torniamo alla faccenda!”, ripeté il commissario, e si sistemò sulla seggiola per i visitatori, dove al mattino s’era seduta la signora Ferretti, perché all’altra scrivania stava il legittimo proprietario, l’ispettore Lo Manto il quale, schiacciando qua e là qualche tasto, fingeva un interesse per il video del suo computer che in realtà era tutto rivolto alla conversazione tra gli altri due.
“Allora, può darsi che i futuri coniugi si siano conosciuti a Torino come no, ma direi che di questo a noi non ce ne frega molto. Laureato brillantemente, il prof è tornato in Liguria dove ha vissuto fino ad oggi. Il padre faceva il ferroviere e quando è arrivata l’età della pensione la famiglia ha lasciato Varazze e si è trasferita a Ortovero, dove la madre possedeva e possiede tuttora una casa di campagna con un appezzamento di terra intorno. Il professore ha girato un po’ di scuole, prima medie, poi medie superiori, ma di tipo tecnico e poi ha vinto il concorso per il liceo, tutti tirano ai licei, vuoi mettere, e lì è rimasto. Ha fatto lo scapolone per un po’, aveva trentotto anni quando ha sposato la ginnasta, va bene se la chiamo così?”.
“Perché no! Cosa si sa di lui?”.
“Fedina penale come un lenzuolo appena uscito da una fabbrica tessile! Simpatie sinistresi un po’ spinte negli anni giovanili, ma senza nessuna segnalazione politica, mai pestaggi, mai atteggiamenti aggressivi, insomma è un filosofo, non un leader. È conosciuto come uno tranquillo, metodico ma non noioso, è molto amato dai ragazzi”.
“E sulle donne?”.
“Lì qualche piccolo casino c’è stato, ma poca roba. Ancora prima di sposarsi, allora insegnava all’istituto tecnico di Ceriale, un marito l’aveva aspettato fuori della scuola e gli aveva tirato un pugno in faccia davanti ai suoi studenti: il prof s’è beccato sei punti e il naso rotto, l’altro una bella denuncia. Un’altra volta è rimasto coinvolto in una causa di separazione, inchiodato dalle foto di un’agenzia investigativa, ma ne uscito indenne. Dopo la separazione non ha più frequentato la signora in questione, anche se lei deve avergli rotto le palle e anche minacciato per un po’. S’è beccata una diffida ed è finita lì. Rosaria Benvenuto ex Maritano si chiamava. Poi ha continuato a barcamenarsi per un po’ e alla fine s’è sposato. Dopo non ci sono granché notizie sul suo conto, non perché abbia rigato dritto, ma perché non s’è mai più fatto beccare”.
“Quindi la moglie non ha niente più che sospetti nei suoi confronti?”.
“Quanto siano fondati non lo sappiamo, dipende anche un po’ da lei”.
“In che senso?”.
“Bisogna vedere se è di quelle sospettose, che annusano gli abiti, che frugano nelle mutande prima di cacciarle in lavatrice, che sbirciano nel portafogli incustodito o violano la posta, adesso con il telefonino, basta un attimo, mentre uno è sotto la doccia, per vedere le ultime chiamate effettuate e ricevute. Se devo essere sincero a me non è sembrata una tipa così, però non si può mai dire”.
“Le hai chiesto stamattina se è la prima volta che non rientra a dormire o se è già capitato?”.
“Ha risposto che liti con porta sbattuta e fuga in macchina ce ne sono già state, ma ad una certa ora s’è sempre recampato a casa”.
“Certa ora, quale?”.
“Le due o le tre. Qualche volta, dopo un pianto è finita a tarallucci e vino, qualche volta c’è stata la chiacchierata chiarificatrice e la sfilza di buoni propositi il mattino dopo”.
“Mmm…”.
“Mmm, cosa, dottore?”.
