Parte prima-8

2440 Words
Quetato il primo tumulto di queste idee, che lo misero in uno stato di rivolta segreta contro la società, si presentò a lui pure quell'eterna domanda: — Che fare? — e allora prese ad esame i grandi rimedi, la trasformazione fondamentale di ogni ordinamento, che il socialismo proponeva. Era la parte più debole della dottrina, quella in cui è a tutti più arduo e più lungo acquistare una salda persuasione favorevole. Egli fu lietamente maravigliato, sulle prime, trovando la teoria della ricostruzione condotta già molto più innanzi di quello che si fosse vagamente immaginato, una enorme quantità di materiali pel nuovo edifizio già lavorati e quasi ordinati dal pensiero scientifico di mille intelletti poderosi e pazienti, la nuova vita sociale descritta e dimostrata possibile e quasi perfetta fin nelle sue minime funzioni e in ogni più difficile prova. Poi, voltatosi ad ascoltare le ragioni degli avversari, s'arrestò, sgomentato. Al primo urto della loro critica che affermava assurda la nuova teoria del valore, soffocata dal collettivismo la libertà individuale, distrutto dall'abolizione della proprietà privata lo stimolo al lavoro, impossibile proporzionare legalmente il compenso alla varia natura dell'opera, inconcepibile l'azione d'uno stato proprietario d'ogni cosa e incaricato di tutte le direzioni e di tutte le iniziative, gli parve che l'edifizio crollasse, ed egli indietreggiò, soverchiato per un istante dall'amarezza d'una gran delusione. Ma se non riusciva a persuadersi della possibilità dei rimedi, a che giovava l'indignazione contro le ingiustizie, a che la pietà delle miserie e dei dolori? E questi sentimenti erano già in lui così forti, che non poteva più rassegnarsi a crederli vani. Una forza prepotente lo cacciava innanzi. Egli aveva bisogno d'una fede oramai, e la voleva ad ogni costo. E allora si mise a cercarla con la passione che vuol trovare quello che cerca e abbatte tutti gli ostacoli sulla sua via. Si lanciò a capo basso contro alla critica nemica del suo sogno, raccolse nuove ragioni contro i suoi argomenti, si dissimulò fra questi i più forti, ingrandendo nella propria immaginazione l'importanza di quelli che riusciva ad abbattere, si afferrò all'idea che la trasformazione si sarebbe compiuta per effetto di eventi imprevedibili e di forze non ancor conosciute, che i vizi dell'ordinamento preposto sarebbero stati corretti con le modificazioni suggerite ed imposte dall'esperienza, che la società nuova avrebbe creato essa medesima, come la natura negli organismi animali, gli organi necessari alle sue nuove funzioni, che dalla concordia dei millioni d'oppressi già vicini alla meta sarebbe derivato nella società un tal mutamento morale da rendere agevole quasi miracolosamente l'attuazione d'ogni più vasta ed ardita idea; che, infine, quello che innanzi a ogni cosa premeva e s'aveva a fare era di consacrarsi alla santa causa, di proclamare e di diffondere il sentimento della ingiustizia e della intollerabilità dello stato sociale presente, di ordinare per ora le moltitudini intorno a questa sola bandiera, poiché esse non si raccolgono che sotto alla bandiera della negazione, e di suscitare nella gioventù colta e generosa, con l'esempio e con la parola, la fiamma della fede che compie i prodigi e solleva il mondo. Così, un po' per virtù d'entusiasmo, un poco per effetto di persuasione, egli s'era formato un'illusione di certezza, che la gioia di aver dato alla sua vita un nuovo ideale gli fece creder così piena e ferma e illuminata, da non aver più bisogno di porla alla prova ritornando a pesar le ragioni dei negatori. Datosi alla nuova idea con tutto l'impeto della sua natura, non comunicando più che con le menti che gliele avevano infuse, trovava ogni giorno una nuova ragione in suo sostegno, esultava della sua rapida diffusione, che su di lui aveva forza d'argomento, e l'accarezzava in segreto come un tesoro e n'era altero come d'una conquista, aspettando d'essere abbastanza forte di meditazione e di studi da poter professarla arditamente e difenderla