Venticinque giorni prima

1291 Words
Venticinque giorni primaIl sole sorge alle 05.10 e tramonta alle 21.42 In provincia si sa, non succede mai nulla. Quel giorno invece si erano divertiti a incaprettare un ragazzo, mutilarne il cadavere e gettarlo da un viadotto. – Cose che capitano. Disse il dottor Lucentini, poi prese a forbirsi il baffo con noncuranza. Il commissario Paludi si chiese che cosa potesse intendere il medico legale con la sua affermazione, forse che se uno veniva gettato da un viadotto poteva capitare che fosse morto. Poi decise di non indagare oltre l’animo del dottore, ormai era abituato alle sue manie, e cercò di concentrarsi sul cadavere. Muscalu Ocit, diciannove anni di Coropceni. Testimone chiave di un processo che si sarebbe dovuto tenere da lì a qualche mese contro il racket dell’oro rosso. Il maxi processo sul furto e il contrabbando di rame che con tanta dedizione erano riusciti a mettere in piedi. Adesso Muscalu se ne stava immobile per sempre, ancora imponente nel suo metro e ottantacinque. Legato mani e piedi con il nastro di una persiana avvolgibile e sfigurato dalla caduta. Paludi sbuffò. La segnalazione anonima era arrivata in centrale un’ora prima, la chiamata era partita dalla cabina della telecom numero 4529 nei pressi della stazione dei treni di Susa sul secondo binario. L’uomo, “pronuncia italiana, nessuna inflessione dialettale”, secondo il verbale, si era limitato a indicare sommariamente la zona del ritrovamento e aveva riattaccato. “Cercate sotto una rampa della statale venticinque nei pressi del Golf Club. Non dirò altro. Arrivederci”. Nessuno sul posto sembrava averlo notato. Nessun indizio. Una bella pelatura di cazzi. Il commissario Paludi si guardò davanti. Il sole era intrappolato dietro una coltre di nubi pettinate da un leggero vento di scirocco, le macchine sfrecciavano sulla superstrada, verso la tangenziale. Il corpo era a una ventina di metri dall’estradosso del guard rail, doveva essere rimbalzato e rotolato lungo la scarpata fino alle cesura di un canale di scolo in cemento che delimitava il campo di carciofi. Oltre il campo e la discarica si estendeva un bosco ceduo di pochi anni. Platani forse. Paludi non era mai stato in grado di distinguere un albero dall’altro, avrebbe scambiato un ciliegio per un palo telegrafico. Lucentini continuò il suo spettacolino. – Paperino si fa le paperine ed è felice. Topolino si fa le topoline ed è felice. Pippo... – il dottor Lucentini guardò il cadavere, si avvicinò per fare un paio di tamponi e controllare la postura. L’ispettore Anastasi lo interruppe. – E Pippo? – Pippo è triste. Il commissario li maledisse. Erano una bella squadra di coglioni, un medico legale con il vizio delle barzellette sporche, un ispettore di polizia narcolettico, e un novellino che si stava fumando una sigaretta sulla scena di un delitto. Il commissario gli chiese gentilmente di avvicinarsi e poi gli diede una sberla. L’agente Brigazzi era abituato agli scatti d’ira del suo superiore e non se la prese, il commissario gli fece cenno di allontanarsi, poi accese una Stop senza filtro. Forse aveva ragione Brigazzi, dopotutto erano nel bel mezzo di un piccolo spiazzo utilizzato saltuariamente come discarica abusiva a poche centinaia di metri da uno degli svincoli della statale del Frejus subito dopo Avigliana. Un po’ di cenere non avrebbe certo potuto inquinare la scena del crimine. Il commissario perlustrò la zona, era piuttosto comoda, si usciva dalla superstrada si gettava di sotto la lavatrice e tanti saluti. Solo che stavolta c’avevano buttato un ragazzo di nemmeno vent’anni. Uno che aveva passato l’adolescenza a compiere reati, furti, intimidazioni, rapine, uno che doveva picchiare la gente per conto di un mostro, tanto da esserlo diventato forse anche lui stesso. Giorgio Paludi, 49 anni il giorno dei Santi, si fece schermo con la mano per guardare in lontananza, si vedevano passare i primi motociclisti che salivano per passare il week-end ai laghi fare le S in mezzo agli autoarticolati. Il commissario alzò lo sguardo e riconobbe la Sacra di San Michele con il suo monastero sul monte Pirchiriano che dominava la valle in controluce, dovevano anche averci girato un film ma