“Non lo so e nemmeno potrei immaginarlo perché, ripeto, non lo conosco, eppure non me lo vedo il professore di filosofia, uno che di sabato sera prepara le sue astruse conferenze, che sbatte porte e scappa in macchina, è una roba da adolescenti”.
“Me l’ha insegnato lei, quando le avevo detto, si ricorda, che quelli di Cuneo sembrano tutti così pacifici, quasi un po’ rimbambiti, con rispetto, che per le faccende di cuore e di sesso siamo tutti degli adolescenti e da tali ci comportiamo!”.
“Hai ragione Ravera, me lo ricordo, eppure… Fammi un attimo rivedere la foto del prof Alfonso”.
Ravera trafficò un attimo all’interno del fascicolo che aveva da poco aperto e gli allungò la foto. Bruno, brizzolato sulle tempie, viso regolare, abbronzato, più che un professore di filosofia ricordava quel tipo d’uomo che fa la pubblicità agli amari. Certo che unendo il bell’aspetto e la parlantina raffinata della persona colta, le femmine dovevano essergli cascate in braccio come albicocche mature e, per quanto sostenuta da una bella intelligenza e da una buona dose di fiducia in se stessa, la cosa forse non aveva fatto tantissimo piacere alla signora Fabiola.
“Il telefono del prof è sempre spento?”.
“Talmente spento che sembra morto. Vediamo un attimo, adesso mi attivo con le compagnie telefoniche, se riusciamo almeno ad individuare il settore. Certo che se lui l’ha neutralizzato in qualche modo, che ne so, l’ha buttato via o l’ha scassato, non solo per non essere disturbato e individuato, ma addirittura per non cadere nella tentazione di chiamare qualcuno, non lo troviamo di sicuro. Sinceramente dottore, non mi sembra il tipo da avere agganci con i delinquenti, insomma non credo che sia capace di procurarsene uno taroccato, mi spiego? E poi che se ne farebbe, se è con la morosa, non ha di sicuro voglia di parlare con altri!”.
“Sì, però se le cose sono andate così, se perdura questo isolamento, mi viene il dubbio che non si sia trattato di un atto compiuto d’impulso, sembrerebbe quasi che dietro ci sia stata una pianificazione. Invece il racconto della moglie indica esattamente il contrario… A meno che…”.
“A meno che… cosa?”.
“A meno che lui non abbia fatto finta d’arrabbiarsi, eccetera eccetera, che sia stata una messinscena a beneficio della signora. Però che utile avrebbe avuto?”.
“Che utile ne avrebbe avuto, commissario? Che ne so…”.
“Poco, mio buon Armando, perché se avesse voluto andarsene con un’amante con la quale era già d’accordo, la cosa più semplice sarebbe stata quella di andarsene, punto e basta… ti pare?” e poi, senz’aspettare una risposta: “Intanto fammi un piacere, neh: fatti preparare un elenco del movimento telefonico fino al momento in cui il cellulare ha smesso di comunicare e, già che ci sei, fattelo fare anche di quello di casa”.
“Agli ordini capo. Qualcos’altro?”.
“No, direi che abbiamo messo in moto tutto quello che c’era da mettere in moto, adesso dobbiamo aspettare che succeda qualcosa, non possiamo inventarci più niente. Io vado di sopra nel mio ufficio. Buon lavoro Ravera”.
“Grazie dottore, anche a lei”.
Chiuse la porta e si diresse verso le scale che portavano al suo ufficio. Villari stava parlando al telefono con qualcuno e nemmeno lo vide passare, così gli rimase la mano a mezz’aria in un debole, inutile cenno di saluto.
Aveva già dedicato troppo tempo alla faccenda del professore Alfonso Oddone, magari quello era a trombare allegramente in un alberghetto della Costa azzurra e lui invece era lì a fondersi le meningi cercando di entrare nei grovigli mentali altrui: tutta colpa del laghetto alpino, dell’azzurro impenetrabile della signora Fabiola, dei suoi occhi color delle rocce delle Alpi Marittime.