La moglie aveva chinato la testa e si guardava le mani grasse incrociate sul grembo: per lei la volontà del marito era la sua, eppure non le dispiaceva in quel momento che zia Annia contrastasse con Zebedeo: perché in fondo sentiva anche lei una paura superstiziosa di Lia: per troppo tempo poi aveva nutrito il terrore che l'eredità di Basilio andasse al bastardo invece che al suo Bellia.
La vecchia diceva dunque, senza alzare la voce, senza scomporsi:
— Se tu credi di placarla con poco t'inganni, Zebedeo; quella è un vampiro che non ti darà mai pace, e più le farai del bene più lei ti farà del male. Ti voglio ripetere il mio sospetto che Basilio sia morto per opera sua: anche lui aveva paura di questo.
— Zia Annia, perché parlate così?
— Tu lo hai detto; perché nel cuore possiamo tutti avere del veleno, ma sotto il cuore c'è la coscienza. Tu osserverai: quella vipera non aveva interesse che il povero Basilio morisse; anzi con lui tutto doveva perdere. Ed io ti rispondo: ma lei non credeva così; lei era certa di mettere le mani sulla roba di Basilio; lei era convinta che esistesse un testamento di lui in favore del figlio.
— Ma allora avrebbe cercato di tenerlo lei, questo testamento.
— E chi ti dice che non l'abbia?
— Voi sragionate. L'avrebbe tirato fuori subito.
— È vero, — approvò la moglie, che s'era animata ed anzi aveva un lieve brivido d'inquietudine.
— Non si sa mai il pensiero delle donne come quella, — riprese la vecchia. — Aspettiamo qualche giorno. Questo di certo posso dirti, che un testamento lui lo aveva fatto. E lo teneva sempre con sé: e, quando gli accadde la disgrazia, sabato scorso, ricordati, Zebedeo, io venni qui gridando; e tu sei accorso e lo hai tirato su, lo hai messo sul letto, mentre la serva correva a chiamare il dottore. Le vesti del povero Basilio le ho messe io, sulla sedia, e nessuno le ha più toccate finché dopo qualche ora si guardò se aveva carte in tasca; e ne aveva sì, ma non quella.
Zebedeo ascoltava attento come se le cose che sentiva gli fossero nuove: aspettava il particolare che gl'indicasse come la vecchia sapeva del testamento e tardando questo particolare a venire s'irritò.
— Ma, infine, avete voi veduto il testamento? Questo importa sapere, tutto il resto sono chiacchiere.
— Veduto non l'ho, ma so di certo che lo aveva. Del resto io non so leggere e non frugavo nelle carte del povero Basilio.
— Può darsi che il testamento fosse a favore nostro e che la vipera glielo abbia sottratto, — arrischiò l'ingenua Maria Caterina Barcai.
— Macché, macché! — gridò il marito. — Non era uomo da lasciarsi beffare così, mio fratello. E voi donne fareste bene a tener la lingua in bocca, perché ogni vostra parola è un mal seme gettato al vento.
Zia Annia non protestò; anche per lui aveva un certo rispetto, una soggezione istintivamente servile; ma non poté nascondere un risentimento silenzioso e ostile che le indurì maggiormente il viso.
E l'uomo se ne accorse e alzò ancor più la voce come s'ella gli avesse risposto male.
— Il fatto è questo, che se voi chiacchierate così davanti alla gente, la gente che è maligna può dire: il testamento lo hanno fatto sparire i parenti. Ed è questo che urlava ieri quella donna che voi chiamate la vipera.
— Io non sono donna da gettare le parole al vento, Zebedeo; non ho mai chiacchierato con le vicine di casa. Se adesso ho parlato è perché tu stesso lo desideravi.
— Io non desideravo questo, veramente; io vi ho chiamato qui per dirvi il mio pensiero, che nonostante tutte queste divagazioni rimane lo stesso: bisogna sovvenire la donna perché il figlio è figlio di Basilio. Se poi lei risponderà male, peggio per lei è affar suo: noi non abbiamo bisogno della sua gratitudine.
— È vero, è vero, — ripeteva la moglie, guardando ora lui ora la vecchia.