da valoroso. Tutti i suoi ideali passati, intanto, tutte le sue ambizioni d'insegnante e d'artista impallidivano davanti a quella nuova ospite dell'anima sua, come al sorgere dell'alba la fiammella del lume con cui aveva vegliato a meditarla. V Un caso lo spinse innanzi prima del tempo. Desideroso di conoscere le prime manifestazioni dell'ingegno del Rateri, e un poco anche di vedere in che specie di fucina egli martellasse la sua strana prosa di battaglia, andò un giorno a cercar la raccolta del primo semestre all'ufficio del giornale, che era in una strada fuor di mano di Borgo San Secondo, in due stanze a terreno, in fondo a un cortile silenzioso. Visto l'uscio aperto, entrò senza picchiare, credendo di trovar nella prima stanza un segretario o commesso, che ricevesse gli avventori; e invece si trovò subito nell'ufficio di redazione, in uno stanzone lungo e nudo come un parlatorio di convento, dove, a capo d'una gran tavola senza tappeto, coperta di giornali, stava seduto il direttore, e ritti accanto a lui una signora e un operaio, che spiccavano sul vano illuminato d'un finestrone. N'ebbe un senso di dispetto, come se il desiderio della raccolta, che l'aveva condotto là, potesse parere al Rateri un pretesto puerile per fargli indovinare l'animo proprio, e quasi per offrirsi alla causa. Vedendolo entrare, il Rateri pronunziò il suo nome in accento interrogativo, senza poter reprimere un piccolo moto di stupore, e gli altri due lo guardarono con una curiosità evidente di saper con che scopo fosse venuto. Gli passò sul viso un leggerissimo rossore, che quelli notarono, e, rapidamente, guardando un busto di Carlo Marx che era nel mezzo d'una parete, cercò un altro pretesto alla visita. Ma non ce n'era altri che non dovesse parere anche più finto di quello. Espresse il suo desiderio. Allora quei tre lo fissarono con uno sguardo anche più intenso, col quale egli incrociò il suo, curiosamente, indovinando il pensiero di tutti e tre. Uno sguardo gli bastò per capire chi fossero l'uomo e la donna che vedeva per la prima volta. La donna era certo quella Maria Zara della quale si parlava da un anno a Torino, dilaniandola, a causa della propaganda che faceva tra le operaie, per raccoglierle in associazioni, con articoli e conferenze, che si mettevano in ridicolo: una specie di Luisa Michel, come la definivano. Il suo aspetto non corrispondeva punto all'immagine che il Bianchini se n'era fatta, udendone dire gli orrori che ne dicevano. Dimostrava un trentasei o trentasett'anni: era alta di statura e pallida, e aveva gli occhi scuri e profondi, con due grandi sopracciglia nere, da cui le risaliva fino a mezza la fronte una ruga sottile e diritta, che le dava un'aria di energia virile, e sviava l'attenzione dalla grazia originale benché un po' appassita e quasi stanca, del suo viso pensieroso. Era vestita di nero, col collo nudo, semplice, e pettinata semplicemente: pareva una monaca che avesse buttato il velo, e il contrasto del suo viso spirituale e triste con le belle forme del suo corpo robusto e fermo nell'atteggiamento risoluto d'una donna abituata a parlare in pubblico, aveva un non so che di strano e seducente, da cui il Bianchini fu scosso. L'operaio, meno alto di lei, un tipo di giovane russo, di viso fine ed aperto, contornato d'una barba rossiccia, e vestito di panni logori, ma pulitissimi, che lo guardava con gli occhi socchiusi d'un miope, gli parve che dovess'essere — e non s'ingannava — un tal Mario Barra, del quale la Quistione Sociale pubblicava certi articoli intorno all'«organizzazione della classe operaia» veri torrenti di parole e di pensieri monchi e disordinati, in cui si sentiva il balbettìo impaziente d'una intelligenza affollata d'idee, che per la difficoltà d'uscire s'ingorgavano, come il liquido nel collo troppo stretto d'una bottiglia capovolta. Il Bianchini notò una diversa espressione nei tre sguardi che lo fissarono: in quello del Rateri una fredda curiosità, come davanti al semplice enunciato d'un problema aritmetico; in quello dell'operaio un'idea di simpatia, che