non ne ricordava il nome. La voce nasale del dottore lo interruppe dalle divagazioni. – Livor mortis al dorso ancora modificabile alla pressione del dito. Fuoriuscita di sangue dall’angolo della bocca, dal naso e da entrambi i canali auricolari. Fa un caldo pazzesco – quindi si chinò a controllare gli occhi. – Pupille isometriche, dilatate. Paludi guardava in alto verso lo svincolo, non distava più di otto nove metri in altezza. – Agente venga qui e mi dia una mano. Recuperò lì vicino un paio di sacchi pieni all’orlo di immondizia. Li considerò. Pesavano abbastanza. Risalì il tornante e la bretella, arrivato più o meno a metà curva sollevò di sotto i due contenitori. Aveva il fiatone. Uno dei due sacchi si fermò pressappoco a un paio di metri dalla luce della carreggiata, l’altro scivolò non troppo distante dal cadavere dell’uomo. Guardò l’ispettore e il medico legale per capire se per loro poteva quadrare. Poi tornò nella discarica seguito dall’agente. Lucentini scosse la testa. – Non l’hanno gettato da lì. Le ferite sono molto più gravi, non è abbastanza alto. Il commissario era meditabondo. – Oppure l’han gettato proprio da lì. Ma era già morto. – Perché? Domandò l’ispettore Anastasi. – Perché? Chi? Quando? Siamo qui proprio per questo ispettore. Per dare delle risposte a cosa ci faccia un ragazzo di novantacinque chili a pochi passi dall’autostrada, una bella mattina di giugno. Morto. – Maggio. – Che cosa? – Trenta giorni ha novembre con april, giugno e settembre. Di ventotto ce n’è uno, tutti gli altri ne han trentuno. Oggi è il trentuno di maggio. Paludi ne aveva abbastanza, si sfilò i guanti e li gettò nella spazzatura. Lucentini si accorse di aver pisciato fuori dal vaso. – Priorità commissario? Il commissario alzò le spalle. Muscalu era solo un povero cristo che aveva deciso di parlare, un ex criminale del quale a nessuno importava niente. Quel pezzo di merda del PM gliel’aveva passato di straforo come fosse stato un caso di taccheggio in un centro commerciale. Non era nemmeno sceso dalla macchina appena giunto sulla scena del delitto. Si era limitato a guardare di sottecchi, come se fosse di fronte alla diarrea di un toro, poi gli aveva detto di recuperare giusto qualcosina da dare in pasto alla stampa per l’indagine Oro Rosso. Che il fatto che avessero ammazzato il testimone chiave significava che il castello accusatorio era solido e tutta quella storia per lui poteva anche andare a farsi fottere. Adesso c’erano problemi più seri da affrontare. Ad esempio come far sembrare la città un posto più tranquillo dove vivere per spianare la strada alla seconda candidatura del sindaco in carica. Insomma i ragazzi che venivano gettati dai viadotti non rientravano in quella che a palazzo di Città si poteva ritenere la definizione di wellness e di vivibilità. Il Lucentini tradusse simultaneamente l’incazzatura del commissario. – Ho capito, stasera mi fermo in obitorio e gli do un’occhiata. Non mi piace com’è morto, priorità o non priorità. – Chiamiamo la scientifica commissario? – Non credo sia necessario. Raccogliamo la maggior parte delle prove possibili intorno al corpo, nel percorso che potrebbe aver fatto il cadavere rotolando. Diamo un’occhiata sulla rampa. Recintiamo la zona e arrivederci. Di più non possiamo fare. L’ispettore e l’agente iniziarono a muoversi circospetti tra pannolini, sacchetti di plastica e lastre di eternit lasciate ad imbrunire. L’ispettore Anastasi stava valutando una vecchia Indesit verde genovese. – Le si è rotta la lavatrice ispettore? – No perché? – È paralizzato di fronte all’oblò da trenta secondi. – Stavo pensando. – E a cosa stava pensando? Paludi non fece in tempo a finire la frase che dovette prenderlo al volo cingendolo sotto le spalle prima che si schiantasse a terra. Si era addormentato come un sasso, la sua narcolessia stava di nuovo peggiorando. Lo mise a forza a sedere sulla lavatrice con l’aiuto del sovrintendente. Scianna non era a conoscenza del problema dell’ispettore e si stava preoccupando. – Forse è meglio chiamare un medico. – Il medico ce l’abbiamo già. – Sì ma quello cura i morti. – I vivi non è capace di curarli nessuno sovrintendente.
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