La vecchia serbava nel viso le pieghe del suo risentimento, poiché le parole di Zebedeo l'avevano punta a fondo: e qualche cosa di ostile, una sfumatura di diffidenza reciproca, un'ombra indefinibile era già sorta fra loro. Egli sentì bisogno di alzarsi, di mettere fine al colloquio: eppure aveva voglia di gridare ancora, di provocare la vecchia: andò su e già sbuffando in cerca di qualche cosa che non trovava, infine uscì sbattendo l'uscio.
Le due donne continuarono a parlare della cosa, e la moglie adesso propendeva per le idee del marito, anche perché sapeva che dopo tutto egli avrebbe fatto il piacer suo, mentre la vecchia pur dichiarando di non voler più impicciarsi nell'affare gettava nel suo discorso frasi misteriose che davano un oscuro senso di paura alla mite Maria Caterina Barcai.
— Il povero Basilio, Dio lo perdoni, ha peccato con quella donna; doppiamente ha peccato per adulterio e perché quella donna ha la natura del demonio; sono peccati che Dio fa scontare a tutta la generazione dell'uomo che li fa: preghiamo Dio che così non sia.
E Maria Caterina Barcai si mise a pregare fra sé per suo figlio, quasi un pericolo vero lo minacciasse.
Anche Zebedeo sentiva un presentimento di sventura. Ecco che se ne andava a cavallo tutto nero e incappucciato come un cavaliere errante, per la strada luminosa attraverso i campi ondulati ove distese d'orzo e di frumento si alternavano a distese di ginestre e di eriche e a vastissimi prati tutti violetti e bianchi per i fiori del puleggio e delle margherite.
Una serenità già quasi estiva rallegrava il paesaggio: sui lucidi cespugli dell'acanto che arginavano la strada grandi farfalle dai vivi colori e ragni bianchi e insetti verdi e dorati giocavano e si amavano: tutti, insetti e bestie fiori e foglie vestiti a festa: e dalle querce che spandevano la loro ombra nera sul verde del grano gli uccellini nuovi volavano giù lasciandosi cadere a picco dal nido.
In fondo apparivano i monti battuti dal sole, coi boschi di lecci dorati dal primo loro fiorire; e veniva di lassù il fresco soffio profumato che faceva sorridere e mormorare le foglie.
L'uomo a cavallo portava la sua nota di lutto attraverso la gioia innocente delle cose, ma si lasciava anche lui di tanto in tanto scuotere e penetrare da quell'alito puro dei monti che gli ricordava qualche cosa d'indefinibile, un luogo lontano dove era vissuto nella sua prima infanzia e anche prima durante una vita anteriore.
Pensava sempre all'eredità: e il problema lo preoccupava tanto da fargli dimenticare il dolore per la morte del fratello. Gli sembrava di sentire ancora dentro di sé la voce delle sue donne, quella grave e austera della vecchia e quella placida e ingenua della moglie. E la moglie accomodava tutto con la sua semplicità; se si lasciava fare a lei tutto andrebbe bene nella vita, tutto si aggiusterebbe con la bontà e con un po' di pigrizia.
E si pentiva di non essersi consigliato solo con lei: dopo tutto la vecchia zia non era che una serva; riceveva il suo mensile e se lo metteva da parte; che ci aveva da vedere negli affari di casa?
— Se non sta zitta posso anche prenderla per il braccio e cacciarla via.
Ma la sua stessa eccitazione accresceva la sua inquietudine.
Al suo arrivo al podere due servi che vi lavoravano, due fratelli piccoli neri e scarni divorati dalla fatica, si sollevarono per salutarlo quasi militarmente, perché egli non dava confidenza alla servitù: era scrupoloso, pagava bene, ma ciascuno al suo posto.
Non rispose neppure alle parole di condoglianza che i due giovani gli rivolsero seri e composti: solo ordinò che non togliessero la sella al cavallo, poi domandò se Bellia, il figlio, era stato al podere.
— C'è stato verso mezzogiorno, poi ha proseguito per Sanmattia.
Sanmattia era la proprietà principale del morto, vigna, seminato, vasti pascoli con molto bestiame, distante circa un'ora di strada dal podere di Zebedeo, verso il principio di una vallata e quasi ai piedi dei monti.
Non s'era trascurato, Bellia, ad andare a visitare la proprietà dello zio; e del resto aveva fatto bene.
I due servi avevano ripreso a lavorare; zappavano la vigna e toglievano alle viti i tralci superflui, di solito lavoravano uno distante dall'altro in silenzio; adesso invece s'erano avvicinati e si scambiarono qualche parola sottovoce. D'un tratto uno di essi raggiunse il padrone che s'era alquanto allontanato e si chinava per guardare le viti.