s'avvicinava al sorriso; in quello della donna il senso d'una interrogazione severa e quasi diffidente, ma in cui gli parve pure di scorgere qualche cos'altro, come l'ombra d'una rimembranza. E capì che tutti e tre gli avevan letto nell'anima. Il direttore gli rispose lentamente, come distratto, che non essendo pronta una raccolta intera, avrebbe cercato di farla mettere insieme, e che, se anche fossero mancati dei numeri, siccome era stabilito che i mancanti si ristampassero, egli sarebbe stato soddisfatto presto o tardi: frattanto, gli avrebbe mandato a casa i fogli che c'erano. Parlando, s'era alzato egli pure, e stava in mezzo agli altri due, immobile, formando con essi come un gruppo statuario in fondo alla stanza nuda; davanti al quale il Bianchini ebbe un pensiero che gli scosse l'animo, e gli rimase impresso dentro indelebilmente insieme con l'immagine di quelle tre persone aggruppate. Erano le tre grandi forze del socialismo: un borghese disertato dalla sua classe, la scienza; un operaio, l'azione; una donna, la grande ausiliatrice invocata ed attesa, senza la quale nulla si sarebbe compiuto, quella che doveva infonder la costanza ai valorosi, e suscitare gli inerti, e svergognare i codardi, e sollevare col suo soffio nell'oceano umano l'onda che avrebbe sepolto il vecchio mondo. Erano il simbolo vivente della rivoluzione futura. E con questo pensiero gli s'affacciò alla mente, quasi visibile come una realtà, l'abusata immagine dell'«alba d'un'età nuova» e gli parve un momento che quelle tre figure immobili e ardite si disegnassero sulla bianchezza di quell'orizzonte ideale. Fu tentato di dire una parola; ma poi lo trattenne un senso di dignità, di cui non avrebbe saputo dar piena ragione. Si ristrinse a ringraziare, ed uscì, facendo un saluto senza sorriso, a cui non risposero che i due uomini, con un cenno del capo. VI Egli uscì con l'animo lieto e come rinvigorito dall'immagine che portava nella mente; ma maravigliato, ad un tempo, dell'espressione di diffidenza con cui l'aveva accolto la Zara, e punto meno nella vanità che nell'amor proprio, perché il suo aspetto e i suoi modi non avessero destato in lei nemmeno un segno di quella vaga simpatia, che, al suo primo presentarsi, tutti i visi femminili gli dimostravano. E risentiva ancora questa maraviglia piacevole quando, il giorno dopo, gli capitò in casa inaspettato l'operaio Barra con la raccolta della Quistione sociale, mandatagli dal direttore. Lo ricevette con grande piacere. Era il primo operaio socialista, ch'egli poteva interrogare, scrutare, sviscerare come un libro, e che gli avrebbe dato la chiave d'un mondo. Quegli si presentò con la disinvoltura garbata d'un amico, sorridendo, come se la visita del Bianchini all'ufficio del giornale fosse stata un'aperta confessione delle sue idee. Il Bianchini lo fece entrare e seder nel suo studio, e sedette davanti a lui, scusandosi d'essergli stato cagione d'un incomodo. Ma il Barra sorrise della scusa, dicendogli che all'ufficio della Quistione facevan tutti, per necessità, un po' di tutti i mestieri. E ragionò del giornale senza riserbo, come avrebbe fatto con un amico intimo, con una parlantina rapidissima, giovialmente. La Quistione sociale era tenuta in gran conto da tutta la parte colta del partito, in tutte le città d'Italia; ma aveva poca diffusione e le mancavano i denari per procurarsela; il Rateri ci rimetteva del proprio, dovendo anche trascurare l'avvocatura; faceva tutto lui; qualche volta scriveva persino gli indirizzi sulle fasce; i redattori stessi galoppavano coi pacchi alla posta; il direttore medesimo, certe sere che il giornale usciva tardi, lo portava in carrozza ai chioschi che restavano aperti fino a mezzanotte, spendendo per la scarrozzata più di quello che rendevan le copie. Parlando, aveva un sorriso simpatico, ma strano, che ogni tanto svaniva all'improvviso, come per un subitaneo mutamento di pensiero, per dar luogo a un'espressione fuggitiva di grande serietà, nella quale le sue labbra si contraevano e i suoi occhi s'offuscavano; e aveva dei modi