— Zio Zebedeo, — disse con accento rispettoso, — prima di morire zio Basilio vi avrà forse detto che io gli devo dieci scudi.
Il padrone lo guardò dal basso, con sdegno, e senza sollevarsi borbottò:
— Egli non ha avuto tempo neppure di dirmi addio, figurati se pensava ai tuoi dieci scudi.
— Non importa, glieli devo lo stesso, e appena potrò li restituirò. O se credete, zio Zebedeo, voi potete ritenerveli dalla paga mia e di mio fratello.
— Vattene, tu coi tuoi dieci scudi! Noi faremo molte elemosine in nome e in memoria del morto; puoi tenerli, i suoi dieci scudi.
Il servo lo guardò un poco sbalordito, perché sapeva per esperienza che i Barcai non erano molto generosi. E una viva gioia gli brillò negli occhi melanconici: per un momento rimase incerto se insistere o no; decise per il no: aveva fatto il suo dovere dichiarando un debito che il padrone ignorava; Dio lo compensava per la sua buona coscienza.
— Dio vi rimeriti, allora — disse commosso; — io e mio fratello ci ricorderemo della vostra bontà e pregheremo per voi e per il beato morto.
E tornò presso il fratello, col quale si rimisero a lavorare con più lena di prima.
Ma il padrone non sembrava contento; nel sollevarsi s'era sentito arrossire per la stizza, perché neppure lui sapeva il perché della sua improvvisa generosità; se avesse potuto avrebbe ritirato la sua parola; non potendolo imprecò fra di sé contro i servi e mandò al diavolo le preghiere ch'essi promettevano per lui e per l'anima del morto.
E il diavolo si mangiò anche quei dieci scudi.
Di solito egli si tratteneva a lungo nel podere aiutando i servi a lavorare e visitando minutamente ogni cosa. E aveva piena fiducia in quei due bravi ragazzi ch'erano cresciuti nel podere e lo amavano come proprietà loro.
Quel giorno invece provava quasi noia a visitare la sua terra; una smania di camminare, di andare in qualche altro posto lo costringeva ad affrettarsi; e i due servi nonostante la recentissima prova della loro onestà, anzi forse a causa di questa gli riuscirono improvvisamente antipatici.
Attraversando uno spazio coltivato a fave destinate ad essere raccolte e seccate alla loro prima maturità, vide un sacchetto colmo legato in cima, e subito pensò che fosse pieno di fave fresche.
I servi dovevano coglierle a sua insaputa per portarsele a casa o venderle; perché non potevano essere disonesti anche loro? Forse erano figli o nipoti di santi? Col piede tastò il sacco: era duro ma non bitorzoloso come avrebbe dovuto esserlo se pieno di fave. Si volse a guardare se lo vedevano; le fave erano alte e coprivano la sua persona curva: egli slegò il sacco e vide ch'era pieno solamente d'erba pesta sanguinante per il rosso dei papaveri che vi si mescolavano.
Poi ripartì senza neppure salutare i servi che non solo scusarono ma trovarono giusto il suo triste umore: non si può ridere né essere espansivi tre giorni dopo la morte improvvisa di un fratello.
Ed egli se ne andava tirandosi sul viso il cappuccio contro i raggi del sole, poiché voleva stare ben chiuso nel suo scuro dolore.
I servi però dal basso della vigna videro ch'egli sebbene l'ora fosse quella del ritorno invece di avviarsi al paese andava in là verso i monti; forse incontro al figlio o forse addirittura a visitare anche lui la proprietà del fratello. Dopo tutto i morti son morti e ai vivi Dio stesso comanda di vivere e di fare il proprio dovere.
Zebedeo non sapeva veramente se era Dio a ordinargli di andare verso la proprietà del fratello: in principio non era stata questa la sua, intenzione, e anche adesso si avviava, con mala voglia spinto da una irrequietudine nervosa e sopratutto dal desiderio di incontrarsi con Bellia e rifare la strada assieme.
Questo Bellia era un ragazzo di sedici anni che aveva ancora la spensieratezza innocente dei bambini e nello stesso tempo, già qualche cosa di maturo, di assennato: dava un senso di gioia a starci assieme, e il padre quando era con lui si sentiva ringiovanire.