naturalmente gentili, ma in cui appariva anche il proposito di mostrare un'educazione superiore a quella della sua classe. Il Bianchini notò pure la finezza e la bianchezza delle mani, con le quali si accarezzava la barba rossiccia, accuratamente tagliata e pettinata; e gli prese un dubbio spiacevole: — Con quelle mani, non poteva essere un operaio — Per accertarsene, gli espresse la propria maraviglia che il lavoro giornaliero gli lasciasse il tempo d'occuparsi del giornale. — Ah! Non dubiti —, rispose il Barra sorridendo —, il tempo non mi manca: ho tutta la giornata a mia disposizione. Un disoccupato! Anche questo gli spiacque. Non era più l'operaio ammirabile; da lui immaginato, che dopo una giornata di fatica, rinunzia al sonno e consacra il resto delle sue forze alla grande causa. Era un socialista di professione, non faceva al caso suo. Ma, seguitando il Barra a parlare, egli si ricredette. Non era disoccupato che da due mesi: s'era ritirato spontaneamente dalla fabbrica di macchine, dove lavorava da disegnatore, perché aveva perduto la simpatia del padrone in causa della sua propaganda socialista: non aveva potuto reggere al mutamento di lui, diventato chiuso e freddo, di benevolo e quasi amico che gli era stato sempre. Stava allora cercando un altro posto; ma non ne trovava, per la stessa ragione che gli aveva fatto perdere il primo. — Ma — disse, con un sorriso —, ne ho già passate tante! — E vedendo negli occhi del Bianchini una curiosità piena di benevolenza, gli raccontò alla spiccia la sua storia, con effusione di confidenza giovanile, con un accento e un modo, come se raccontasse la più allegra vita di questo mondo. Era figliuolo d'un povero operaio incisore, che aveva fatto i più duri sacrifici per mandarlo alle scuole. Ma quando egli aveva compiute le scuole tecniche, suo padre era stato colpito da una terribile malattia d'occhi, e, mancandogli i mezzi, dopo aver cercato invano per mare e per terra, anche con qualche protezione, un assegno, un posto gratuito, un aiuto qualsiasi per proseguire gli studi, nei quali s'era sempre fatto onore, egli era stato costretto a rinunziarvi e a mettersi al lavoro. Aveva cominciato da tipografo, ma dovuto smettere in capo a un anno, perché il bisogno stringeva, e accettare un posto di scrivano in una società d'assicurazioni, dove gli davan subito un po' di stipendio. E qui gli era ripreso l'ardore di studiare: pure attendendo al suo ufficio, era andato a scuola di disegno di macchine, al circolo filologico a imparare il francese e l'inglese, al Museo di sericoltura a fare un corso di bacologia, vegliando le notti, mangiando di sfuggita, menando una vita «strangolata», che teneva sua madre in un'ansietà continua della sua salute. Poi, riacquistata in parte la vista, suo padre, non più atto all'arte propria, aveva tentato la fortuna, con trecento lire ereditate da un fratello, mettendo su una piccola rivendita di commestibili, e preso lui a bottega; e allora egli aveva fatto per due anni il bottegaio, il ragioniere, il commesso viaggiatore, il facchino, un po' di ogni cosa. Ma, andando male gli affari, era dovuto entrar come disegnatore in un Istituto del governo, pagato, ma sottoposto a un orario che lo stroncava, dovendo spesso lavorare dalla sera all'alba; e non di meno, durante quel tempo, aveva ripreso a studiare come poteva, frequentando le biblioteche, leggendo a letto e per strada, e dando lezioni di francese e di disegno, stanco, disfatto al punto qualche volta, che s'addormentava camminando e parlando. Infine, essendosi aperta una nuova fabbrica di macchine, egli v'era stato preso a buone condizioni, in qualità di disegnatore, di computista e d'operaio all'occorrenza; e tutto, per un pezzo, era andato bene. Ma il socialismo aveva guastato tutto. Se n'era dovuto andare. Suo padre era morto. Campava allora con qualche lezione, mantenendo sua madre inferma, malamente. Ma che colpa ce n'aveva? Pazienza.
Free reading for new users
Scan code to download app
Facebookexpand_more
  • author-avatar
    Writer
  • chap_listContents
  • likeADD